“La morte, la carne e il diavolo nella letteratura romantica” è un
raffinatissimo saggio di Mario Praz intorno agli aspetti più
interessati e suggestivi della letteratura dell’ottocento europeo,
presi sotto esame attraverso le opere dei più grandi artisti; “Bisogna
lottare con il mondo, la carne e il diavolo” è invece un detto della
antica civiltà contadina di San Cono che la madre del sottoscritto ci
ripeteva nei momenti più particolarmente pesanti e brutti che ci
capitava di attraversare in questo tempo alto e crudele. Ma che c’entra
Praz e la madre del sottoscritto? Nulla se non fosse che i due estremi,
la più colta e aulica erudizione europea e la più isolata e antica
cultura siciliana, come quella sanconese, si raggiungono e concordano
su alcuni punti dell’intera filosofia occidentale: la vacuità del
mondo, la debolezza della carne e la tentazione demoniaca. Certamente
il problema di Schiller, per esempio, era quello di costruire uno Stato
estetico, regolato dalla bellezza, mentre il nostro problema è quello
di uno Stato che vigili sul salumiere quando pesa la mortadella e il
prosciutto; per Goethe il problema era la conoscenza del mondo, per noi
è invece quello di affrontare un viaggio con un margine alto di
sicurezza, sia quando entriamo in aeroporto o in autostrada o dentro
l’albergo, e sia quando ordiniamo una pizza nel locale raccomandatoci
dagli amici. Il cruccio di Leopardi era la natura bizzarra, per noi il
nubifragio inaspettato o la cenere vulcanica che distrugge quel po’ di
giardino innaffiato col sudore. Ma forse il problema dei problemi è la
metamorfosi a sorpresa, la possibilità di trasformarsi nello
scarafaggio di Kafka oppure quello di trovarsi di fronte un mostro
orrendo, generato dalle bizze di uno scienziato pazzo come il mitico
Frankenstein. E allora un giorno decidi di affrontare un problema della
scuola che ti pare razionale e propositivo e che hai colto nei meandri
della politica più schietta, ma ecco dal sottobosco qualunquista spunta
la spina che non argomenta nulla ma spara solo aculei retorici
scacalleschi per attirare l'attenzione. In letteratura è
l’imprevisto che rafforza la narrazione, mentre nel dramma greco di
Euripide è detto: l’atteso non si compie e all’inatteso un dio apre la
via; e quell’inatteso condiziona e determina la storia, altrimenti che
storia sarebbe se tutto andasse liscio? Non fu l’inatteso capriccio di
Don Rodrigo che consentì al Manzoni i “Promessi sposi”? Anche la nostra
riflessione è scattata grazie, o a causa, della presenza del morbo
della mucca pazza che sembra abbia colpito opinionisti senza opinione o
ballerine che svelano pudenda per il piacere di esibirsi. Non già
dunque la comprensione del problema o l'analisi lucida di tutti i suoi
risvolti, ma solo il tentativo di misurarsi con chi cerca di impegnarsi
e con chi segue da sempre il suo filare nonostante già in esso trovi
tutte le difficoltà del mondo, della carne e del diavolo. E un giorno
puoi decidere anche di addentrarti in un altro problema, per il piacere
di capirlo e di condividerlo, e sicuramente inatteso si troverà
l'opportunista che ti sciacallerà ancora, sia perchè non è in grado di
elaborazioni teoriche e sia, e soprattutto, perchè non proietta neanche
l'ombra, avendola barattata per qualcosa, come il povero Peter
Schlemihl di Adalbert von Chamisso. Macbeth pugnalava il sonno per
ingordigia di potere, noi lo accarezziamo invece, benchè prima di
unirci con lui saporitamente riflettiamo sempre sul libro di Praz e
sulle sante parole della mamma: il mondo, la carne e il diavolo,
bisogna combatterci!
PASQUALE ALMIRANTE