Intervento del Presidente della
Repubblica Giorgio Napolitano al Meeting per l’amicizia fra i popoli
Rimini, 21 agosto 2011, ore 18
Colgo in questo incontro, nella sua continuità
con l’ispirazione originaria e la peculiare tradizione del Meeting di
Rimini, l’occasione per ridare respiro storico e ideale al dibattito
nazionale. Perché è un fatto che
ormai da settimane, da quando l’Italia e il suo debito pubblico sono
stati investiti da una dura crisi di fiducia e da pesanti scosse e
rischi sui mercati finanziari, siamo immersi in un angoscioso presente,
nell’ansia del giorno dopo, in un’obbligata e concitata ricerca di
risposte urgenti. A simili condizionamenti, e al dovere di decisioni
immediate, non si può naturalmente sfuggire. Ma non troveremo vie
d’uscita soddisfacenti e durevoli senza rivolgere la mente al passato e
lo sguardo al futuro. Ringrazio perciò voi che ci sollecitate a farlo.
D’altronde, anche nel celebrare il
Centocinquan-tenario dell’Unità, abbiamo teso a tracciare un filo che
congiungesse il passato storico, complesso e ricco di insegnamenti, il
problematico presente e il possibile futuro dell’Italia. Ci siamo
provati a tessere quel filo muovendo da quale punto di partenza ? Dal
sentimento che si doveva e poteva suscitare innanzitutto un moto di
riappropriazione diffusa – da parte delle istituzioni e dei cittadini –
delle vicende e del significato del processo unitario. Si doveva
recuperare quel che da decenni si era venuto smarrendo – negli
itinerari dell’educazione, della comunicazione, della discussione
pubblica, della partecipazione politica – di memoria storica, di
consapevolezza individuale e collettiva del nostro divenire come
nazione, del nostro nascere come Stato unitario. E a dispetto di tanti
scetticismi e sordità, abbiamo potuto, nel giro di un anno, vedere come
ci fosse da far leva su uno straordinario patrimonio di sensibilità,
interesse culturale e morale, disponibilità a esprimersi e impegnarsi,
soprattutto tra i giovani. Abbiamo visto come fosse possibile suscitare
quel “moto di riappropriazione” di cui parlavo : e non solo dall’alto,
ma dal basso, attraverso il fiorire, nelle scuole, nelle comunità
locali, nelle associazioni, di una miriade di iniziative per il
Centocinquantenario. Lo sforzo è dunque riuscito, e rendo merito a
tutti coloro che ci hanno creduto e vi hanno contribuito.
Ma “l’esame di coscienza collettivo” che
avevamo auspicato in occasione di una così significativa ricorrenza,
non poteva rimanere limitato al travaglio vissuto per conseguire
l’unificazione, e alle modalità che caratterizzarono il configurarsi
del nostro Stato nazionale. Esso doveva abbracciare – e ha in effetti
abbracciato – il lungo percorso successivo, dal 1861 al 2011 : in quale
chiave farlo, e per trarne quali impulsi, lo abbiamo detto, il 17 marzo
scorso, con le parole che l’on. Lupi ha voluto ricordare.
Si, con le celebrazioni del
Centocinquantenario ci si è impegnati a trarre, senza ricorrere ad
alcuna forzatura o enfasi retorica, ragioni di orgoglio e di fiducia da
un’esperienza di storico avanzamento e progresso della società
italiana, anche se tra tanti alti e bassi, tragiche deviazioni pagate a
carissimo prezzo, e dure, faticose riprese. Ma perché abbiamo insistito
tanto sulle prove che l’Italia unita ha superato, sulla capacità che ha
dimostrato di non perdersi, di non declinare, né dopo l’emorragia e le
conseguenze traumatiche di una guerra pure vinta, né dopo la vergogna
di una guerra d’aggressione e l’umiliazione di una sconfitta, e quindi
di fronte all’eredità del fascismo e alla sfida del ricostruire il
paese nella democrazia ? Perché abbiamo sottolineato come l’Italia
abbia poi saputo attraversare le tensioni della guerra fredda restando
salda nelle sue fondamenta unitarie e democratiche e infine reggere con
successo ad attacchi mortali allo Stato e alla convivenza civile come
quello del terrorismo?
Ebbene, abbiamo
insistito tanto, e con pieno fondamento, su quel che l’Italia e gli
italiani hanno mostrato di essere in periodi cruciali del loro passato,
e sulle grandi riserve di risorse umane e morali, d’intelligenza e di
lavoro di cui disponiamo, perché le sfide e le prove che abbiamo
davanti sono più che mai ardue, profonde e di esito incerto.
Questo ci dice la crisi che stiamo attraversando. Crisi mondiale, crisi
europea, e dentro questo quadro l’Italia, con i suoi punti di forza e
con le sue debolezze, con il suo carico di problemi antichi e recenti,
di ordine istituzionale e politico, di ordine strutturale, sociale e
civile. Nel messaggio di fine anno 2008, in presenza di una crisi
finanziaria che dagli Stati Uniti si propagava all’Europa e minacciava
l’intera economia mondiale, dissi – riecheggiando le famose parole del
Presidente Roosevelt, appena eletto nel 1932 – “l’unica cosa di cui
aver paura è la paura stessa”. Ma dinanzi a fatti così inquietanti,
dinanzi a crisi gravi, bisogna parlare – e voglio ripeterlo oggi qui,
rivolgendomi ai giovani – il linguaggio della verità : perché esso “non
induce al pessimismo, ma sollecita a reagire con coraggio e
lungimiranza”.
Abbiamo, noi qui, in Italia, parlato in questi tre anni il linguaggio
della verità ? Lo abbiamo fatto abbastanza, tutti noi che abbiamo
responsabilità nelle istituzioni, nella società, nelle famiglie, nei
rapporti con le giovani generazioni ? Stiamo attenti, dare fiducia non
significa alimentare illusioni ; non si da fiducia e non si suscitano
le reazioni necessarie, minimizzando o sdrammatizzando i nodi critici
della realtà, ma guardandovi in faccia con intelligenza e con coraggio.
Il coraggio della speranza, della volontà e dell’impegno. Dell’impegno
operoso e sapiente, fatto di spirito di sacrificio e di massimo slancio
creativo e innovativo.
Impegno che
non può venire o essere promosso solo dallo Stato, ma che sia espresso
dalle persone, dalle comunità locali, dai corpi intermedi, secondo
quella concezione e logica di sussidiarietà, che come ha sottolineato
il Presidente Vittadini e come documenta la Mostra presentata a questo
Meeting, ha fatto, di una straordinaria diffusione di attività
imprenditoriali e sociali e di risposte ai bisogni comuni costruite dal
basso, un motore decisivo per la ricostruzione e il cambiamento del
nostro Paese.
Si può ben invocare oggi una simile
mobilitazione, egualmente differenziata e condivisa, se si rende chiaro
quale sia la posta in giuoco per l’Italia : in sostanza, ridare vigore
e continuità allo sviluppo economico, sociale e civile, far ripartire
la crescita in condizioni di stabilità finanziaria, non rischiando di
perdere via via terreno in seno all’Europa e nella competizione
globale, di vedere frustrate energie e potenzialità ben presenti e
visibili nel Paese, di lasciare insoddisfatte esigenze e aspettative
popolari e giovanili e di lasciar aggravare contraddizioni, squilibri,
tensioni di fondo.
Le
difficoltà sono serie, complesse, per molti aspetti non sono recenti,
vengono dall’interno della nostra storia unitaria e anche, più
specificamente, repubblicana. Ad esse ci riporta la crisi che
stiamo vivendo in questa fase, nella quale si intrecciano questioni che
a noi spettava affrontare da tempo e questioni legate a profondi
mutamenti e sconvolgimenti del quadro mondiale. Ma se a tutto ciò
dobbiamo guardare, anche nel momento in cui ci apprestiamo a discutere
in Parlamento nuove misure d’urgenza, bisogna allora finalmente
liberarsi da approcci angusti e strumentali.
Possibile che si sia esitato a riconoscere la
criticità della nostra situazione e la gravità effettiva delle
questioni, perché le forze di maggioranza e di governo sono state
dominate dalla preoccupazione di sostenere la validità del proprio
operato, anche attraverso semplificazioni propagandistiche e
comparazioni consolatorie su scala europea ? Possibile che da parte
delle forze di opposizione, ogni criticità della condizione attuale del
paese sia stata ricondotta a omissioni e colpe del governo, della sua
guida e della coalizione su cui si regge ? Lungo questa strada non si
poteva andare e non si è andati molto lontano. Occorre più oggettività
nelle analisi, più misura nei giudizi, più apertura e meno insofferenza
verso le voci critiche e le opinioni altrui. Anche nell’importante
esperienza recente delle parti sociali, giunte ad esprimere una voce
comune su temi scottanti, ci sono limiti da superare nel senso di
proiettarsi pienamente oltre approcci legati a pur legittimi interessi
settoriali. Bisogna portarsi tutti all’altezza dei problemi da
sciogliere e delle scelte da operare.
Scelte non di breve termine e corto respiro,
ma di medio e lungo periodo. E’ da vent’anni che è, sempre di più,
rallentata la crescita della nostra economia ; è da vent’anni che si è
invertita la tendenza al miglioramento di alcuni fondamentali
indicatori sociali ; è da vent’anni che al di là di temporanee
riduzioni del rapporto tra deficit e prodotto lordo, non siamo riusciti
ad avviare un deciso abbattimento del nostro debito pubblico. La
crescita è rallentata fino a ristagnare, la competitività della nostra
economia, in un mondo globalizzato e radicalmente trasformato nei suoi
equilibri, ha particolarmente sofferto del calo o ristagno della
produttività.
La recente
pubblicazione di una lunga accurata ricerca sull’evoluzione del
benessere degli italiani dall’Unità a oggi, ci consente di apprezzare
pienamente il consuntivo – superiore a ogni immaginabile previsione
iniziale – del prodigioso balzo in avanti compiuto dall’economia e
dalla società nazionale dopo l’Unità e in special modo grazie
all’accelerazione prodottasi nel trentennio seguito alla seconda guerra
mondiale. Ma se i dati reali smentiscono i detrattori
dell’unificazione, è innegabile che il divario tra Nord e Sud è rimasto
una tara profonda, non è mai apparso avviato a un effettivo superamento
; e venendo a tempi più recenti è un fatto che da due decenni è
in aumento la diseguaglianza nella distribuzione del reddito dopo una
marcia secolare in senso opposto, e lo stesso può dirsi per il tasso di
povertà.
Si impone perciò un’autentica svolta : per
rilanciare una crescita di tutto il paese – Nord e Sud insieme ; una
crescita meno diseguale, che garantisca una più giusta distribuzione
del reddito ; una crescita ispirata a una nuova visione e misurazione
del progresso, cui si sta lavorando ormai da anni, su cui si sta
riflettendo in qualificate sedi internazionali. Al di là del PIL, come
misura della produzione, e senza pretendere di sostituirlo con una
problematica “misura della felicità”, in quelle sedi si è richiamata
l’attenzione su altri fattori : “è certamente vero che, nel determinare
il benessere delle persone, gli aspetti quantitativi (a cominciare dal
reddito e dalla speranza di vita) contano, ma insieme a essi contano
anche gli stati soggettivi e gli aspetti qualitativi della condizione
umana”. E’ a tutto ciò che bisogna pensare quando ci si chiede se le
giovani generazioni, quelle già presenti sulla scena della vita e
quelle future, potranno – in Italia e in Europa, in un mondo così
trasformato – aspirare a progredire rispetto alle generazioni dei padri
come è accaduto nel passato. La risposta è che esse possono aspirare e
devono tendere a progredire nella loro complessiva condizione umana.
Ecco qualcosa per cui avrebbe senso che si riaccendesse il motore del
“desiderio”.
Sia chiaro,
la situazione attuale di carenza di possibilità di lavoro, di
disoccupazione e di esclusione per quote così larghe della popolazione
giovanile, impone che si parta dal concreto di politiche per il
rilancio della crescita produttiva, di più forti investimenti e di più
efficaci orientamenti per la formazione e la ricerca, di più valide
misure per l’inserimento dei giovani nel mercato del lavoro. Ma
si deve puntare a una visione più complessiva e avanzata degli
orizzonti di lungo termine : e chi, se non voi, può farlo ?
Quell’autentica svolta che oggi s’impone
passa, naturalmente, attraverso il sentiero stretto di un recupero di
affidabilità dell’Italia, in primo luogo del suo debito pubblico. E qui
non si tratta di obbedire al ricatto dei mercati finanziari, o alle
invadenze e alle improprie pretese delle autorità europee, come dicono
alcuni, forse troppi. Si tratta di fare i conti con noi stessi,
finalmente e in modo sistematico e risolutivo ; ho detto e ripeto che
lasciare quell’abnorme fardello del debito pubblico sulle spalle delle
generazioni più giovani e di quelle future significherebbe macchiarci
di una vera e propria colpa storica e morale. Faccia dunque ora il
Parlamento le scelte migliori, attraverso un confronto davvero aperto e
serio, e le faccia con la massima equità come condizione di
accettabilità e realizzabilità.
Anche al di là della manovra oggi in discussione, e guardando alla
riforma fiscale che si annuncia, occorre un impegno categorico ; basta
con assuefazioni e debolezze nella lotta a quell’evasione di cui
l’Italia ha ancora il triste primato, nonostante apprezzabili ma troppo
graduali e parziali risultati. E’ una stortura, dal punto di vista
economico, legale e morale, divenuta intollerabile, da colpire senza
esitare a ricorrere ad alcuno dei mezzi di accertamento e di intervento
possibili.
L’Italia è
chiamata a recuperare affidabilità non solo sul piano dei suoi conti
pubblici, sul piano della cultura della stabilità finanziaria, ma anche
e nello stesso tempo sul piano della sua capacità di tornare a crescere
più intensamente. E questo è anche il contributo che come grande paese
europeo siamo chiamati a dare dinanzi al rallentamento dello sviluppo
mondiale, al rischio o al panico – fosse pure solo panico – di una
possibile onda recessiva.
In questo quadro, è importante che l’Italia riesca
ad avere più voce, in termini propositivi e assertivi, nel concerto
europeo. Che da un lato appare troppo condizionato da iniziative
unilaterali, di singoli governi, fuori dalle sedi collegiali e dal
metodo comunitario ; dall’altro troppo esitante sulla via di
un’integrazione responsabile e solidale, lungo la quale concorrere
anche alla ridefinizione di una governance globale, le cui regole
valgano a temperare le reazioni dei mercati finanziari.
Una svolta capace di rilanciare la crescita e
il ruolo dell’Italia implica riforme : dopo l’avvio, in senso
federalista, della concreta attuazione del Titolo V della Carta,
riforme del quadro istituzionale e dei processi decisionali, delle
pubbliche amministrazioni, di assetti e di rapporti economici finora
non liberalizzati, di assetti inadeguati anche del mercato del lavoro.
Ma non starò certo a riproporre un elenco già noto : mi piace solo
notare come in queste settimane, sospinto da alcuni impulsi generosi,
si stia prospettando in una luce più positiva il tema della riforma –
in funzione solo dell’interesse nazionale – e del concreto
funzionamento della giustizia. Anche perché alla visione del diritto e
della giustizia sancita in Costituzione repugna la condizione attuale
delle carceri e dei detenuti.
Comunque, più che ripetere un elenco di impegni o di obbiettivi, vorrei
rispondere alla domanda se sia possibile realizzare, com’è
indubbiamente necessario, riforme di quella natura su basi largamente
condivise. E’, in sostanza, parte della stessa domanda postami in
termini più generali da Eleonora Bonizzato e da Enrico Figini. Ai quali
dico innanzitutto che ho molto apprezzato il metodo seminariale col
quale, insieme con molti altri studenti, hanno esplorato i temi della
Mostra dedicata al Centocinquantenario e in modo particolare
l’esperienza della straordinaria stagione dell’Assemblea costituente,
non abbastanza studiata nelle nostre scuole e Università.
E’ possibile,
mi si chiede, che si riproduca quella grande tensione, quello stesso
impegno verso il bene comune ? La mia risposta è che può la forza delle
cose, può la drammaticità delle sfide del nostro tempo, rappresentare
la molla che spinga verso un grande sforzo collettivo come quello da
cui scaturì la ricostruzione democratica, politica, morale e materiale
del nostro Paese dopo la Liberazione dal nazifascismo. I
contesti storici sono, certo, completamente diversi ; la storia, nel
male e nel bene, non si ripete. Ma la storia che abbiamo vissuto in 150
anni di Unità, nei suoi momenti migliori, come quando sapemmo rialzarci
da tremende cadute e poi evitare fatali vicoli ciechi, racchiude il DNA
della nazione. E quello non si è disperso, e non può disperdersi. I
valori che voi testimoniate ce lo dicono ; ce lo dicono le tante
espressioni, che io accolgo in Quirinale, dell’Italia dell’impegno
civile e della solidarietà, dell’associazionismo laico e cattolico, di
molteplici forme di cooperazione disinteressata e generosa. E, perché
si creino le condizioni di un rinnovato slancio che attraversi la
società in uno spirito di operosa sussidiarietà, contiamo anche sulle
risorse che scaturiscono dalla costante, fruttuosa ricerca di “giuste
forme di collaborazione” – secondo le parole di Benedetto XVI – “fra la
comunità civile e quella religiosa”.
Ma potrà anche l’apporto insostituibile della
politica e dello Stato manifestarsi in modo da rendere possibile il
superamento delle criticità e delle sfide che oggi stringono l’Italia ?
Ci sono momenti in cui – diciamolo pure - si può disperarne. Ma non
credo a una impermeabilità della politica che possa durare ancora a
lungo, sotto l’incalzare degli eventi, delle sollecitazioni che
crescono all’interno e vengono dall’esterno del Paese. Il prezzo che si
paga per il prevalere – nella sfera della politica – di calcoli di
parte e di logiche di scontro sta diventando insostenibile. Una cosa è
credere nella democrazia dell’alternanza ; altra cosa è lasciarla
degenerare in modo sterile e dirompente dal punto di vista del comune
interesse nazionale. Ci fa riflettere anche quel che accade nel grande
paese che è stato, con le sue peculiarità istituzionali, il luogo
storico di una democrazia dell’alternanza capace di far fronte alle
responsabilità anche di un determinante ruolo mondiale. Negli Stati
Uniti vediamo appunto come, nell’attuale critico momento, il
radicalizzarsi dello spirito partigiano e della contrapposizione tra
schieramenti orientati storicamente a competere ma anche a convergere,
stia provocando danni assai gravi per l’America e per il mondo, in una
congiuntura difficile pure per quella causa della pace, dei diritti
umani, dell’amicizia tra i popoli – si pensi alla tragedia del Corno
d’Africa – che è iscritta nella stessa ragion d’essere del vostro
Meeting.
Qui in
Italia, va perciò valorizzato ogni sforzo di disgelo e di dialogo, come
quello espressosi nella nascita e nelle iniziative, cari amici Lupi e
Letta, dell’Intergruppo parlamentare per la sussidiarietà. Ma bisogna
andare molto oltre, e rapidamente. Spetta anche a voi, giovani,
operare, premere in questo senso : e predisporvi a fare la vostra parte
impegnandovi nell’attività politica. C’è bisogno di nuove leve e
di nuovi apporti. Non fatevi condizionare da quel che si è sedimentato
in meno di due decenni : chiusure, arroccamenti, faziosità, obbiettivi
di potere, e anche personalismi dilaganti in seno ad ogni parte.
Portate nell’impegno politico le vostre motivazioni spirituali, morali,
sociali, il vostro senso del bene comune, il vostro attaccamento ai
principi e valori della Costituzione e alle istituzioni repubblicane:
apritevi così all’incontro con interlocutori rappresentativi di altre,
diverse radici culturali. Portate, nel tempo dell’incertezza, il vostro
anelito di certezza. E’ per tutto questo che rappresentate, come ha
detto nel modo più semplice la professoressa Guarnieri, “una risorsa
umana per il nostro paese”. Ebbene, fatela valere ancora di più : è il
mio augurio e il mio incitamento.
Giorgio
Napolitano, presidente dello Stato Italiano
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