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Bullismo e Cyberbullismo: La violenza nelle scuole e l’educazione dei giovani - Scuola e famiglie: un rapporto problematico

Redazione
Violenza nei confronti degli insegnanti e del personale della scuola , fatta di insulti, minacce e aggressioni; violenza fisica nei confronti degli alunni ritenuti deboli; furti e danneggiamenti alle strutture e agli arredi scolastici; episodi ripetuti di omofobia e di razzismo. Le scuole sembrano diventate un inferno. Per fortuna anche se da molto tempo scuola e mondo giovanile sono in rotta di collisione nella stragrande maggioranza dei casi la situazione è diversa; puo' essere difficile, ma è sotto controllo.Tuttavia i fenomeni di violenza nelle scuole (conosciuti e non, rari o diffusi) riportano in prima pagina la grande questione dell'educazione dei giovani; una questione che rinvia a diversi centri di responsabilità, ma, principalmente ai genitori e alla scuola.

L'educazione dei giovani, oggi, è diventata un problema complesso e non facile da affrontare, perchè la responsabilità educativa è declinata in modo diverso da chi se ne dovrebbe fare carico e non sempre da costoro viene esercitata con la dovuta collaborazione. E senza collaborazione non ci si puo' aspettare di avere dei buoni risultati. La responsabilità educativa nei confronti dei giovani ricade su chiunque per ruolo o per età con loro abbia o sia tenuto ad avere delle relazioni, anche se diverse per gradi di obbligatorietà. Nessuno, infatti, puo' essere responsabile nei confronti dei giovani come sono tenuti ad esserlo i genitori. La responsabilità educativa dei genitori costituisce "l'archetipo di ogni responsabilità"(H. Jonas) e si comprende come sia difficile rimediare ai danni procurati quando questa, come sempre più spesso accade, non viene esercitata, perchè ai giovani mancheranno la guida, il buon esempio, i consigli e la cura nello sviluppo delle proprie facoltà comportamentali, nella costruzione di capacità di relazione, nella formazione del carattere, nella sollecitazione a sapere e a capire.Verrebbe a mancare la preparazione alla vita in società.

Alla responsabilità educativa dei genitori nelle società evolute e complesse si accompagna quella irrinunciabile della scuola. I loro compiti si intrecciano, ma non sono identici. Quelli dei genitori sono relativi alla dimensione personale dei giovani, quelli della scuola sono relativi alla dimensione sociale e pubblica, tendono alla socializzazione dei valori condivisi in una comunità, all'integrazione nella società, a sviluppare un rapporto di fiducia con le istituzioni e ad agire nella legalità. Questo dovrebbe accadere se ognuno facesse la propria parte. I fatti di cronaca dicono che qualcosa in questa divisione dei compiti non funziona e anche che qualcuno dimentica di assumersi le proprie responsabilità. Sicuramente negli ultimi tempi si è slabbrato il collateralismo tra scuola e famiglia che nel passato rendeva proficuo e meno difficile il lavoro scolastico; a scuola non arrivano più come un tempo alunni preparati al mestiere di studente; oggi varcano la soglia delle scuole giovani provenienti da ambienti sociali lontani dal sistema di abitudini, procedure e valori della scuola e di fronte a questa novità sociologica la scuola incontra difficoltà a reinterpretare il proprio ruolo e a ripensare l'insieme delle sue attività.

Finalità Educative e Scuola
Educare a che cosa? Il problema delle finalità educative presenta molte sfaccettature, perchè continuo è il processo di riarticolazione dei "valori" prevalenti in una società che occorre tenere presenti e perchè alcuni di essi non sono sempre identificabili con quelli protetti dalle leggi fondamentali di una società; pertanto la salvaguardia dei valori comuni non deve trasformarsi in un'azione normalizzatrice, coercitiva della libertà di pensiero e di costume. Nel merito non ci sono proposte facilmente condivisibili, perchè ognuna di esse evoca una propria visione antropologica e una propria concezione della convivenza umana. Si puo' tentare una soluzione. L'educazione a scuola in una società pluralistica non puo' essere improntata ai valori dedotti da un'idea astratta dell'uomo o da una sola antropologia, ma ai principi di regolazione sociale che possono garantire il massimo di libertà per tutti e il massimo di rispetto altrui. L'educazione di cui si ha bisogno ha un senso se impegna, chiunque ne abbia la responsabilità, a far crescere e sviluppare l'umanità che è in ognuno di noi per essere reciprocamente umani gli uni con gli altri, per essere reciprocamente liberi, rispettosi della dignità degli altri e garanti dei diritti degli altri. Sono principi e valori che dovrebbero essere di comune accettazione, se si vuole disporre di regole di riferimento, di principi di convivenza.

Ovviamente in ragione di questa scelta vanno esclusi dalla scuola idee e principi che sono contro i diritti inalienabili della persona e che alimentano la violenza, l'odio verso la diversità, l'ingiustizia di qualsiasi specie.
All'interno di questo quadro di obbligazioni morali la scuola definisce le regole che devono governare la vita quotidiana e la convivenza dei giovani che la frequentano:regole che vanno fatte rispettare e difese con energia contro ogni forma di trasgressione. A scuola si impara un mestiere e si impara a stare con gli altri; anzi se non si impara a stare con gli altri riesce difficile imparare un mestiere.La scuola come istituzione ha una propria identità, costituisce un mondo particolare che puo' diventare significativo per i giovani se intorno agli aspetti della vita scolastica si riesce a sviluppare una consapevole attività educativa, ad organizzare un loro percorso di crescita(ordine, puntualià, impegno, responsabilità personale, rispetto delle persone e delle cose, ascolto, dialogo, equità, collaborazione, spirito di sacrificio, primato del sapere e della cultura, sensibilità artistica, spirito critico etc). Nello spazio scolastico si possono giocare partite molto importanti per la promozione della cultura e di valori morali e si puo' attivare per giovani provenienti da ambienti a rischio un processo di decondizionamento culturale e sociale.

Ad un'educazione così come è stata delineata per grandi tratti negli ultimi tempi è mancato il contributo di tante famiglie, molte delle quali esposte alla precarietà dei propri rapporti interni, disperse e umanamente impoverite nell'anonimato di quartieri senza servizi e senza opportunità di incontro o dove hanno perso capacità di attrazione, se ancora esistono e resistono: l'0ratorio, il sindacato, il partito, l'associazione sportiva etc. Quartieri dove scompaiono i piccoli negozi e i laboratori artigianali, luoghi dell'umano traffico quotidiano.Questa assenza educativa spesso si trasforma in diffidenza e nell'aperta ostilità dei genitori, interessati a tutelare i propri equilibri familiari e i propri interessi, più che alla crescita e alla formazione dei propri figli. Con la scuola un rapporto forse obbligato, forse utilitaristico, ma non di collaborazione.
Fa fatica a educare i giovani anche la scuola. E questa non è una notizia nuova e tantomeno buona. E' il problema dei problemi, perchè la maggior parte del tempo dell'educabilità dei giovani trascorre dentro gli spazi degli istituti scolastici. Fino ai 19 anni è più il tempo passato a scuola che quello passato in famiglia e nella società. Le ragioni di questa difficoltà sono diverse e bisognerebbe considerarle ognuna nella propria specificità. A scuola si cerca in genere di fare educazione alla cittadinanza, ma emerge dai fatti di cronaca, che angustiano e avviliscono la vita delle scuole, la necessità di andare oltre, perchè non si ha bisogno solo di questo. Su questo argomento nelle scuole si è spesso a livello di esigenza, ma non di convincimento forte e corale e si dimentica quanto è possibile fare partendo, come è stato detto sopra , dagli aspetti della vita quotidiana a scuola. E' un dato di fatto che la funzione educativa della scuola non abbia avuto il rilievo che avrebbe dovuto avere e che in qualche modo sia stata gratuitamente demonizzata. A scuola si è spesso occultato lo spazio delle finalità, per lavorare più sulle tecniche, sulla metodologia, sulla valutazione e si è avuto quasi fastidio ad usare il lessico pedagogico che rinvia a temi etici e che propone il compito della responsabilità educativa. Non a caso le scuole si collocano nella società con un piano triennale dell'offerta formativa e non con un proprio progetto educativo di istituto...

Per molti insegnanti e operatori della scuola l'educazione morale o l'educazione come sapere stare al mondo o in comunità spetta ai genitori.E' lunga la tradizione che vuole gli insegnanti solo come professionisti della trasmissione dei saperi e la scuola come luogo eletto degli apprendimenti delle conoscenze e delle tecniche. Nonostante la scuola sia stata investita del compito di molte educazioni e forse proprio per questo è forte l'avversione per attività che si ritengono di altrui competenza. Ma se anche il sapere, le conoscenze fossero le uniche ragioni che spiegano e fondano il rapporto docente-alunno, l'attività scolastica è un'attività comunitaria e questa si puo' sviluppare con beneficio di tutti se alcune regole, che non possono essere se non regole di ordine morale, vengono rispettate da tutti. Anche se talvolta lo negano, gli insegnanti sono/devono essere guida e aiuto degli alunni sia nei processi di apprendimento, sia nei processi di crescita umana. L'insegnante non puo' essere solo uno specialista che insegna la propria disciplina, in grado di possedere e di dominare una certa area di conoscenza e di controllare tutti gli aspetti della comunicazione ad essa relativi. L'insegnante deve sapere non solo cosa insegna e come, ma anche chi sono i suoi allievi, di che cosa hanno bisogno, in che ambienti e in quali famiglie vivono, in che genere di società crescono. In altre parole la cura degli alunni, l'attenzione ai loro problemi, l'accompagnamento nei loro processi di crescita non sono azioni possibili "del" e "nel"rapporto educativo, ma atti dovuti e senza di essi non si genera la formazione, non si genera la crescita umana.

Gli ostacoli
Se anche la scuola volesse sul serio farsi carico dei compiti educativi che le spettano, considerati i motivi per cui oggi sarebbe irresponsabile pretendere di non assumerli, bisogna vedere a quali condizioni sia possibile. Non mancano, infatti, gli ostacoli che si frappongono all'assunzione e allo svolgimento di questi compiti. Il più serio di questi ostacoli è costituito dall'organizzazione stessa degli istituti, così come la si è voluta configurare negli ultimi anni.

A) La dimensione prescritta degli istituiti per avere e per conservare l'autonomia, comporta un aggravio consistente dei compiti gestionali per il dirigente scolastico, che anche involontariamente puo' essere di detrimento per quelli culturali, professionali e pedagogici;
B) Gli accresciuti poteri del dirigente scolastico nei confronti dei docenti hanno di fatto lacerato gli equilibri interni e la logica stessa della scuola come comunità educativa e tutto ciò alimenta non casualmente i conflitti interni e manda fuori orizzonte la preoccupazione educativa;
C) La precarietà istituzionalizzata del personale docente rende aleatori i legami dentro i consigli di classe, unici luoghi di armonizzazione degli stili professionali e di attenzione educativa. E se non funzionano i consigli di classe ogni preoccupazione educativa diventa superflua;
D) L'organizzazione del tempo scolastico diventa ogni giorno sempre più incompatibile con quella del tempo di lavoro e del tempo vissuto nella famiglia e questo causa una contraddizione sempre più stridente tra quotidianità e scuola, tra bisogni vitali della famiglia e organizzazione scolastica;
E) L'assenza in molte scuole di spazi, di tempi e di strutture di convivialità, che non aiuta a praticarsi, ad accettarsi e a rispettarsi. Ci sono scuole senza palestre e senza cortili...

Non sono solo le questioni gestionali e organizzative dei singoli istituti a rendere complicato e a volte evanescente il compito educativo. Qualcosa va ricercato anche all'interno della stessa struttura curriculare. L'affollamento delle discipline, ma con relativa diminuzione di quelle umanistiche, allontana le possibilità di un apprendimento riflessivo e quindi di maturazione intellettuale e di fatto impedisce l'applicazione di metodologie collaborative nei tempi limitati dell'orario settimanale di lezioni:risorsa fondamentale per motivare, responsabilizzare e fare crescere nella capacità di ascolto. L'ossessione valutativa che si accanisce sulla scuola fa il resto del lavoro, perchè finisce per dare rilievo solo ai risultati di apprendimento, costi quel che costi.

Provvedimenti disciplinare o educativi?
L'educazione è fatta di buone testimonianze e di esortazioni; è fatta di divieti, di regole da rispettare e di sanzioni per chi non li rispetta, che devono essere funzionali all'educabilità, ma anche al regolare andamento della vita scolastica. A scuola ci sono minorenni e ci sono maggiorenni e questo dato impone una diversificazione degli eventuali provvedimenti disciplinari. Di fronte a fatti ripetuti che incidono sulla sicurezza e l'incolumità delle persone o come si è dovuto constatare recentemente sulla dignità delle istituzioni e di chi le rappresenta, se le norme disciplinari interne si rivelano insufficienti, bisogna ricorrere ad altre norme. E nelle proprie norme non si puo' escludere l'allontanamento dalla scuola, quando dopo tutti i tentativi messi in opera questa misura è l'unica alla quale affidarsi per tornare alla normalità in una classe o in un istituto. Non si puo' restare disarmati rispetto a chi deliberatamente vuole fare del male alle persone con cui divide lo spazio di una classe e di un istituto e per farlo deliberatamente non è necessario essere maggiorenni.

Se un istituto deve avere delle norme interne di vivibilità, questo non comporta l'installazione di telecamere nelle classi e nei corridoi per facilitare il compito; una scuola non deve diventare un istituto di sorveglianza. Le norme di vivibilità hanno bisogno solo di persone che se ne curino costantemente, come proprio compito e che dimostrino nei fatti e quotidianamente di amare il proprio mestiere e di volere il bene delle persone che loro sono state date in affidamento.
Il dramma è proprio questo. Una scuola che non si curi o che non è messa nelle condizioni di educare i giovani rischia di non potere assolvere i compiti di formazione delle competenze e di trasmissione dei saperi, per i quali istituzionalmente esiste. Ma il compito educativo che le compete non puo' essere svolto nel pieno di una costante campagna di delegittimazione o con l'ostilità crescente dei genitori. Il compito educativo a scuola è un compito plurale e di collaborazione e la collaborazione non è la competizione, la corsa al primato individuale che si è voluto innestare nel corpo professionale. Deve essere pensato e progettato nel collegio dei docenti e svilupparsi nei consigli di classe. E' l'intero istituto che deve porsi come luogo di accoglienza e di reciproco rispetto. Per educare non è necessario inventarsi l'ora di educazione morale, ma solo far vivere nei gesti quotidiani di ogni attività scolastica, a partire da quella didattica, il rispetto di sè e degli altri.

Raimondo Giunta








Postato il Venerdì, 04 maggio 2018 ore 20:00:00 CEST di Nuccio Palumbo
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