Il Sud non è
figlio di una storia minore” – Un Andrea Camilleri davvero in forma e
senza peli sulla lingua in una fantastica lettera aperta al giornalista
de “La Repubblica” Francesco Merlo, meridionale che però vede il sud
solo attraverso i vecchi, logori luoghi comuni…!
Una lettera aperta dello scrittore Andrea Camilleri replica al
giornalista de “La Repubblica” Francesco Merlo, autore del video “Da
Genova a Messina, le differenze di un’Italia flagellata“. Merlo è nato
al Sud ma emigrato al Nord, e ora sostiene tra l’altro che “…È molto
pericoloso aiutare il Sud….”. Francesco Merlo, così come altri
editorialisti e ideologi de La Repubblica e del Corriere della Sera,
stanno collaborando attivamente a quella che abbiamo definito la
secessione reale del paese. E Andrea Camilleri non gliele manda a dire.
“Ciccio, ti scrivo a nome di tanti siciliani e ti chiamo Ciccio perché
anche tu sei siciliano essendo nato a Catania. Lo so che ti da
fastidio, perché - avendo lavorato per 19 anni al Corriere della Sera e
scrivendo da 10 anni per La Repubblica - probabilmente non ti piace
essere chiamato “Ciccio”. Magari, dopo tanti anni al Corriere, parli
pure milanese e Ciccio in milanese non suona bene. Ma io continuerò lo
stesso a chiamarti Ciccio ok?
Dunque, Ciccio, voglio dirti che qui noi siamo indignati. Lo so che,
proprio in questi ultimi tempi, è un termine inflazionato ma non ne
trovo uno migliore per manifestarti il nostro sdegno per quello che hai
detto nel tuo servizio sull’alluvione nel messinese. Qui l’acqua
avrebbe portato via il “mattone selvaggio e l’accozzaglia di laterizi”,
mentre…dalle tue parti la natura malvagia avrebbe distrutto “i centri
storici, lo spazio pubblico celebrato, la bellezza di città che sono
storicamente costruite per piacere, per aiutare l’uomo a vivere e non a
sopravvivere”. Ciccio, ma che dici? La storia della tua terra (quella
d’origine, intendo: la Sicilia) te la ricordi?
Ciccio, anche i nostri paesi hanno un centro storico: centri di antica
tradizione, come Saponara: ti ricordi di Saponara, vero? A Saponara
l’acqua ha mandato giù un costone roccioso che ha sotterrato una casa,
e - con la casa - ha sotterrato anche tre persone, e fra queste tre
persone c’era un angioletto biondo di appena dieci anni.
Ah…dimenticavo: quella casa non era abusiva: era una casa come la tua,
forse meno ricca della tua, ma era comunque una casa, insomma una casa
normale, non un’accozzaglia di laterizi. A proposito del nostro bimbo
annegato nel fango…ecco, qui voglio ringraziarti per aver detto che “i
bambini affogati sono uguali”. Almeno questo ce lo hai riconosciuto,
Ciccio…i nostri non sono figli di un dio minore almeno quando affogano
nel fango. Grazie, grazie davvero.
“La forza dell’acqua distrugge sviluppo e sottosviluppo”. Naturalmente,
lo sviluppo sta al Nord e il sottosviluppo è il nostro. Ciccio, vuoi
che partiamo da lontano?
E allora, mi permetto di ricordarti che nell’anno 1100, mentre dalle
tue parti si brancolava nel buio del Medioevo, i Siciliani avevano il
primo Parlamento della storia, il primo parlamento d’Europa.
Facciamo un bel salto e arriviamo al 1861.
In quegli anni - esattamente nel 1856 - in occasione dell’Esposizione
Internazionale di Parigi, Il Regno delle Due Sicilie ricevette il
Premio come terzo Paese più industrializzato del mondo, dopo
Inghilterra e Francia. Il Meridione possedeva una flotta mercantile
pari ai 4/5 del naviglio italiano, una flotta che era la quarta del
mondo. Il Sud era il primo produttore in Italia di materia prima e
semi-lavorati per l’industria. Avevamo circa 100 industrie metal
meccaniche che lavoravano a pieno regime (era attiva la più grande
industria metalmeccanica d’Italia).
Avevamo industrie tessili, manifatturiere, estrattive. Avevamo
distillerie, cartiere. Avevamo la prima industria siderurgica d’Italia.
Il primo mezzo navale a vapore del Mediterraneo (una goletta) fu
costruito nelle Due Sicilie e fu anche il primo al mondo a navigare per
mare. La prima nave italiana che arrivò nel 1854, dopo 26 giorni di
navigazione, a New York, era meridionale, e si chiamava - guarda un
po’! - “Sicilia”. La bilancia commerciale con gli Stati Uniti era
fortemente in attivo e il volume degli scambi era quasi il quintuplo
del Piemonte. Il cantiere di Castellammare di Stabia, con 1.800 operai,
era il primo d’Italia per grandezza e importanza.
Ancora: il tasso di sconto praticato dalle banche era pari al 3%, il
più basso della Penisola; una “fede di credito” rilasciata dal Banco di
Napoli era valutata sui mercati internazionali fino a quattro volte il
valore nominale. Il Regno Napoletano, fra tutti gli Stati italiani,
vantava il sistema fiscale con il minor numero di tasse: ve ne erano
soltanto cinque. Tu, Ciccio, potresti dirmi: “acqua passata”. Potresti
chiedermi come ci siamo ridotti così, oggi…sottosviluppati.
Bene…ti spiego: fin dal primo anno di unificazione, il neonato Stato
italiano introdusse ben 36 nuove imposte ed elevò quelle già esistenti.
In appena quattro anni, la pressione fiscale aumentò dell’87%, ed il
costo della vita ebbe un incremento del 40% rispetto al 1860, i salari
persero il 15% del potere d’acquisto.
Dopo l’unificazione d’Italia, l’industria meridionale e persino
l’agricoltura furono letteralmente abbandonate e penalizzate con una
politica economica che favorì il Nord a danno del Sud, come risulta da
un’inchiesta sulla ripartizione territoriale delle entrate e delle
spese dello Stato voluta da Francesco Saverio Nitti (non l’abbiamo
pagato noi…giuro). Per diversi decenni si verificò un continuo
drenaggio di capitali dal meridione al Nord dovuto proprio ad una
scelta di politica economica dello Stato, mentre sul piano delle
imposte il Mezzogiorno e la Sicilia contribuivano in maniera di gran
lunga superiore alle regioni del Nord.
Non andò meglio per i lavori pubblici, in quanto gran parte delle spese
furono fatte nell’Italia Settentrionale e Centrale. In sostanza il
bottino dei Savoia fu veramente enorme, se si considera che il danaro
trafugato dalle casse del “Regno delle Due Sicilie” ammontava a 443
milioni di lire oro, vale a dire due volte superiore a quello di tutti
(dico tutti) gli Stati preunitari della penisola messi insieme; lo
Stato savoiardo ne possedeva solo 20 milioni. Questa è storia Ciccio,
dunque non volercene se una politica assassina ci ha ridotto come siamo
adesso. Non dirci che siamo “sottosviluppati”, non ce lo meritiamo.
Perché -vedi- la cultura siciliana non è da meno rispetto a quella
dell’ormai “tuo” Nord!
Anzi…a giudicare dal numero e dall’importanza dei cervelli che mandiamo
a lavorare dalle tue parti, potrei osare di più, ma non mi va. L’acqua,
qui, porta via centri storici e persone esattamente come a Genova e
come nelle Cinque Terre. E a Barcellona i torrenti sono “tombinati”
esattamente come a Genova.
Sai, Ciccio, i giornali arrivano anche qui, e noi li leggiamo. E, se
proprio la vogliamo dire tutta, anche a Genova c’erano case costruite
nei greti dei torrenti: le abbiamo viste tutti in televisione: anche
lì, dunque, “mattone selvaggio” e “accozzaglia di laterizi”? Ascoltami,
Ciccio: nella prossima estate, torna in Sicilia. Non ti chiedo di
starci molto: quindici giorni a pensione completa. Fatti un giro,
magari anche nella città che ti ha visto bimbo meridionale: Catania.
Scoprirai cose nuove. Scoprirai che i siciliani non sono affatto
rassegnati, sono incazzati neri. E’ diverso.
Scoprirai che “le persone per bene” che pensano che il Sud sia solo
violento-imprevedibile-inaffidabile-sprecone-confusionario-corrotto-mafioso-camorristico
(come dici tu in una sorta di crescendo rossiniano), in realtà non sono
persone per bene: sono degli idioti. Oppure dei delinquenti. E mi
dispiace se fra loro dovessero esserci amici tuoi: sempre idioti
restano o delinquenti che hanno interesse ad affossarci ancora di più.
Perché - vedi - se qui i mafiosi portano ancora la coppola, mentre al
Nord portano la cravatta e magari hanno l’auto blu e la scorta, per noi
non fa molta differenza. Ripeto, i giornali li leggiamo anche qua…E
quella “pietà diversa” di cui parli, Ciccio: ma ti sei ascoltato? “La
disgrazia di Genova fece esplodere gli animi e mettere mano al
portafoglio”, mentre qui le disgrazie sarebbero solo “il prolungamento
della normalità”. Qui è meglio “non dare perché elemosiniere ed
elemosinato rischiano di fare la stessa fine”.
E, quindi, “aiutare il Sud potrebbe risultare pericoloso, fortemente
pericoloso”. No, Ciccio, ti sbagli.
La nostra normalità non è questa che dici tu. La nostra “normalità” ci
è stata tolta proprio da quelle “persone per bene” di cui parli quelle
stesse che oggi vorrebbero farci “il ponte sullo Stretto” per finire di
fregarci il poco che ci è rimasto. Noi non siamo affatto rassegnati,
Ciccio, e vogliamo riprendercela la nostra normalità. La nostra
normalità ha nome e cognome, anzi …nomi e cognomi, come Antonello da
Messina, Vincenzo Bellini, Francesco Maurolico, Finocchiaro Aprile,
Alessandro Scarlatti, Filippo Juvara, Luigi Pirandello, Giovanni Verga,
Lucio Piccolo, Tommaso Cannizzaro, Bartolo Cattafi, Giuseppe Tomasi di
Lampedusa, Renato Guttuso, Ettore Majorana, Vittorio Emanuele Orlando,
Salvatore Quasimodo, Leonardo Sciascia, Vann’Antò’.
La nostra normalità ha luoghi che si chiamano Mozia, Segesta,
Selinunte, Piazza Armerina, Naxos, Siracusa, Monreale, Taormina, Erice,
Agrigento, Noto: tutti con i loro “centri storici” come Messina, e -
perché no - come Barcellona e come Saponara. Noi conserviamo la cultura
dei nostri padri
Noi conserviamo le tradizioni di questi luoghi. Non siamo rassegnati,
siamo orgogliosi (oltre che incazzati).
E se i nostri Gattopardi sono stati sbranati dalle iene e dagli
sciacalli, come aveva previsto il Principe di Lampedusa in tempi non
sospetti beh…verrà il momento del riscatto. Noi ci crediamo, dobbiamo
crederci E, per tornare alla tua “pietà diversa”, sappi che questo tipo
di pietà non ci interessa. Noi vogliamo solo difendere i nostri diritti
vogliamo solo il nostro, quello che ci spetta.
Siamo noi che abbiamo pietà, pietà per gli oppressi, per i vinti, pietà
per chiunque soffra. E siamo ancora noi che abbiamo, legittimamente,
dei pregiudizi. Da oggi nutriamo pregiudizi anche nei tuoi confronti e
nei confronti del tuo giornale. E se non riesci a fartene una ragione,
se non riesci a pensare di dovere chiedere scusa , allora davvero hai
voluto rinnegare le tue origini, le tue radici, la tua storia
Ciao “Ciccio”.
Andrea Camilleri