
Ma questa è un'altra storia, che forse un giorno troverà la sua pagina.
Qui ed ora vorrei invece dire del ridere, del riso, del sorriso. Non del ridere meccanico, sguaiato, inautentico di questo nostro tempo difficile, in cui - molto peggio che nel secolo scorso - gli uomini sono sempre più perduti dentro i gorghi dell'immagine, dell'apparire, della finzione, dimentichi di sé stessi, del loro essere vivi, della loro umanità.
Non di questo riso inutile, e anzi dannoso, ma di quel riso che sulle labbra traduce un modo di essere, di stare al mondo. Di quel riso che, per tornare a Leopardi, appartiene spesso agli uomini dalle maniere semplici, quasi sempre quelli che valgono molto.
Giuseppe Giglio