Caro Presidente del Consiglio, caro
ministro Bossi, ci conosciamo da un po’. Diciamo più o meno dal
giorno in cui entrambi avete scelto di buttarvi in politica. Con lei,
Berlusconi, credo che il nostro primo contatto risalga a pochi mesi
dopo la sua discesa in campo. Ci sentimmo al telefono. Lei cercava
Feltri, in assenza del quale si rassegnò a un breve colloquio con me:
parlammo di riforme e di una in particolare da cui doveva partire la
rivoluzione liberale del suo governo. La conoscenza diretta risale ad
alcuni anni dopo, ma diciamo che nel corso del tempo abbiamo imparato
molte cose l’uno dell’altro e credo che fra noi, se non amicizia, ci
sia una reciproca stima.
Con lei,
Umberto, ci siamo incontrati addirittura prima, quando la Lega non era
ancora esplosa. Per la maggioranza dei giornali il Carroccio era
poco più di un fenomeno folkloristico e in molti consideravano lei e i
suoi seguaci una banda di fanatici razzisti. Io passai un pomeriggio
del 1990 ad ascoltarla, prima durante un comizio e poi in pizzeria.
Erano i tempi in cui propugnava la rivolta fiscale contro lo Stato
centralista e cercava una via legale per non pagare le tasse. A quel
primo incontro ne seguirono altri. Durante uno di questi mi definì un
uomo della montagna e a nulla valse la mia precisazione d’essere nato
in pianura: per lei i valligiani sono gente tosta e in quel modo credo
volesse farmi un complimento.
Perché rievoco storie vecchie di quindici o
vent’anni di cui quasi certamente nessuno di voi due ricorda più nulla?
Per dire che quando vi ho conosciuto eravate sinceramente decisi a
cambiare l’Italia. Lei, Berlusconi, voleva uno Stato efficiente come
Mediaset. Un posto dove chi lavora fa carriera e anche i soldi, e dove
soprattutto le decisioni non si prendono in assemblea, fra dibattiti e
trattative sindacali. Il suo modello politico era tutto nella sua
esperienza e il sogno che prometteva agli italiani era di trasformare
l’Italia in una specie di America, dove chiunque è artefice del proprio
successo e delle proprie fortune. Lei, Bossi, invece voleva fermare lo
scivolamento verso Sud dell’intero Paese. Dopo decenni di discussioni
sulla questione meridionale, aveva capito che era giunta l’ora di
affrontare quella settentrionale. Mentre c’era chi la prendeva in giro,
lei voleva davvero che il Nord non fosse più la mucca alle cui mammelle
tutti i governi si attaccavano per finanziare le loro clientele. A chi
in provincia di Varese, a Bergamo e nel Veneto la seguiva, lei
prometteva meno tasse, meno centralismo, meno Stato.
Dico questo perché io sono convinto che voi
autenticamente abbiate creduto e operato per cambiare il Paese, per
renderlo più moderno e più equo. Ma diciassette anni dopo il vostro
primo governo, ciò che abbiamo sotto gli occhi non è un’Italia più
efficiente e non sono dei contribuenti meno tartassati. La manovra che
voi avete appena approvato è l’esatto contrario di ciò in cui avete
creduto e di ciò che avete predicato per anni. Invece di ridurre le
imposte, ne avete create di nuove. E lo avete fatto nel modo peggiore,
infilando le mani in tasca al vostro popolo. A quel popolo di
professionisti e di imprenditori che vi ha seguito fino ad oggi.
Siccome vi conosco e so quanto fossero radicate le vostre convinzioni
di oltre 15 anni fa, non posso credere che voi abbiate rinnegato
quelle aspirazioni e abbiate deciso di ingannare chi vi ha votato.
Soprattutto, non voglio credere che entrambi abbiate deciso di chiudere
la vostra carriera con un tradimento. Lei, Cavaliere, ha detto ieri che
fra due anni potrebbe non ripresentarsi: vuole dunque passare alla
storia come il Tassator cortese? E lei, Bossi, che di anni non ne ha
molti meno del presidente del Consiglio, da Senatur vuole che la
ribattezzino il Tassatur?
Io credo che i
politici siano grandi quando hanno il coraggio di riconoscere i propri
errori. Voi siete ancora in grado di rimediare. Basterà
correggere in Parlamento la super tassa sui redditi oltre i 90 mila
euro sostituendola con un’altra misura, come ad esempio l’eliminazione
delle migliaia di distacchi sindacali nel pubblico impiego e dei fondi
che ogni anno lo Stato versa a Cgil, Cisl e Uil. Una parte dei vostri
partiti è già pronta a farlo: non aspetta che il via. Cancellando la
tassa ingiusta, oltre ad accontentare il vostro elettorato
scongiurerete il disfacimento del centrodestra. Ieri abbiamo
provocatoriamente raccolto l’idea di alcuni lettori che sollecitavano
la nascita di un movimento o addirittura un partito anti-tasse.
Nonostante le vacanze, le adesioni sono state moltissime. Segno
evidente che la misura è colma e che, dopo questa manovra, tanti sono
pronti a non votare più né Pdl né Lega. Voi però siete ancora in tempo
a far loro cambiare idea. Fermatevi e tornate quel che eravate. Serve
poco. Solo un piccolo ripensamento.
Un passo indietro, per farne altri avanti. Buon ferragosto.
LIBERO, 15/08/2011
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