Aveva dato della "sclerata" alla propria insegnante nel tema in classe. Il giudice di Conegliano Veneto (Treviso) ha condannato quali responsabili del fatto i genitori di un alunno dell’ultimo anno di una scuola primaria di un istituto comprensivo nel Trevigiano con la richiesta di mille euro di risarcimento dovuti alla maestra, oltre al rimborso delle spese legali, per la condotta diffamatoria del figlio minore.
La maestra avrebbe assegnato un tema ai suoi alunni dal titolo: “Lettera a un mio amico”, chiedendo loro di raccontare le loro recenti esperienze scolastiche. Ma dallo svolgimento di uno dei suoi piccoli studenti escono parole forti, proprio a lei riferite. “Impazzita”, “sclerata”, “da casa di ricovero”.
L’accaduto viene segnalato al preside che si attiva per far incontrare insieme maestra e genitori. Incontro che non si è mai concretizzato. All’ennesima convocazione dalla scuola i genitori si sono limitati a spiegare che le parole del tema altro non fossero che una reazione a uno stato di disagio.
A conclusione dell’anno di scuola il bambino avrebbe consegnato in fretta un foglio alla maestra con su scritto: “Mi scuso per quello che ho scritto nel tema”.
A quel punto l’insegnante ha deciso di chiedere, stavolta nelle aule del tribunale, risarcimento dei danni personali e professionali subiti. E ha vinto la causa.
“Un bambino - ha spiegato il giudice nelle motivazioni della sentenza - può scrivere quello che vuole, ma è la famiglia responsabile del proprio figlio minore ed è necessario che sia disponibile a un’azione educativa nei confronti del bambino, insieme alla scuola. Invece i genitori si sono sottratti al loro ruolo, anzi hanno sobillato il ragazzino contro la scuola”.
"Questo pronunciamento rappresenta un’importante vittoria – commenta il sindacato degli insegnanti. – Nonché un rilevante precedente per frenare la deriva di comportamenti aggressivi e denigratori sempre più spesso attuati con superficialità da alcuni genitori e alunni. Occorre portare l’attenzione su una più ampia riflessione rispetto all’importanza del ruolo che la figura del docente invece riveste sotto il profilo educativo e formativo”.
La maestra avrebbe assegnato un tema ai suoi alunni dal titolo: “Lettera a un mio amico”, chiedendo loro di raccontare le loro recenti esperienze scolastiche. Ma dallo svolgimento di uno dei suoi piccoli studenti escono parole forti, proprio a lei riferite. “Impazzita”, “sclerata”, “da casa di ricovero”.
L’accaduto viene segnalato al preside che si attiva per far incontrare insieme maestra e genitori. Incontro che non si è mai concretizzato. All’ennesima convocazione dalla scuola i genitori si sono limitati a spiegare che le parole del tema altro non fossero che una reazione a uno stato di disagio.
A conclusione dell’anno di scuola il bambino avrebbe consegnato in fretta un foglio alla maestra con su scritto: “Mi scuso per quello che ho scritto nel tema”.
A quel punto l’insegnante ha deciso di chiedere, stavolta nelle aule del tribunale, risarcimento dei danni personali e professionali subiti. E ha vinto la causa.
“Un bambino - ha spiegato il giudice nelle motivazioni della sentenza - può scrivere quello che vuole, ma è la famiglia responsabile del proprio figlio minore ed è necessario che sia disponibile a un’azione educativa nei confronti del bambino, insieme alla scuola. Invece i genitori si sono sottratti al loro ruolo, anzi hanno sobillato il ragazzino contro la scuola”.
"Questo pronunciamento rappresenta un’importante vittoria – commenta il sindacato degli insegnanti. – Nonché un rilevante precedente per frenare la deriva di comportamenti aggressivi e denigratori sempre più spesso attuati con superficialità da alcuni genitori e alunni. Occorre portare l’attenzione su una più ampia riflessione rispetto all’importanza del ruolo che la figura del docente invece riveste sotto il profilo educativo e formativo”.
Redazione Tgcom24 del 13 maggio 2020