È stata depositata
poco fa un'importantissima sentenza della Corte Costituzionale che avrà
grosse ripercussioni sulle modalità di fruizione dei permessi ex legge
104/92.
In particolare, i Giudici hanno dichiarato l’illegittimità
costituzionale dell’art. 33, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n.
104 (Legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti
delle persone handicappate), come modificato dall’art. 24, comma 1,
lettera a), della legge 4 novembre 2010, n. 183 (Collegato Lavoro)
nella parte in cui non include il convivente more uxorio tra i soggetti
legittimati a fruire del permesso mensile retribuito per l’assistenza
alla persona con handicap in situazione di gravità, in alternativa al
coniuge, parente o affine entro il secondo grado.
Ricordiamo che l’art. 33, comma 3, della legge n. 104 del 1992, nel
testo modificato dal cosiddetto Collegato lavoro, prevede che: «A
condizione che la persona handicappata non sia ricoverata a tempo
pieno, il lavoratore dipendente, pubblico o privato, che assiste
persona con handicap in situazione di gravità, coniuge, parente o
affine entro il secondo grado, ovvero entro il terzo grado qualora i
genitori o il coniuge della persona con handicap in situazione di
gravità abbiano compiuto i sessantacinque anni di età oppure siano
anche essi affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o
mancanti, ha diritto a fruire di tre giorni di permesso mensile
retribuito coperto da contribuzione figurativa, anche in maniera
continuativa. Il predetto diritto non può essere riconosciuto a più di
un lavoratore dipendente per l’assistenza alla stessa persona con
handicap in situazione di gravità. Per l’assistenza allo stesso figlio
con handicap in situazione di gravità, il diritto è riconosciuto ad
entrambi i genitori, anche adottivi, che possono fruirne
alternativamente».
Il Tribunale ordinario di Livorno, in funzione di giudice del lavoro,
ha dubitato della legittimità costituzionale del suddetto comma 3
«nella parte in cui non include il convivente more uxorio tra i
soggetti beneficiari dei permessi di assistenza al portatore di
handicap in situazione di gravità», per violazione degli artt. 2, 3 e
32 della Costituzione.
Ad avviso del Tribunale, la norma censurata, nell’escludere dal novero
dei possibili beneficiari dei permessi retribuiti il convivente more
uxorio, si porrebbe in contrasto con l’art. 2 Cost., in quanto non
consentirebbe alla persona affetta da handicap grave di beneficiare
della piena ed effettiva assistenza nell’ambito di una formazione
sociale che la stessa ha contribuito a creare e che è sede di
svolgimento della propria personalità; con l’art. 3 Cost., unitamente
agli artt. 2 e 32 Cost., poiché darebbe luogo ad una irragionevole
disparità di trattamento, in merito all'assistenza da prestarsi
attraverso i permessi retribuiti, tra il portatore di handicap inserito
in una stabile famiglia di fatto e il soggetto in identiche condizioni
facente parte di una famiglia fondata sul matrimonio. Tale diversità,
infatti, non troverebbe ragione nella ratio della norma che è quella di
garantire, attraverso la previsione delle agevolazioni, la tutela della
salute psico-fisica della persona affetta da handicap grave, nonché la
tutela della dignità umana e quindi dei diritti inviolabili dell’uomo,
beni primari non collegabili geneticamente ad un preesistente rapporto
di matrimonio ovvero di parentela o affinità.
Il Tribunale ha così sottoposto all’esame della Corte Costituzionale
una richiesta di pronuncia additiva volta a colmare una lacuna nella
legislazione, ritenuta contraria ai suddetti principi costituzionali.
Come evidenziato dalla Corte Costituzionale, l’istituto del permesso
mensile retribuito ha come finalità principale la tutela della salute
psico-fisica della persona portatrice di handicap.
La salute psico-fisica del disabile quale diritto fondamentale
dell’individuo tutelato dall’art. 32 Cost. rientra tra i diritti
inviolabili che la Repubblica riconosce e garantisce all’uomo, sia come
singolo che nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità
(art. 2 Cost.).
L’assistenza del disabile e, in particolare, il soddisfacimento
dell’esigenza di socializzazione, in tutte le sue modalità esplicative,
costituiscono fondamentali fattori di sviluppo della personalità e
idonei strumenti di tutela della salute del portatore di handicap,
intesa nella sua accezione più ampia di salute psico-fisica. Il diritto
alla salute psico-fisica, ricomprensivo della assistenza e della
socializzazione, va dunque garantito e tutelato, al soggetto con
handicap in situazione di gravità, sia come singolo che in quanto
facente parte di una formazione sociale per la quale, ai sensi
dell’art. 2 Cost., deve intendersi «ogni forma di comunità, semplice o
complessa, idonea a consentire e favorire il libero sviluppo della
persona nella vita di relazione, nel contesto di una valorizzazione del
modello pluralistico».
Se tale è la ratio legis della norma in esame - precisa la Corte - è
irragionevole che nell’elencazione dei soggetti legittimati a fruire
del permesso mensile retribuito ivi disciplinato, non sia incluso il
convivente della persona con handicap in situazione di gravità.
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