Hanno
bocciato 16 alunni dei 33 iscritti alla prima classe meccanici
dell'Istituto professionale 'Riccì di Fermo, cuore del distretto
calzaturiero delle Marche. Sono frustrati, ammettono il fallimento, ma
in una lettera aperta alla stampa 12 docenti dell'Ipsia richiamano
istituzioni, Governo e mondo economico ad arrestare «l'inesorabile
deriva dell'istruzione professionale», e a comprendere le condizioni
«insostenibili» in cui gli insegnanti sono costretti a lavorare. Classi
da 30-37 studenti, in gran parte stranieri, nessun servizio di supporto
psicologico per i ragazzi più difficili, dotazioni strumentali ridotte
al minimo; quest'ultimo un vero parodosso per una scuola professionale
dove si dovrebbe «imparare facendo». «Sedici bocciati su 33 - scrivono
i professori - sono di fatto la metà della classe. (da Leggo).
Ma lo scrutinio di fine anno non è frutto di un intento punitivo o di
una smisurata volontà di selezione: solo la presa d'atto che, nelle
condizioni date, nonostante il nostro impegno non siamo riusciti a
portare gran parte degli studenti agli obiettivi minimi per andare
avanti». «Un grave insuccesso, di fronte al quale non possiamo e non
vogliamo far finta di nulla». Ai docenti sta a cuore «il futuro dei
nostri giovani e del territorio, e la lettera non vuole essere un
alibi» ma un contributo di riflessione. Un istituto professionale è
sempre una «scuola di frontiera fra istruzione e abbandono scolastico».
In genere accoglie studenti con «percorsi scolastici travagliati,
difficoltà di apprendimento, condizioni sociali svantaggiate, e il
maggior numero di stranieri rispetto a ogni altro indirizzo di studio».
Negli Ipsia i giovani dovrebbero poter contare su percorsi
individualizzati per modulare contenuti e stimoli, ma «solo per
memorizzare i nomi delle loro variopinte moltitudini si impiega almeno
un trimestre». Economie finanziarie impoveriscono anno dopo anno «le
dotazioni strumentali indispensabili a mantenere l'approccio di
laboratorio alla didattica». E con il venir meno del carattere
operativo dei corsi gli studenti perdono l'occasione «di riconciliarsi
con la scuola nel suo complesso». Molti abbandonano, cercano un lavoro
se lo trovano, o imboccano percorsi devianti. Un costo sociale
«altissimo», che il Paese sembra non vedere, disposto a «risolvere il
problema alla radice, smantellando l'istruzione professionale». La
riforma delle scuole superiori e la norma che consente di assolvere
l'obbligo scolastico anche con l'apprendistato nei luoghi di lavoro
«vanno in questa direzione», concludono i docenti. E pensare che dalla
crisi, si dice, si può uscire solo puntando su istruzione e formazione.
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