Mi
chiedo che senso possa avere in una scuola commemorare Falcone senza la
riflessione e senza raccogliere qualche pensiero che oltrepassi la
banale soglia degli slogan. I ragazzi non andrebbero adunati come
numeri nell’indistinto recinto della legalità, bensì aiutati a
comprendere la realtà che li circonda, a valutarne il peso, a formarsi
ed esprimere giudizi su di essa. E per far questo bisogna
accompagnarli, ci vuole dedizione e competenza, ci vuole tempo e
volontà, ci vuole la passione discreta di ogni santo giorno, non solo
per le feste comandate. Quanto più opportuno sarebbe far scivolare
qualche buona domanda tra i loro distratti pensieri, e impedire che
vengano risucchiati dall’abitudine a tante piccole anormali
“normalità”. Quanto più proficuo indurli al desiderio di conoscere, di
rafforzare la loro intuizione così che ciascuno non provi il disagio
silenzioso o esprima la rumorosa noia per non essere ancora all’altezza
del proprio sentire, per non averlo ancora arricchito.
Molti ragazzi nulla sanno di Falcone se non che è morto ammazzato dalla
mafia, neppure hanno mai letto il suo “Cose di cosa nostra” che pure li
aiuterebbe, e parecchio, a capire tanti aspetti della cultura che li
riguarda. Che tipo di contributo ci si aspetta da questi ragazzi in una
giornata simile se non l’adesione acritica e immotivata ai rituali di
una nebulosa rievocazione? E può tramandarsi qualunque memoria privata
di senso, di cultura, di urgenza morale?
Nessuna ennesima improvvisata pantomima della legalità potrà mai
colmare il vuoto materiale di idee e d’impegno, così come nessuna
fragilità di quei giovani sarà mai al riparo dalle imboscate puntuali
della realtà quotidiana. E quei docenti che s’infiorano di microfoni e
retorica, quei docenti che indispettiti o eccitati come talebani
pretendono dai ragazzi il silenzio e l’attenzione dandogli dei
“mafiosi”, bene farebbero a chiedersi, loro per primi, se sanno davvero
meritarseli, il silenzio e l’attenzione.
Se siano mai stati all’altezza della funzione educativa che, sulla
carta, ricoprono; e se non sia più dignitoso ogni tanto tacere, e
interrogarsi, anziché fare i gazzettieri presenzialisti del nulla.
Filippo Martorana