Tommaso De Luca,
preside e orientatore dell’Itis Pininfarina di Moncalieri, è estenuato:
da settimane sta girando per le scuole medie di Torino e dintorni
cercando di spiegare che, in fondo, anche un tecnico industriale è
adatto alle ragazze.
Lui, per rendere dolce la vita alle sue 40 studentesse (su 960
iscritti) ce la mette tutta, con corsi di teatro e di hip hop.
Ma il messaggio non passa: «Purtroppo credono ancora che dalle nostre
aule si entri in un’officina rumorosa e unta, indossando una tuta blu».
Siamo a due settimane dalla chiusura delle iscrizioni alle secondarie:
giorni frenetici per gli studenti e per chi deve indirizzarli, gli
orientatori scolastici.
In realtà il primo consiglio è già arrivato: è definito “orientativo”
ed è stato preparato dagli insegnanti delle medie.
Peccato che i destinatari ne facciano carta straccia: secondo il Cisem
(l’istituto di ricerca della provincia di Milano), solo l’8 per cento
degli studenti ne tiene conto.
Il compito dell’orientatore quindi è delicato: se un ragazzo sceglie
bene, non abbandonerà il suo percorso. E in Italia, uno studente su
cinque dopo la terza media fa sparire le sue tracce.
A Milano il responsabile del servizio orientamento del Comune è, da
vent’anni, Francesco Dell’Oro. Lo incontriamo all’uscita di una media,
dove ha tenuto lezione in una seconda.
Ha mostrato un gioco: «C’è un’autostrada con le sue “stazioni di
servizio”: la prima adolescenza, i compagni di viaggio».
A che servono? «Sono spazi in bianco, che spetta al ragazzo riempire.
In modo da arrivare al traguardo, cioè alle superiori, con
consapevolezza».
Dell’Oro e i suoi quattro collaboratori vedono ogni anno 11.000
studenti e fanno 700 colloqui individuali.
«Il compito principale è rassicurarli: hanno poca autostima, non si
fidano di se stessi».
Le domande dei ragazzi? «Non si interrogano più sul domani. Conta solo
il presente».
Conferma Graziano Zuffi, da vent’anni orientatore a Trento. «Una volta,
gli adolescenti erano proiettati sul futuro. Oggi invece non riescono a
vedere un approdo, si sentono alla deriva.
Per questo, cercano di capire il senso di quello che stanno facendo:
che senso ha andare a scuola? Che senso ha fare sacrifici? ».
Zuffi cita i dati sulla dispersione in Trentino, il 7-8 per cento, più
bassi della media nazionale.
Corriere della Sera
per leggere tutto l'articolo