Nel 2012 una
precaria storica, ormai cinquantenne, riesce ad ottenere
la tanto sospirata nomina in ruolo; ma quando si reca all'ex
provveditorato (poi CSA ed ora USP) per firmare il "contratto" si sente
dire che entro pochissimi giorni deve consegnare una sfilza di
documenti, indispensabili per l'efficacia della nomina. Quando
l'insegnante replica che dovrebbe esserci una norma che vieta
all'Amministrazione di chiedere certificazioni al privato cittadino, la
risposta del solerte burocrate lo lascia interdetto: infatti, se non
consegna i certificati "entro i tre giorni previsti" perde il "diritto
al ruolo". Con buona pace dell'interoperabilità informatica tra
pubbliche amministrazioni e dell'autocertificazione, l'insegnante
legge, tra i documenti da produrre entro il termine, un "certificato di
abilitazione all'insegnamento" della materia per cui è stata immessa in
ruolo.
Il paradosso è che il rilascio del documento è a cura dello stesso ufficio che glielo ha
chiesto, ed i tempi prevedono l'attesa di circa venti giorni dalla presentazione
della domanda e dietro il corrispettivo di un centinaio di euro in
tasse varie. Sconvolta la "neo professoressa" fa presente, tra l'altro,
che i documenti devono essere consegnati entro tre giorni e, solo dopo un
"accesa" discussione, l'ufficio accetta una riserva per quello
specifico documento (detenuto dallo stesso ufficio richiedente). Dopo
più di un mese e molti solleciti, l'ufficio rilascia il certificato,
compilandolo praticamente "a vista" (ma non erano necessari circa venti
giorni?), a seguito di minaccia di adire le vie legali. Il documento
ottenuto viene subito consegnato nella stanza accanto ed il "ruolo"
diventa finalmente una certezza (ad onor del vero ho personalmente
accertato che dal 2013 non è più necessario il suddetto certificato,
essendo sufficiente un'autocertificazione).
Un giorno di dicembre del 2008 mi viene notificato un avviso di
accertamento per l'evasione dell'ICI per il 2003 relativo alla casa in
cui risiedo. Grazie all'interoperabilità da poco attiva tra gli uffici
comunali e quelli del catasto urbano, l'ufficio tributi aveva
"scoperto" l'evasione per la mia quota di proprietà dell'immobile pari
ad un sedicesimo dell'intero. Tra mora ed ammende la cifra era
superiore all'importo dell'ICI sull'intero immobile. In un primo
momento, ad essere sincero, mi ha fatto piacere rilevare che
finalmente, grazie alla tecnologie, con il semplice controllo
incrociato dei dati comunali e di quelli catastali, il comune avesse
cominciato a colpire l'evasione fiscale. Poi ho realizzato che
"l'evasore" ero io, che già da dieci anni non ero più il proprietario
pro quota dell'appartamento in cui vivo e che per il 2003 l'ICI era
stata integralmente pagata da chi allora era l'usufruttuario
dell'immobile (a cui per legge spetta il pagamento del tributo).
Programmo un giorno di ferie e mi reco all'ufficio tributi per chiarire
la mia posizione fiscale. L'impiegata, ascolta con "molta attenzione"
il mio problema e si collega telematicamente al sito web del catasto
per verificare le mie affermazioni. Dopo "un'attenta consultazione" mi
spiega che "il computer le dice" (parole sue) che io sono proprietario
di un sedicesimo, quindi devo pagare. Sebbene mi affanni a mostrarle
l'atto notarile datato 1998, da cui si evince che non sono più
proprietario della quota, la nota di trascrizione alla conservatoria
dell'atto con l'espressa dicitura del nuovo assetto proprietario e un
certificato della conservatoria che conferma tutto, la solerte
impiegata scuote la testa con aria di superiorità e mi ripete, con
l'aria di chi spiega ad un analfabeta cosa è l'informatica, che il
computer non può sbagliare. Suppongo che debba esserci qualche errore
al catasto per cui programmo un altro giorno di ferie e mi reco alle
cinque del mattino presso gli uffici del catasto e, dopo solo cinque
ore di attesa, alle dieci spiego il mio problema all'impiegato. Questi,
dopo aver verificato la correttezza delle mie affermazioni, mi dice
che, a causa di un errore dell'ufficio,
la mia posizione non è stata correttamente inserita e che, per
aggiornarla, devo rivolgermi,
ovviamente a mie spese, ad un
tecnico specializzato che faccia "on line" la correzione. Tutto molto
semplice grazie all'informatica, mi dice, se non fosse che questa
semplicità mi è costata, oltre al giorno di ferie, anche 200 euro per
il professionista che ha effettuato la correzione.
Con la nuova visura catastale (che naturalmente ho pagato a parte) mi
reco di nuovo presso l'ufficio tributi (terzo giorno di ferie) e
stavolta chiedo di parlare con il dirigente che, con cortesia e
competenza, mi dice che il problema non era mai esistito perché bastava
collegarsi alla pagina web della Conservatoria per verificare che già dal 1999 la voltura era stata
fatta e l'impiegata a cui mi ero rivolto il primo giorno (che aveva con
tanta attenzione esaminato il mio problema) era stata probabilmente un
po' distratta. Detto ciò prontamente mi redige il provvedimento di
ritiro della contestazione.
Kafka probabilmente avrebbe completato a questo punto il racconto.
Purtroppo la realtà spesso è più capricciosa della fantasia ed infatti
l'anno successivo mi vedo recapitare la medesima contestazione riferita
però al 2004. Questa volta fortunatamente il tutto si è risolto con un
solo giorno di ferie e con la spiegazione alla solita impiegata che il
computer in genere non è né più intelligente né più stupido di chi lo
utilizza e, ovviamente, l'ho salutata con un arrivederci all'anno
prossimo.
Questi esempi dimostrano con evidenza come il mancato o l'errato uso
dell'informatica, da parte di burocrati incompetenti o in mala fede,
può diventare un vero incubo per il cittadino e introducono un tema
piuttosto ostico per la burocrazia italiana: l'informatizzazione dei
servizi pubblici.
L'informatizzazione della Pubblica Amministrazione sembrava dovesse
essere una panacea per tutti i problemi burocratici perché avrebbe
"avvicinato l'amministrazione al cittadino", avrebbe fatto sparire il
"pellegrinaggio burocratico" di cittadini ed imprese, sollevati dal
dover acquisire ed esibire certificati, grazie all'interconnessione di
tutti gli uffici pubblici, centrali e locali. Inoltre avrebbe dovuto
far cessare quel rapporto oggi segnato dalla subordinazione del
cittadino allo Stato, facilitando una migliore armonizzazione con la
normativa in materia di protezione dei dati personali. La formula
magica che avrebbe fatto il miracolo era il termine "E-Government", che
dovrebbe rappresentare il presente ed il futuro telematico della
pubblica amministrazione e che ha dato luogo ad un proliferare enorme
di leggi e regolamenti, molto più evoluti di quanto la tecnologia
informatica delle Pubbliche Amministrazioni e la mentalità dei
burocrati siano in grado di recepire ed applicare.
Con il termine E-Goverment, si fa riferimento, in genere, all'utilizzo
di tecnologie innovative nei procedimenti amministrativi al fine di
fornire servizi ai cittadini. Esso dovrebbe rappresentare un modo nuovo
di erogare i normali servizi dell'amministrazione pubblica e
un'opportunità per creare servizi nuovi e moderni che permettano di
rispondere alle esigenze emergenti della società. In realtà si è
rivelato spesso un meccanismo di controllo pervasivo, antidemocratico
e, come negli esempi di apertura, frustrante per il cittadino.
Parafrasando Foucault si può dire che l'E-government ha contribuito al
passaggio dalla "società disciplinare"
alla "società del controllo".
Tale passaggio costituisce la chiave di volta tra la società moderna e
quella post moderna, attraverso la quale i meccanismi di comando sono
diventati, ad avviso dei sociologi Negri ed Hardt, sempre più "democratici", "sempre più immanenti al sociale e vengono
distribuiti attraverso i cervelli e i corpi degli individui",
piuttosto che attraverso le "istituzioni
disciplinari" foucaultiane. La "società
del controllo" costituisce, quindi, l'intensificazione e la
generalizzazione dei dispositivi normalizzatori della "disciplina". A differenza di
quest'ultima però, il "controllo si
estende ben oltre i luoghi strutturati dalle istituzioni sociali,
mediante una rete flessibile e fluttuante".
L'informatica - le cui applicazioni, relative alla custodia di dati
personali da parte di enti pubblici e privati, si sono sviluppate dopo
le teorizzazioni di Foucault sulla società disciplinare - rappresenta,
al di fuori dell'epistemologia post modernista di Negri e Hardt, il
mezzo attraverso il quale la "società
del controllo" esplica il proprio modo di gestire il potere.
In termini paradigmatici, la memoria dell'umanità, passando dalla
tradizione orale a quella amanuense e, transitando per quella scritta
in forma meccanica, è diventata digitale. Quest'ultimo cambiamento,
allo stesso modo dell'invenzione dei caratteri mobili per la stampa di
Gutenberg, ha fatto sì che siano mutati i parametri che governano le
capacità di coordinamento e controllo delle azioni collettive, rendendo
sicuramente più oppressivo l'esercizio del potere.
Questo controllo, effettuato per il tramite della espansione delle ITC
e grazie alla diffusione della Rete, si colloca in un contesto
panottico di tipo Benthamiano, tra il reale ed il virtuale. Reale in
quanto il cittadino si "deve" sentire sempre sorvegliato, ma è virtuale
in quanto il controllore può non essere al suo posto di controllo senza
nulla togliere agli effetti dello stesso.
Questa visione della tecnologia ha chiaramente gravi conseguenze in
termini di privacy per gli individui e potrebbe, in ultima istanza,
trasformarsi in una sorta di guinzaglio elettronico, grazie al quale le
"autorità politiche" possono, attraverso la gestione incrociata dei
dati, sapere tutto dei propri cittadini.
In questo contesto ci si chiede che ruolo occupa la burocrazia, e, per
meglio comprendere il processo evolutivo di tale sistema, è necessario
un breve excursus storico di tale concetto.
Con questo termine oggi si intende il complesso dei pubblici uffici e
dei pubblici funzionari cui sono demandati l'esecuzione operativa e il
controllo amministrativo, da eseguirsi impersonalmente, sulla base di
criteri unitari e prefissati, regolati dal potere centrale dello Stato.
Sin dall'antichità si rese necessaria, anche per motivi di estensione
geografica, la creazione di un ceto sociale di persone tecnicamente
competenti e direttamente dipendenti dal sovrano al fine di
amministrare per suo conto i possedimenti più lontani: già Hammurabi
stabilì a Babilonia precise gerarchie e indicazioni sull'attività dei
suoi funzionari. Allo stesso modo in Egitto amministratori e scribi
rappresentarono la longa manus del Faraone. Le monarchie ellenistiche
introdussero nuove figure di funzionari, con compiti di controllo,
finanziari, fiscali e di cancelleria.
L'impero romano conobbe un consistente aumento dell'apparato
burocratico, con l'organizzazione di uffici centrali destinati a
ricevere i rapporti dalla periferia, tenere la contabilità del grano,
l'esazione delle imposte, trattare le petizioni e gli affari di
giustizia e una sorta di segretariato generale che informava
l'imperatore sui vari affari dell'impero. La "burocrazia" romana
acquisì una tale importanza da riuscire, nel tardo impero, a
condizionare anche la nomina di alcuni imperatori.
Nell'impero carolingio l'amministrazione centrale fu piuttosto
rudimentale, malgrado fossero state introdotte figure come i missi
dominici, con il compito di tenere legami e controlli con le parti
periferiche dello Stato. In epoca feudale e medievale, però, rimase
inalterato il principio del fondamento personale della fedeltà dei
funzionari al sovrano.
Il processo di formazione dello Stato moderno fu invece caratterizzato
dall'accentramento dei poteri nelle mani del sovrano e dal principio
della spersonalizzazione delle cariche, limitando gradualmente
l'autonomia da parte dei funzionari stessi.
Fu però a partire dal XVIII secolo che la burocrazia assunse un
carattere più stabile in relazione ai nuovi compiti proposti allo Stato
dal dispotismo illuminato e dal mutare dei rapporti tra sovrano, Stato
e popolazione. Tra il XVIII ed il XIX secolo venne a formarsi una
classe burocratica estesa e solida, di norma agganciata alle classi
borghesi e posta alle dipendenze dello Stato liberale. Prese anche
forza l'immagine del burocrate moderno, di Weberiana memoria, con la
sua mentalità pignola, precisa, grigia, ma anche con il suo orgoglio di
casta e il suo "senso del dovere" e delle leggi.
Oggi l'intento ufficiale del potere politico è quello di superare la
vecchia concezione della burocrazia e creare un sistema di knowledge
management che mira a supportare l'informazione, la comunicazione e
l'apprendimento all'interno della PA e a facilitare il lavoro e la
collaborazione tra uffici e funzionari pubblici, per farne uno
strumento per migliorare la qualità dei servizi al cittadino, proprio
attraverso la divulgazione della cultura della conoscenza, della
condivisione delle informazioni e del fare "community". Si tratterebbe
di una vera "rivoluzione" nella mentalità che mira a trasformare la
vecchia e logora burocrazia in una moderna e dinamica "E-burocracy".
La Rete e, più in generale, le tecnologie informatiche, offrono una
gamma di strumenti da usare per avvicinare la pubblica amministrazione
ai cittadini. Questi strumenti nel nostro Paese sono sicuramente di
norma mal sfruttati. Su ognuno di essi i governi degli ultimi anni si
sono soffermati, definendo apposite politiche e cercandone la massima
diffusione, dando luogo a quella che può essere definita una delle
legislazioni più avanzate al mondo in materia. Ma al contempo si è
aperto un baratro tra la disciplina normativa e la capacità della
società di affrontarne le ripercussioni o, molto più semplicemente, di
attuarne i principi cardine.
Queste tematiche sono state affrontate negli ultimi anni dai politici
italiani da due punti di vista peculiari. La prima peculiarità è
costituita dall'intreccio stretto tra apparati burocratici e poteri
politici, rappresentando i primi una componente decisiva dei secondi.
La seconda è data dall'attenzione quasi esclusiva ai vecchi media, in
particolare alla televisione, la quale assorbe gran parte del dibattito
politico ed accademico.
Entrambe queste caratteristiche influenzano negativamente le politiche
sulle nuove tecnologie verso le quali molto spesso non è dato ritrovare
la sensibilità che sarebbe necessaria per una reale innovazione degli
apparati burocratici del Paese. Salvo poi ritrovare, invece, un eccesso
di sensibilità ogni qualvolta si rendano note ricerche che attestano il
nostro divario digitale
In questi casi l'E-Government, o almeno la sua pubblicizzazione,
diviene un'arma politica per l'affermazione di interessi di tutt'altra
natura.
Naturalmente quest'azione decisa e premeditata viene resa invisibile
attraverso un'operazione retorica sistematica, che culmina in una delle
tre "i", quella di Internet; ma significativo è il propagandare come
svolte decisive tutte quelle piccole e spesso inutili iniziative, che,
con un uso continuativo di effetto annuncio, hanno solo uno scopo
propagandistico .
"Se l'e-government deve essere solo
un po' di cosmetico sul cadavere della democrazia o uno schermo per
coprire la necessità di risolvere alcune questioni fondamentali, allora
tanto vale cessar di rimettere in ordine le sedie sul ponte del Titanic
e avviarsi alle scialuppe di salvataggio! Ma dove altro andare, e chi
ci salverà?" . Queste profetiche parole di Tomàs Maldonado
sembrano scolpire l'attuale situazione italiana fatta di vuoti
proclami, elefantiasi normativa, demagogia e spreco di denaro pubblico,
che, sommati alla crisi economica, sono lo specchio del Titanic nella
scena dell'orchestra che continua a suonare mentre la nave affonda.
È stato scritto qualche anno fa da Stefano Rodotà, ma resta pur sempre
attuale e prescinde dal colore politico, che quella che governa
l'Italia, impregnata di pseudo-liberismo, è una coalizione
politicamente e culturalmente antitetica all'e-government, visto come
una contraddizione rispetto allo spirito autoritario che ne anima
l'azione.
Il governo elettronico si crea sfruttando in modo coordinato le
numerose opportunità che le tecnologie informatiche offrono. La sua
realizzazione comporta cambiamenti importanti nella relazione
amministrazione-cittadini, ciò a patto che le nuove tecnologie siano
utilizzate in maniera proficua. Come tutti i cambiamenti, inoltre,
anche questo porta vantaggi e svantaggi e in ogni cambiamento qualcosa
inevitabilmente si perde.
Come si può rilevare facilmente c'è chi vede nell'E- Government,
riletto in chiave di E-Burocrazy, solo il risvolto negativo del
controllo di un "grande Fratello" orwelliano, mentre, viceversa, c'è
chi ne dà una visione paradisiaca di panacea che risolverà tutti i mali
che affliggono lo stato apparato. Come al solito, ovviamente, credo che
la risposta stia in mezzo.
Ho sempre affermato nella mia vita professionale da "burocrate tecnologico" che i
vantaggi, per l'amministrazione, così come per i cittadini, paiono tali
da auspicare un'azione decisa nella direzione del cambiamento in
considerazione degli obiettivi finali. Innanzi tutto per i cittadini,
perché l'attività dell'Amministrazione è ad essi finalizzata, ma anche
perché, delineando nuove possibilità, potrebbe portare ad un radicale
mutamento organizzativo della PA. Il cittadino, che le amministrazioni
si trovano di fronte, è un cittadino nuovo, che interroga, che
interviene, che si organizza, ed è quindi il maggior responsabile del
processo di cambiamento in atto. Scrive il prof. Vincenzo Vita che "grazie alle nuove tecnologie della
comunicazione è stato certamente avviato un processo di 'liberazione'
da una serie di vincoli di spazio e di tempo che ha avuto (e potrà
avere) l'effetto di realizzare condizioni di indipendenza da apparati,
da quelli burocratici in primo luogo".
In effetti, proprio il superamento dei vincoli spazio-temporali
tradizionali è segnalato come una delle conseguenze principali dei
media elettronici. La capacità di superare tali vincoli è però di fatto
uno dei problemi fondamentali nei rapporti telematici con il cittadino;
solo un'accorta politica della comunicazione riesce ad attenuare le non
indifferenti conseguenze dovute alla mancanza di un rapporto de visu.
Joshua Meyrowitz, indagando quest'aspetto, ha affermato che "se molte informazioni sociali sono ancora
accessibili solo recandosi in determinati luoghi o interagendo con gli
individui in incontri faccia a faccia, i recenti cambiamenti nei mezzi
di comunicazione hanno parecchio indebolito il rapporto, un tempo
armonioso, tra l'accesso all'informazione e l'accesso ai luoghi".
La perdita del senso del luogo e, quindi, la perdita della necessità di
recarsi negli uffici ha un risvolto positivo in quanto porta con sé
anche una forma di controllo diffuso sull'Amministrazione, che, di
conseguenza, è costretta a perdere quell'aura di autorità che l'ha
caratterizzata: "i nuovi modelli di flusso informativo influiscono
innanzitutto sui ruoli sociali di tipo gerarchico. La perdita di
controllo informativo compromette l'esistenza delle tradizionali figure
autoritarie" (Rodotà).
Questa perdita di autorità può essere, per l'Amministrazione,
l'occasione per mutare completamente la sua fisionomia, ottenendone in
cambio una nuova legittimazione presso la società. Non più rapporto tra
autorità e soggezione ma solo relazione tra chi eroga un servizio e chi
ne è destinatario e ciò è possibile anche mediante un rapporto
meramente telematico, quando però questo sia frutto di un uso
intelligente e competente degli strumenti che la tecnologia mette a
disposizione.
In caso contrario, come dimostrano le esperienze vissute raccontate in
premessa, c'è solo frustrazione per il cittadino, aggravio di tempo e
spese ed inefficienza dell'amministrazione.
Ma forse è proprio questo il vero obiettivo di una classe politica che
è abituata a gestire il potere con il bastone della fredda burocrazia e
la carota del favore personale.
dott. Giuseppe Motta - avvocato e sociologo
Le citazioni sono tratte da:
Maldonado T., Critica della ragione informatica, Feltrinelli, Milano,
1997;
Merowitz J., Oltre il senso del luogo. L'impatto dei media elettronici
sul comportamento sociale, ed. Baskerville, Bologna, 1995;
Negri T. - Hardt M., Impero, Mondadori, Milano, 2002
Rodotà S., Tecnopolitica, Laterza, Roma, 1997;
Vita V., Il tempo nel governo in rete e nella pratica democratica, in
De Kerckhove, D. (a cura di),
"La conquista del tempo. Società e democrazia nell'età della rete",
Editori Riuniti, Roma, 2003;