Questa
storiella ci mette subito in
discussione da studenti e da studiosi. Sì, dinanzi allo studio e alle
fatiche
che ne derivano, dobbiamo fermarci e porci questa fondamentale domanda:
“Per
chi cammino?”. Non è un perdere tempo bensì è il modo migliore per
guadagnarlo
anziché scoprire che, dopo tanta strada e fatica, siamo andati da
tutt’altra
parte. Cosa significa? Facile! Spesso crediamo di essere nel giusto, di
fare
tutto meglio di altri, di essere sulla retta via; lo pensiamo in buona
fede, ma
questo non basta. Non ti sembra a volte che le tue scelte personali in
materia
di studio e quelle dei tuoi compagni o colleghi puntino verso il basso,
verso
il minimo indispensabile, piuttosto che verso l’alto o a prendere il
largo? In questi anni di duro studio
dobbiamo sempre porci le seguenti
domande: “Perché studio? Cosa vuol dire per me studiare? Come vivo lo
studio? Come
si può trasformare la nostra vita scolastica in vita vissuta?”. Ci
viene in
aiuto don Luigi Giussani quando indica tre punti fondamentali:
1)
Valorizzare il positivo in
ciò che si studia.
2) Simpatia verso gli autori che si studiano, cercando di capirli.
3) Cercare prima l’essenziale, poi il particolare.
A
chi si chiede come giustificare la fatica per lo studio
il
Prof. Chris Bacich spiega che «non c’è cosa bella che non richieda
fatica,
perché siamo ferocemente incompiuti. L’essenza stessa della ragione è
questo
essere incompiuti e perciò alla ricerca di ciò che si compie. E questo
che ci
compie non può che essere fuori di noi, la realtà stessa è un invito.
Da qui la
voglia di cercare, capire il nesso tra le cose». Studiare è come
appassionarsi
a qualcosa di cui non comprendiamo tutto subito, ma che pian piano va
delineandosi come un bel tappeto finito il cui intreccio nel retro non
era
prima comprensibile. Sempre con don Giussani si potrebbe indicare in
latino con
la parola studere,
un
termine potente che nella traduzione italiana è boicottato dalla
superficialità
con cui viviamo lo “studiare”. Studere
è l’essere attirato dall’essere, come il
giovane dalla giovane. Allora chi realmente cerca il vero, da tutto si
fa
aiutare per il vero. Comprendiamo, dunque, che non c’è niente del
nostro stare
sui libri o in aula ad ascoltare o a scrivere che sia lontano dal
vissuto di tutti
i giorni, dalle passioni persino dalla fede. Certo la fatica è tanta,
spesso
non trova soddisfazioni, troppe volte non c’è un riconoscimento da
parte dei
docenti, e così tutto diventa più pesante, si mostra anche inutile e
incomprensibile. Come si fa ad essere contenti di tutto questo? «Il
metterti a
studiare non è una rinuncia al desiderio di contentezza – continua
Giussani -
ma è una sospensiva, una specie di allontanamento al desiderio di
contentezza
che hai, un distacco, che ti assicura una contentezza più grande:
perché quando
hai studiato il giorno dopo sei più contento». Tutto questo lo si
raggiunge
attraverso la consapevolezza di essere parte di un grande progetto, non
sempre
comprensibile, ma sicuramente pensato per amore, dove gli ostacoli
possono
essere superati con l’esercizio costante, l’accompagnamento di qualcuno
che ci
vuole veramente bene e una buona compagnia, un gruppo di persone
stimolanti,
serene, amiche. C’è comunque un lavoro personale da fare che può
ragionevolmente essere sintetizzato in questi passi:
a)
SINTESI:
- Cercare all'interno della materia qual è la realtà in questione, "di
che
cosa si sta parlando". La memoria permette di ripetere parole scritte
su
un libro, ma la ragione si mette in movimento solo quando si accorge
che la
realtà esiste.
- Cercare un filo conduttore che leghi i diversi elementi del reale e
che si
prolunghi fino a sé ed alle proprie domande sulla realtà.
b) SOLIDARIETA’ concreta di persone con le quali studiare che già sono
avanti
nel cammino.
c) RICERCA: lo studio volto alla ricerca esercita un fascino
imprevedibile.
d) FATICA dello studio: si supera solo nella passione per le cose che
si
studiano ed in una compagnia.
Marco
Pappalardo