A spingerlo a scrivere era stata la grande passione per il suo mestiere d’insegnante. Negli ultimi tempi invece, tormentato dal cancro, scriveva «per non morire», come lui stesso aveva confessato.
Marcello D’Orta, l’autore del bestseller Io speriamo che me la cavo (1990) costruito con gli strafalcioni un po’ poetici dei suoi scolari napoletani di Arzano, è morto a 60 anni mentre stava scrivendo un libro su Gesù.
Napoli, la sua Napoli, l’aveva sempre tenuto ai margini: «Se c’è un convegno sugli scrittori napoletani, non mi invitano certo. Per gli esponenti della letteratura di Napoli io non esisto», disse una volta.
Eppure aveva scritto tanti libri (Dio ci ha creato gratis, Romeo e Giulietta si fidanzarono dal basso, Il maestro sgarrupato, Maradona è meglio 'e Pele, Storia semiseria del mondo, Nessun porco è signorina, All'apparir del vero, il mistero della conversione e della morte di Giacomo Leopardi) anche se la sua passione più grande restava la scuola: vent’anni fa era solo «sgarrupata» e la passione di tanti maestri come lui serviva a puntellarla e farla andare avanti nonostante tutto. Oggi invece, ecco l’ultima provocazione di D’Orta, era addirittura da abolire: «Nessuno fa più il proprio dovere, insegnanti, alunni e genitori. Se non ci diamo una regolata per paradosso dico: meglio abolirla».
Abolire la scuola è stato il titolo di uno dei suoi ultimi pamphlet edito da Giunti. «Da abolire», spiegò lo scrittore che ha insegnato per 15 anni nelle elementari, «è la scuola degli sprechi (come quella dei corsi inutili tipo la ''scrittura geroglifica'' che costano agli italiani milioni di euro); la scuola delle ideologie (quasi tutti i manuali di Storia la pensano alla stessa maniera); la scuola sistemata in edifici vecchi e pericolosi; la scuola dove insegnanti, alunni e genitori si fanno la guerra».
Quando scrisse Io speriamo che me la cavo, divenuto poi un film di successo con Paolo Villaggio e Lina Wertmuller, s’attirò molte critiche: «L’accusa principale», spiegò, «riguardava la presunta pubblicità negativa fatta alla scuola di Arzano e in generale del Sud. Che travisamento! Mica Cristo si è fermato ad Eboli è un libro contro la Lucania? Servì a Carlo Levi per far conoscere a tutti gli italiani l'isolamento di una parte del paese. Anch'io provai a denunciare in maniera credo simpatica e non offensiva le condizioni in cui riversava una scuola meridionale. Secondo queste persone bisogna lavare sempre i panni sporchi in famiglia, essere reticenti sui problemi».
Quando, tante volte, è capitato di intervistarlo per Famiglia Cristiana su questi temi amava paragonarsi a un missionario: «La scuola», diceva, «ha bisogno di missionari, di educatori, di gente appassionata non di burocrati. Soprattutto nelle zone più difficili». E' stato il suo testamento.
da famigliacristiana.it