Quando una religione vanta dei
privilegi dà una contro testimonianza e diventa poco credibile.
Qualcuno lo pensa, altri lo temono, nessuno lo
dice. C’è un fronte di tagli alla spesa pubblica che si impone oggi più
che mai: i privilegi del Vaticano. Eliminando l’otto per mille e alcune
immotivate esenzioni fiscali, ad esempio, il bilancio dello Stato
potrebbe contare su 3 miliardi di euro in più all’anno.
Facciamo un po’ di conti e iniziamo dall’otto
per mille. Ogni anno la Cei incassa 1 miliardo di euro dalle tasse
degli italiani attraverso un sistema truffaldino ideato proprio da
Tremonti quando faceva il consulente per il ministro Formica. Che ci fa
la Cei con questo fiume di denaro, pari a cinque volte quello che i
partiti prendono tutti insieme di finanziamento pubblico? Lo spende per
pagare lo stipendio ai preti (il 33% del totale), per costruire nuove
chiese (!), per sostenere le diocesi, per evangelizzare i popoli dei
paesi in via di sviluppo e indottrinare le loro classi dirigenti, per
finanziare le varie iniziative politico-culturali della Conferenza
episcopale e la galassia di associazioni antiabortiste protagoniste
della guerra al referendum sulla legge 40 e ai diritti conquistati da
Welby e Englaro.
L’otto per
mille andrebbe abolito del tutto perché le chiese si devono
finanziare da sole (“date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel
che è di Dio”, Marco 12,13-17), come avviene nelle democrazie liberali.
A ogni modo basterebbe dimezzarlo, risparmiando ogni anno 500 milioni
di euro che non andrebbero certo a ridurre la carità ai poveri.
É la stessa legge istituiva a imporlo in caso
di aumento del gettito e Tremonti lo sa benissimo. Infatti l’otto per
mille della Cei è passato dai 200
milioni di euro del 1990 al miliardo di oggi, in pratica si è
moltiplicato per cinque nonostante lo stipendio di un prete (originario
motivo del finanziamento pubblico) sia poco più che raddoppiato.
Passiamo ora ai privilegi fiscali degli enti ecclesiastici.
Considerando solo l’esenzione dal pagamento dell’Ici delle loro
attività commerciali e la riduzione del 50% dell’Ires sui redditi che
gli enti producono, si arriva ad almeno 2 miliardi di euro di minor
introito per lo Stato ogni anno.
Non stiamo
parlando di tagliare i fondi per le parrocchie, la Caritas o gli
oratori, ma di eliminare quelli che la stessa Unione europea potrebbe
considerare illeciti aiuti di Stato. Quando il Vaticano e le sue
diverse ramificazioni macinano profitti con il loro immenso patrimonio
immobiliare, con il turismo, con le cliniche e gli ospedali, con le
scuole e le università, non v’è ragione che non paghino le tasse come
tutti noi comuni mortali.
Dunque: almeno 500 milioni di euro risparmiati dall’otto per mille, due
miliardi togliendo esenzioni su Ici e Ires, totale 2,5 miliardi euro.
All’anno.
Eppure, in una manovra in cui si taglia di tutto e si riduce la spesa
per il sociale, intervenire sulla “tassa
Vaticano” rimane un tabù.
Persino
sulle festività, le uniche intoccabili sono quelle religiose mentre
anche il 1° maggio può saltare. Si dirà: è il Concordato, bellezza.
Appunto. Iniziamo intanto con il porre mano alle regalie economiche,
alle attività commerciali. Per il resto, i miracoli laici, ci stiamo
attrezzando.
Mario Staderini,
Segretario nazionale dei Radicali italiani (Il Fatto Quotidiano, 17
agosto 2011)
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