La narrativa dei precari è un segno forte dei nostri tempi. Riflette su
come cambia il lavoro e ci interroga sulla nostra identità.
Come alcuni dei suoi personaggi – ad esempio la giovane croata Drina,
bruttina ma sexy, professione (benissimo remunerata) motivational
consulting – che si spostano rapidamente da una nazione all'altra,
spinti dalla necessità del lavoro (quello che c'è, e che cercano di
incrementare, ma anche quello che non c'è, e a cui aspirano), così, nel
suo nuovo romanzo, La cospirazione delle colombe - Bompiani Milano 15 €
-, Vincenzo Latronico mette da subito il turbo e corre per quasi 400
pagine, fitte, veloci, fatte di storie incastrate l'una nell'altra, di
figure che si perdono e che si ritrovano, e, soprattutto, di lavori e
occasioni parimenti persi e ritrovati e magari poi ripersi, fino a
comporre un immenso e duro affresco della società di oggi.
Dall'anno 2004 sino a un 2015 tutt'altro che
lontano e che, date le premesse, non fa presagire nulla di buono.
Perché comunque, nel libro di Latronico, tanto quanto nella vita che
stiamo vivendo, i problemi e le ossessioni del lavoro sono diventati il
tarlo che mangia l'anima.
Sulla piaga del precariato, sui co.co.co.
diventati co.co.pro., sulle cosidette partite iva (chi è obbligato da
una ditta ad aprire una partita iva per poter lavorare, di fatto ma non
de iure, come dipendente), sui lavoratori interinali e sui "tempi
determinati", è uscita in questi anni, in Italia, una preziosa e
mordente non piccola produzione narrativa o pamphlettistica. E varrà la
pena rimandare ad alcuni di questi volumi: Pausa caffè (Sironi 2004),
di Giorgio Falco, Mi spezzo ma non mi impiego (Einaudi 2006), di Andrea
Bajani, Mi chiamo Roberta, ho 40 anni, guadagno 250 euro al mese
(Einaudi 2006), di Aldo Nove, Vita precaria e amore eterno (Mondadori
2006), di Mario Desiati, Cronache dalla ditta (Mondadori, 2008), di
Andrea Cisi.
Ma il ventisettenne Latronico ha una
marcia in più ne. Per il piglio, il ritmo, la capacità di fissare le
situazioni, descrivere i personaggi – dai più alti, come l'orrendo
chief financial di un grande fondo americano, Miles Eli Rosewater (un
bastardo con la puzza sotto il naso e un gran pelo sullo stomaco), ai
più umili, come il giovane albanese Eltjon Thika. Che, arrivato a
Milano con la mamma da Scutari in seguito al crack delle finanziarie
piramidali della metà degli anni Novanta, si arrangia come può,
cominciando con un negozietto dove vende kebab, ma sognando in grande.
E però, se lo svantaggiato Eltjon lotta contro
una nemesi storica che tende a designarlo come precario della vita,
veri e propri precari del lavoro sono, all'inizio della vicenda, in
gran parte ambientata in una grigia Milano dai cieli sinistramente
bassi, i due protagonisti. Due amici da poco laureati in Storia
economica, che vivono insieme nel quartiere milanese trendy dell'Isola:
entrambi allievi del professor Corradini, un guru onnipotente o
presunto tale. C'è una borsa di studio di dottore di ricerca
disponibile per concorso alla Statale, nella disciplina del prof, e
ognuno dei due spera di vincerla, figurandosi una carriera spalancata
davanti. Calati nel frattempo nelle parti rispettive del ricco e del
povero. Perché il bell'Alfredo Cannella è figlio di un danaroso
costruttore edile veneziano, ammanicato col mondo intero; mentre Donka
Berati è un orfano albanese, arrivato in Italia con una borsa di
studio, dopo essere transitato a Harvard. Ma di lì l'hanno cacciato,
nonostante la media dei voti altissima, per aver scritto e venduto
tesine ai compagni. Delatore proprio Miles, infuriato perché l'altro è
andato a letto con la sua ragazza, la Drina di cui sopra, anche lei
studentessa a Harvard, ma destinata a rimanerci poco.
Già di qui è dato intuire la natura della trama, che procede
rimbalzando senza un attimo di respiro da un personaggio all'altro,
circolarmente allargando e restringendo il campo, nell'arco di una
decina di anni e con non pochi flashback.
Concentrata specialmente sul triangolo Alfredo-Donka-Drina (entrambi i
giovanotti avranno la ragazza, peraltro imprendibile, problematica,
eterna donna-crisi, in circostanze e tempi diversi), ma lasciato largo
spazio a una folla di comprimari magnificamente caratterizzati, tra
cui, primo fra tutti, il cinico Corradini, economista che non ama
l'economia ma ci campa alla grande: tanto preso dal suo mondo
illusionale da non aver previsto una variabile: la morte prematura.
Sta di fatto che è il precario Donka, contro ogni previsione, a vincere
gongolando la borsa (Corradini gli passa in anticipo i temi della
prova): ciò che nondimeno non lo rende meno precario, visto che, alla
scomparsa del Maestro, la sua carriera risulta brutalmente troncata.
Alfredo, disoccupato di lusso, viene mandato a lavorare nella sede
milanese del padre. Ha un momento iniziale di gloria, con un'accorta
speculazione edilizia, poi mira troppo in alto, combina pasticci
rimediati dal papi, se ne va in America a lavorare come consulente
finanziario d'alto bordo, fa altri guai. Anche Donka deve ripartire da
capo; ma per entrambi, in bilico fra essere "falchi" – magari
travestiti da colombe – o vere "colombe", la sorte riserverà sorprese,
e un colpo grosso finale, ma non per tutti...
Con sorprendente maturità Latronico, il nostro
piccolo Dos Passos, narra benissimo la crisi di una civiltà, la
brutalità del mondo degli affari e della finanza, la boria del potere
nelle università, la verminosa ossessione del denaro. E la solitudine,
troppa, anche nell'amore. Guardiamoci con attenzione in questo
specchio: siamo falchi o colombe? Giovanni Pacchiano (Sole24Ore 10
luglio 2011 )
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