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Didattica: Ci vuole della buona pedagogia

Redazione
La scuola che abbiamo alle spalle è stata nelle sue varie manifestazioni una scuola nazionale;incardinata nelle finalità proprie di una nazione. Non credo, però che si possa ancora restare in questo ambito di finalità. Dopo due guerre mondiali, dopo la shoah, dopo la fine del colonialismo, dopo la costruzione della Comunità Europea, la scuola in una nazione democratica deve avere un respiro e un orientamento più vasti; deve porsi come luogo in cui si formano i cittadini del mondo e in cui si educa alla solidarietà umana, al rispetto di ogni persona,al confronto delle culture e delle civiltà. La missione della scuola è stata sempre quella di educare a vivere con gli altri; ma oggi gli altri sono quelli che vengono da molto lontano, vivono molto lontano e sono diversi da noi e diversi tra di loro.

La scuola oggi ha responsabilità di fare vivere armoniosamente e quotidianamente le diversità, di porsi consapevolmente come antidoto contro l'imperversare di sentimenti di odio, contro la manipolazione dell'informazione che di fatto ne è strumento; la scuola oggi o diventa scuola del dialogo o non è scuola; dialogo tra gli alunni; dialogo tra docenti e docenti; tra alunni e docenti; dialogo tra alunni e il sapere; dialogo tra scuola e società.

Per respirare un po' di aria buona bisogna liberarsi dalle mitologie che vogliono una scuola nuova ad ogni cambio di stagione. La scuola intrinsecamente nuova, naturalmente nuova è quella che insegna a pensare, che educa all'autonomia intellettuale e del giudizio. Non è la ricchezza della strumentazione, nè l'attrattività degli ambienti di apprendimento a farla diventare nuova. Nemmeno l'articolazione del curriculum.

La scuola, anche quella sgarrupata è veramente nuova se aspira nelle date condizioni a rendere l'alunno protagonista contento del proprio apprendimento. Padrone della propria crescita.
La scuola ha una propria costitutiva proiezione verso il futuro e fa bene il proprio mestiere se del futuro non restringe l'orizzonte, non amputa le sue possibilità. Se tutto ciò ha un senso, la scuola che prepara al futuro non è quella che si piega al facile mito dell'impiegabilità e nemmeno quella che forgia l'insieme dei propri valori su quella indefinibile cultura del lavoro, predicata dai centri studi del mondo economico; l'impiegabilità conduce la scuola ad una concezione educativa su tempi brevi, ne impoverisce l'orizzonte sotto molti aspetti.

"La cultura scolastica ridotta a competenze strumentali evapora in una moltitudine di saper fare senza altra legittimità se non provvisoria ,aleatoria e dunque del tutto discutibile" (Meirieu).
L'obbligo di risultati che ne deriva come corollario è la negazione della missione culturale della scuola:guardando con preoccupazione a quel che succede nel mondo, si comprende senza tante complicazioni che l'unica scuola davvero efficace non è quella dell'obbligatorietà del risultato, ma la scuola come comunità educativa, la scuola che prende in carico il compito di fare crescere bene gli alunni nel sapere, nel rispetto del prossimo e dell'ambiente. Credo che per non continuare a sbagliare, prima di parlare nei curricoli dei profili in uscita sarebbe opportuno soffermarsi a specificare nei dettagli e nel loro significato le finalità educative. Si dovrebbe dire ad alta voce non solo che cosa si pretende che gli alunni sappiano;non solo che cosa si pretende che diventino, ma anche che cosa ci vuole perchè siano partecipi di una comunità e di una storia.

La scuola come istituzione pubblica deve educare al bene comune e contrastare, come sarebbe logico, le strategie individualistiche e consumistiche delle famiglie e degli alunni, perchè ne snaturano la missione. La scuola a domanda individuale è un obbrobrio; un tradimento della sua funzione sociale.
La scuola non è e mai dovrebbe essere uno dei tanti prodotti messi in concorrenza nel mercato delle merci,dei beni e dei servizi. L'oscuramento delle mete collettive (cittadinanza, valori costituzionali, sviluppo umano e culturale) ha fatto sparire il "noi" per il quale i sistemi scolastici sono stati costruiti. La scuola che va salvata, protetta e sviluppata ha come suo paradigma l'emancipazione, la liberazione dai pregiudizi e dall'ignoranza ,la speranza di una vita buona. Ne consegue che una scuola che si rispetti, quindi, mai dovrebbe darsi come obiettivo l'esclusione di una parte dei suoi alunni dalla trasmissione dei saperi e della cultura.

Per contrastare la disperazione degli esclusi e l'individualismo senza mete collettive ci vuole della buona pedagogia ed è indecente opporla ai saperi, associarla al lassismo, al ribasso delle esigenze. La buona pedagogia è l'arte di condurre al sapere gli alunni che pensano di non esservi predisposti. Non è vero che la scuola, così, sacrifica i migliori, perchè abbiamo, invece, una scuola che non dà a tutti gli strumenti necessari per la vita. La buona pedagogia aiuta gli insegnanti a liberarsi dal delirio di onnipotenza, dalla pretesa di vedere tutto e di saper tutto per tutto controllare. Non nasconde il ruolo delle famiglie, della nascita, del luogo di appartenenza, delle risorse disponibili nella diversità del rendimento scolastico degli alunni.
Non dimentica che non si ha potere sulla coscienza degli alunni e riconosce la propria impotenza di fronte alla coscienza e alla volontà degli alunni. Crea spazi, fornisce strumenti, fa della classe un luogo sicuro senza pressioni e senza forzature; ha lo sguardo positivo su quel che succede; non blocca e non irrigidisce, si meraviglia dell'imprevedibile, fa appello all'immaginazione.
La buona pedagogia fa capire che la scuola è un altro mondo; non è la prosecuzione della famiglia, nè dell'ambiente esterno; non è un luogo ordinario ed esige particolari comportamenti, perchè è retto da alcuni propri principi sui quali non si puo' transigere.

A sostegno di quella pedagogia che si vorrebbe buona non c'è una verità inconfutabile, perchè l'educazione è scritta nell'irreversibilità del tempo e nella singolarità delle situazioni individuali, perchè mai due situazioni si presenteranno allo stesso modo e perchè la pedagogia è condannata al rischio e all'incertezza (P. Meirieu). A sostegno della buona pedagogia c'è l'impegno quotidiano di ogni insegnante che ama il proprio lavoro e ne condivide l'alto valore umano e sociale; c'è la sua capacità di discernimento, che nell'attività didattica mette in relazione la norma e la particolarità dei propri alunni e della propria classe; c'è la sua responsabilità di porsi come esempio nella passione per il sapere e quella di farsi carico, per quello che gli compete, del futuro di ogni alunno che è stato affidato alle sue cure.

Raimondo Giunta








Postato il Sabato, 07 dicembre 2019 ore 07:00:00 CET di Nuccio Palumbo
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