Platone scriveva di
filosofia per tutti quelli che avessero
la possibilità di leggere, ma gli insegnamenti più profondi li affidava
all'oralità (mathemata agrafa), al colloquio con gli eletti che
venivano
ammessi nella sua Accademia. Scrittura e oralità non erano, però, due
momenti in contrasto perchè si richiamavano vicendevolmente. D'altra
parte Platone deliberatamente ha scelto di esporre le sue
riflessioni in dialoghi, la forma letteraria che in qualche modo
riproduceva il parlato delle conversazioni umane e anche la più vicina
alla eccelsa, inimitabile produzione teatrale greca, alla quale da
giovane avrebbe voluto dare qualche suo contributo, come qualche
tradizione riporta. Dice
P. Hadot che le opere scritte dell'antichità non si sono mai emancipate
del tutto dalle costrizioni dell'oralità;le opere antiche sono
strettamente legate a comportamenti orali; destinate ad essere lette ad
alta voce. "Le produzioni letterarie dei filosofi saranno dunque, nella
massima parte una preparazione o un prolungamento o un'eco del loro
insegnamento orale e saranno segnate dalle limitazioni e dalle
costrizioni che tale situazione impone" (P. Hadot). Platone
scriveva divinamente e i suoi Dialoghi appartengono di diritto
alla grande Filosofia e alla grande Letteratura.
Tanti nel corso della storia hanno pensato di imitarlo, ma
nessuno è riuscito a raggiungere la sua altezza. Quasi tutti hanno
scelto la via di linguaggi professionali e selettivi, come se questa
fosse l'unico modo per accedere al possesso del sapere e della
saggezza. Qualche altro per non creare difficoltà si è premurato,
invece, di imbandirci la tavola della doppia verità; una per gli
incliti
e l'altra per gli incolti.
Dice Platone che i veri filosofi sono quelli che amano contemplare la
verità, immergersi nella verità. Con Platone si opera un netto distacco
tra senso comune(doxa) e scienza, anche se hanno come oggetto, lo
stesso
oggetto. "Non è affatto facile dire cose contrarie a ciò che dicono
innumerevoli bocche"( Leggi 810 d). Scienza è
conoscenza vera e inconfutabile di quello che è . La filosofia
platonica
è un costante e fermo invito a mettere la testa fuori dal divenire per
potersi convertire al mondo della verità e dell'essere. Platone è a
favore della fecondità intellettuale del pensiero astratto e del sapere
teorico e poco si cura dell'utilità del sapere.
Misurare, numerare, pesare a partire da Platone diventano alternativi
all'esperienza viva e diretta;il controllo razionale non va esercitato
solo su ciò che si vede, ma anche su ciò che si sente, si prova
nell'animo. La compostezza è il risultato che si deve raggiungere; la
padronanza di sè; un vaolre non molto popolare.
I filosofi per Platone devono essere amici del sapere e non cultori
dell'opinione. "E allora, domandò, quali dici che sono i veri filosofi?
E
io in risposta, quelli che amano contemplare la verità"( Repubblica 475
e);"E dunque potresti trovare qualcosa di più congenere alla sapienza
della verità?(. . . )E uno stesso uomo puo' essere per natura filosofo
, cioè amico del sapere e amico della menzogna?( Repubblica 485 c). Il
processo della conoscenza ha i tratti di un esercizio spirituale di
purificazione; un itinerario che si conclude nella contemplazione
dell'anima. Esperienza gratificante perchè" anche nell'apprendimento si
riconnette un certo gradimento e dunque un piacere, ma la sua funzione
e la sua utilità e ciò che vi è in esso di buono e di bello, gli
derivano dalla verità"(Leggi-667 c). Platone distingue nettamente la
vita governata dal pensiero, dalla ricerca intellettuale da quella
guidata dal piacere;ha legato la vita intellettuale ad una forma di
ascetismo laico;di fatto costruisce la separatezza
dell'intellettuale, del filosofo, dell'uomo di pensiero. I piaceri
relativi alla conoscenza non sono propri della maggioranza degli
uomini, ma solo di pochissimi ...
Nel Fedone questo indirizzo viene formulato in pagine immortali
di spiritualità. Ci si puo' esercitare a distinguere l'ascetismo
platonico da quello cristiano, ma il primo ha dato all'altro il modo di
fondarlo e forse anche i contenuti delle argomentazioni. Per la sua
alterità rispetto ai costumi della società è stato fatto proprio dal
cristianesimo. "L'anima del filosofo non ha forse in sommo grado
disprezzo del corpo e non rifugge da esso e non cerca di rimanere sola
per se stessa?(Fedone 65-d);"A chi è impuro non è lecito accostarsi a
ciò che è puro"(Fedone 67 b); "E' precisamente questo il compito dei
filosofi: sciogliere e separare l'anima dal corpo. O no?"(Fedone 67 e).
"I
veri filosofi si tengono lontani da tutte le passioni del corpo"(Fedone
82 c);"Ogni piacere e ogni dolore, come se avesse un chiodo, inchioda e
fissa l'anima nel corpo"(Fedone 83 d). I piaceri di questo mondo
trascinano in basso la vista dell'anima; bisogna liberarsi di questi
pesi per convertirsi alla verità. Per mettere l'anima in condizione di
fare il proprio mestiere è necessario un ferreo controllo delle
passioni, impedire la tirannia dei desideri e soprattutto di quelli non
necessari.
Credo che nel Fedone si trovi una delle prime formulazioni
dell'immortalità dell'anima, fondata e intrecciata sul primato della
pura conoscenza intellettuale. "E ora Cebete, se da tutte le cose che
abbiamo detto non consegua che l'anima sia in sommo grado simile a ciò
che è divino, immortale, intellegibile, uniforme, indissolubile, sempre
identico a sè medesimo"(Fedone 80 13). Si potrebbe dire fatta a
immagine
e somiglianza di Dio. Altrove dirà "Sapienza e intelligenza non
potrebbero mai generarsi senza anima"(Filebo 30 c). Non è fuori di
luogo
affermare che in queste affermazioni platoniche si delineino i tratti
di una profonda teologia, su cui si misureranno e si
tormenteranno i teologi cristiani per lunghi secoli per definire
in proprio i dogmi di fede. La teologia cristiana fu, infatti,
platonica
e neoplatonica fino a San Tommaso d'Aquino.
In Platone giustizia, immortalità e premi nell'al di là sono tra di
loro connessi; l'al di là sostiene l'impegno ad essere giusti in questa
nostra vita terrena. Non è per nulla fuor di luogo pensare Platone come
teologo, certamente lontano, molto lontano dalla religione pratica in
Atene e nella Grecia contemporanea. "Non è verosimile che gli dei
godano
e soffrano"(Filebo 33 b). Sul fondamento di questa concezione del
divino
era difficile, se non impossibile accogliere ed edificare i dogmi
della creazione, della passione, della morte e resurrezione del Figlio
di Dio. Si poteva indicare all'uomo il percorso per cercare
Dio, ma non arrivare a pensare che Dio potesse cercare
l'uomo.
Per farsi un'idea di questa filosofia/teologia bisognerebbe leggere il
Parmenide per provarne le vertigini sopratutto quando parla
dell'Uno. E' fuori del tempo, non c'è nome che lo possa indicare, nè
sensazione, nè discorso, nè opinione nè scienza che ne possano parlare.
Non è denominato, nè enunciato, nè opinato, nè conosciuto, nè qualcuno
tra i viventi ne ha sensazione. Alle riflessioni e alle affermazioni
del Parmenide hanno attinto le diverse specie di neoplatonici e
quanti per parlare di Dio si sono incamminati verso le
formulazioni della teologia negativa.
Raimondo Giunta