In attesa
di leggere il libro di Adolfo Scotto di Luzio, La scuola che vorrei,
godiamo della bella recensione che sul “Corriere della Sera” di oggi ne
fa Ernesto Galli della Loggia. Quest’ultimo si identifica totalmente
nelle tesi del libro e soprattutto del fallimento della nostra scuola
di massa: aver gettato a mare il meglio della nostra tradizione
scolastica che aveva avuto il suo fulcro nell’essere innanzitutto
scuola di cultura.
Cioè scuola di qualità attenta ai contenutipiuttosto che soltanto alle
metodologie (pure importanti) e soprattutto capace di dare ai ragazzi
il sensodi appartenenza ad una comuneciviltà in continua
evoluzione e incontinua costruzione del “ senso di noi”. Un senso di
noi che, a mio parere, èdrammaticamente assente nella scuola italiana
di ogni ordine e grado; dove, appunto, dominano le dogmatiche
teorie“applicative” dei vari sistemi didattici e pedagogici che per
moda sialternano a discapito di contenuti certi e comuni.
Peresempio, in base alla mia esperienza pluridecennale di presidente
dicommissioni d’esame nelle scuole superiori, posso testimoniare che da
unaventina d’anni non ho più il piacere di assistere ad orali in cui si
parli diDante, Foscolo, Leopardi o di Manzoni, “accortamente” studiati
in quarta, sestudiati. Né mi sembra abbia senso sottoporre a una
quantità esosa didiscipline gli studenti degli istituti tecnici e
professionali, che dovrebberoinvece concentrarsi su poche materie per
approfondirle veramente, come è tipicodi una didattica di impostazione
umanistica e realmente legata alle nostre radici culturali. La
differenza tra i vecchimaestri di bottega e una moderna formazione
professionale dovrebbe consisteresoprattutto nel dare la possibilità
agli studenti di studiare econtestualizzare le materie professionali in
una dimensione storica eartistica: cosa che naturalmente nelle nostre
scuole è lontana dal realizzarsi.D’altra parte se nelle scuole
pubbliche si può insegnare quello che si vuole,che senso ha curarsi
della preparazione dei docenti? E chi si è preoccupatonegli ultimi
decenni (sottolineo: decenni!) di selezionare dei docenti
colti,meritevoli e motivati?
Per Scotto di Luzio e DellaLoggia una scuola come la nostra sarà sempre
più disertata dalle élite, mentrepenalizzerà sempre più le classi meno
abbienti, in quanto, derubricata a ente gestoredi moltitudini in
cui gli studenti “sono indotti sempre più a concepire
l’istruzione come uno specifico, individuale percorso, aperto a
molteplici esperienzedi vita”, non potrà permettere ai capacie
meritevoli di accedere, come invece meriterebbero, ai livelli più alti
dellasocietà.
ComeGruppo di Firenze ci auguriamo chequesto libro possa
rimettere in primo piano il ruolo primario della scuola,quello di
affidare alle nuove generazioni il nostro patrimonio culturale comebase
indispensabile anche della propriariuscita individuale. Per
questo è necessario che alla scuola si guardifinalmente con quel
realismo critico che è alla base della nostra culturaidealista,
pragmatica e anche gramsciana. Invece coloro che hanno avuto in manole
leve del potere scolastico e culturale hanno in genere preferito fare
scelteideologiche e alla moda, anche perché meno impegnative per chi
spesso si ètrovato a gestirle, quelle leve, per “meriti” di militanza
politica e di fedeltàai partiti, senza avere la preparazione e la
vocazione necessarie: quella diessere “come quei che va di notte, che
porta il lume dietro e sé non giova, madopo sé fa le persone dotte”.
(VV)
Gruppo di Firenze