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Umanistiche: O la borsa o la vita

Redazione

“A Natale tutti sono buoni” – disse la mendicante allungando la mano.

“Per fortuna” – rispose l’uomo e tirò dritto, pensando che sarebbe stato il colmo per un ladro fare l’elemosina. Per fortuna c’è il Natale, così tutti sono più buoni e comprano regali e li raccolgono nelle case. E lui svaligia le case.
Natale è il periodo in cui si lavora meglio. È più rischioso, ma il bottino è più ricco.
Avrebbe cominciato quella sera, l’antivigilia di Natale. Passava per le case già pronte per la festa e faceva piazza pulita: un Babbo Natale al contrario.
Si vestì come si conviene a un ladro esperto e si diresse verso la prima casa da svaligiare, nel cuore della notte. Vi abitava un bambino che, all’insaputa dei genitori, nei giorni precedenti al Natale si alzava tutte le notti, e si accoccolava sotto il presepe, perché voleva vedere chi portava i regali. Puntualmente si addormentava per risvegliarsi prima dell’alba e tornarsene a letto. Senza fare un rumore o dire una parola: dei due avrebbe potuto provocare solo il primo, perché era muto.

Il ladro armeggiò attorno alla serratura e la fece scattare in meno di tre minuti. Non c’erano serrature che non conoscesse, se non quella del cuore di Ines, che non era riuscito a scassinare. Lei lo aveva lasciato qualche settimana prima, perché doveva scegliere: o lei o la borsa (di altri). Lui non voleva trovare un lavoro e diventare uno che va a lavoro tutti i giorni. Così aveva preferito la borsa. In fondo quella vita gli piaceva e l’amore non era poi così indispensabile come si diceva in giro.
Entrò nel buio e a tastoni si diresse alla ricerca del tesoro. Aprì cassetti e stipi ma non trovò nulla. Rimanevano i regali. Entrò in soggiorno dove un albero di natale macchiava le pareti di colori intermittenti. Sulla destra un presepe muto e silenzioso, nel quale una lampadina illuminava il sughero, il muschio, il muso di un asino e il profilo di una ragazza.
Davanti al presepe, come se fosse scappato dalla culla di paglia, dormiva acciambellato un bambino, che non appena sentì il passo pur silenzioso del ladro aprì gli occhi, scuotendosi rapidamente dal dormiveglia di chi è in attesa.

Si trovò faccia a faccia con l’uomo.
Il ladro portò l’indice davanti alla bocca per intimargli di fare silenzio e il bambino sorrise, sfregando le dita delle mani davanti alla bocca, come fanno i bambini quando la gioia si concentra sulla dita, perché gli occhi non bastano a contenerla.
Il ladro lo fissò, incerto sul da farsi. Gli sorrise di rimando per fargli capire che quello era l’atteggiamento giusto. Il bambino aspettava che l’uomo spargesse i regali, ma l’uomo non aveva nulla. Il volto del bambino allora si fece serio: si sentiva in colpa, perché l’uomo non aveva regali per lui e voleva chiedergli scusa, ma non aveva le parole.
Il ladro, osservato nella penombra il repentino mutamento, temeva che il bambino cominciasse a piangere e chiamasse i genitori. Allora gli poggiò la mano sulla bocca e lo prese. Il bambino si lasciò sollevare senza resistenza, pensando che l’uomo avesse una sorpresa per lui. Il ladro lo strinse a sé e così com’era, in pigiama, lo portò via.

Il freddo della notte penetrò tra le pieghe del pigiama e il bambino teneva gli occhi chiusi in attesa della sorpresa e si stringeva all’uomo per sentire il calore dell’uomo. Chissà quali mondi di vetro e di ghiaccio stavano attraversando per raggiungere il caldo paese dei regali. Il ladro stringeva il bambino e ne sentiva le ossa e le braccia attorno al suo collo, come faceva lui con suo padre, nel tempo che era stato bambino…
Quando entrò in casa fece sedere il bambino, che teneva gli occhi chiusi premendovi sopra le mani, quasi che gli occhi potessero scappare come ladri e aspettava il momento giusto per aprirli. Quando lo fece si trovò in una stanza piena di refurtiva: televisori, telefoni, giochi, collane, vestiti, dolci…
Il sorriso gli investì non solo il viso, ma tutto il corpo. Guardava il ladro estasiato. Quello era il paese dei regali.
Il ladro, che doveva decidere perché avesse rapito il bambino, lo guardava e soppesava le possibilità: chiedere un riscatto, venderlo…
Il bambino scese dalla sedia e si avvicinò ad un enorme scatola colorata di costruzioni e la indicò all’uomo. Amava trascorrere intere giornate a costruire castelli, città, navi…
“Che vuoi?” – chiese l’uomo stizzito da quella notte sfortunata.
Il bambino puntò l’indice verso la scatola e rise, annuendo con la testa.
L’uomo lo guardava e si chiedeva se fosse tonto.
Nessuno lo avrebbe comprato un bambino tonto. Il riscatto gli sembrò una soluzione migliore.
Il bambino intanto si era avvicinato ad una foto, in cui c’era un uomo abbracciato ad una donna in riva al mare e i due erano felici. Indicò la foto e poi indicò l’uomo. Anche questa volta sorrise. Prese la foto e la mostrò al ladro, che fissò il volto di Ines abbracciata a lui, qualche settimana prima che Ines lo lasciasse, rubandogli cuore e felicità in un furto solo: una professionista.
Il bambino regalò la foto all’uomo e non si sentiva più in colpa.
“Tu sei proprio scemo” – disse l’uomo.

La mattina la mamma entrò nella stanza e chiamò il bambino con un sussurro: “Emanuele…”

Il bambino balzò giù dal letto come una molla compressa, improvvisamente liberata, e si diresse spedito nel soggiorno. Tra l’albero e il presepe c’era un enorme scatola di costruzioni. Il bambino sorrise e abbracciò la mamma, che non riusciva a spiegarsi da dove saltasse fuori quella scatola il giorno della vigilia di Natale.
Il bambino muto la costrinse a chinarsi e le diede un bacio. La mamma sentì la pelle del bambino e i lineamenti dei loro volti modellarsi secondo il disegno della felicità.

Ne era convinta: quel suo figlio così fragile, sfortunato e senza parole, sembrava capace di fare miracoli.

Alessandro D’Avenia

I luoghi dell’infinito – Dicembre 2010

 









Postato il Sabato, 01 gennaio 2011 ore 12:53:35 CET di Marco Pappalardo
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