I lavoratori rischiano di perdere gli aumenti dell'ultimo scatto
40 anni? Oltre al danno la beffa
Gli effetti della riforma che prevede il pensionamento forzato
allo scoccare del requisito contributivo ItaliaOggi 27.10.2009
Pensione forzata, ma pure assegno ridotto. I docenti e gli Ata che andranno in pensione grazie alla riforma che prevede il licenziamento da parte dell'amministrazione allo scoccare dei 40 anni di contributi, e non più di servizio effettivo, rischiano di perdere del tutto, ai fini del calcolo della base pensionabile, l'ultimo aumento stipendiale, quello che si matura con 35 anni di servizio. E si stanno preparando, secondo quanto risulta a ItaliaOggi, a chiedere per via giudiziale che gli sia riconosciuto un rateo pari agli anni lavorati in più rispetto alla penultima posizione stipendiale.
Questi i fatti. La risoluzione unilaterale del contratto di lavoro del personale docente ed Ata, ausiliario, tecnico e amministrativo, che ha maturato il 40° anno di contribuzione utile a pensione, è possibile per effetto di quanto dispone il comma 11 dell'art. 72 della legge n.133/2008, come modificato dall'art.17, comma 35 novies del decreto legge n. 78/2009 e la circolare n. 4 del 16 settembre 2009 del ministro della funzione pubblica, Renato Brunetta. La richiesta di includere nella base pensionabile anche le quote maturate nella posizione stipendiale in godimento er disposto dall'art. 161 della legge n. 312/1980.
Ma la richiesta del rateo è stata respinta in passato sia dal ministro dell'economia e delle finanze che da quello della funzione pubblica, che avevano motivato il diniego per effetto della abrogazione del regime di progressione automatica degli stipendi (aumenti biennali come previsti dal Ddr 399/1988) disposta dal decreto legislativo n. 29/1993 e successive modificazioni. In relazione alla predetta modifica ordinamentale, si leggeva in una nota della Ragioneria generale dello stato, datata 2002, non sembra possibile continuare a configurare come automatismi e pertanto ritenere ancora attribuibile le quote mensili previste dall'art. 161 le posizioni stipendiali definite dai contratti del comparto scuola. I contratti sottoscritti dal 1995 dispongono, infatti, che il trattamento economico fondamentale di un docente o di un personale ata con contratto a tempo indeterminato si sviluppa per posizioni stipendiali conseguibili nell'arco di 35 anni di servizio effettivo e con scadenze predeterminate come indicate nella tabella.
Di norma, l'ultima posizione stipendiale si consegue, per la generalità dei docenti, dal 1° gennaio dell'anno successivo a quello di compimento del 35° anno di servizio. Per il personale Ata sono, invece, possibili scadenze diverse. Le motivazioni per le quali le disposizioni dell'art. 161 non potevano essere più applicate non hanno mai del tutto convinto il personale della scuola che ha cercato di cessare dal servizio solo a posizione stipendiale maturata.
La circostanza che la risoluzione del contratto di lavoro possa invece dipendere esclusivamente da una autonoma volontà dell'amministrazione, non poteva non riaprire il discorso sulla legittimità della non applicazione delle disposizioni del più volte citato art. 161. Ecco un esempio: docente con 40 anni di contribuzione, con una età anagrafica inferiore a 65 anni, matura il diritto all'ingresso nell'ultima posizione stipendiale dal 1° gennaio 2011. La precedente posizione risale al 1° gennaio 2004. Se l'amministrazione decide di risolvere il suo contratto con decorrenza dal 1° settembre 2010, il calcolo della pensione e quello del trattamento di fine servizio sarà predisposto dall'Inpdap, l'istituto previdenziale guidato da Paolo Crescimbeni, sulla base dello stipendio in godimento alla data del 31 agosto 2010 e, pertanto sulla base della penultima posizione stipendiale contrattuale. I 7 anni di servizio prestati dal settembre 2003 ad agosto del 2010 non avrebbero alcun valore economico. Del tutto comprensibile il ricorso alla magistratura, salvo che Istruzione e sindacati non trovino una soluzione.