Nell’antico
Tempio di Gerusalemme vi era uno spazio chiamato «Cortile dei Gentili».
Ad esso potevano
accedere tutti, non soltanto gli israeliti. Non c’erano vincoli di
cultura,
lingua o religione. In
tal modo, accanto al luogo nel quale Dio aveva fissato la sua presenza,
si
apriva un’area per i non ebrei,
per gli «altri», o meglio per i non credenti nel Dio unico di Abramo,
Isacco e
Giacobbe. Un atrio
esterno, rappresentato appunto da questo cortile dei gojim, con
porticato e
colonne, sotto cui sostavano
scribi e sacerdoti per dialogare con coloro che chiedevano di conoscere
meglio
la religione
di Israele. La sua esistenza è attestata a partire da Antioco III
(223-187 a.
C.) e ad esso si riferisce
forse l’Apocalisse: «Ma l’atrio che è fuori del santuario, lascialo da
parte e
non lo misurare,
perché è stato dato in balìa dei pagani» (11,2). Giuseppe Flavio nelle
sue
Antichità Giudaiche
(XV, 417) parla dell’iscrizione che proibiva l’ingresso agli stranieri,
sotto
pena di morte, nella
parte riservata al popolo ebraico. Qui si fermò anche Gesù. Da questa
consuetudine, dopo un invito
di papa Benedetto XVI alla fine del 2009, è nata l’idea del cardinale
Gianfranco
Ravasi, presidente
del Pontificio Consiglio della Cultura, di dare vita a uno spazio di
incontro e
confronto sulla
fede chiamato, appunto, «Cortile dei Gentili». Un dialogo che non si
terrà in
un luogo fisso come
un tempo usava ma percorrerà le città del mondo, incontrando le diverse
culture. Cercherà risposte
alle domande della fede, alimenterà una reciproca conoscenza tra
credenti e non
credenti. Ravasi
invita ogni uomo e punta sul dialogo: affida ad esso le speranze, gli
approfondimenti, nonché
la creazione di nuovi contesti per meglio comprendere i problemi
attuali. Del
resto, Platone consegnò
ai dialoghi il suo pensiero; ora si guarda con spirito aperto a questa
forma di comunicazione
per scoprire idee e opinioni condivise, allargare le comuni
consapevolezze. Il cardinale
nota: «In ogni incontro c’è già un valore». Non è possibile scrivere in
questo
momento un programma
definitivo del progetto riguardante il «Cortile dei Gentili», perché le
richieste stanno giungendo
da ogni parte del mondo. Possiamo soltanto ricordare che codesta
odissea di
ragione e fede
comincerà a Bologna il prossimo 12 febbraio; il 24 e 25 marzo sarà la
volta di
Parigi, ma già si parla
di Tirana, Praga, Stoccolma, Ginevra, Mosca, Chicago, senza contare le
richieste che stanno giungendo
dall’Asia e dal Sud America. Perché Bologna? Ravasi chiarisce:
«Cominceremo il
nostro viaggio
nella più antica università d’Europa, con una grande tradizione laica.
Sabato
prossimo sarà la
vera e propria "prolusione"di un itinerario di dialogo e di ricerca
dalle tappe molteplici. L’idea nasce
quasi in connessione, in concorrenza con l’evento di Parigi, in
particolare con
la manifestazione
della Sorbona». Il rettore, Ivano Dionigi, precisa che «un’università
pubblica
e laica che
ospita il confronto tra il credere e l’intelligere non abdica alla
propria
autonomia, ma assolve la funzione
di istituzione vocata, per natura e storia, alla formazione e alla
ricerca». Il
suo intervento e quello
del cardinale apriranno, poco dopo le 10, i discorsi dei primi quattro
«relatori» del «Cortile» : lo
scienziato Vincenzo Balzani, il costituzionalista Augusto Barbera, i
filosofi
Massimo Cacciari e Sergio
Givone. Saranno intervallati da letture dell’attrice Anna Bonaiuto (tra
l’altro, ha lavorato con Pupi
Avati, Liliana Cavani e Nanni Moretti), che farà rivivere brani di
Agostino
(Confessioni), Pascal
(dei Pensieri la parte sulla «Scommessa» ) e Nietzsche (Così parlò
Zarathustra). Sottolinea
Ravasi: «L’iniziativa sarà aperta a tutti: studenti, docenti e anche a
coloro che
desiderano percorrere
i sentieri di altura della ricerca sia filosofica sia teologica, sia
razionale
sia di fede. L’universitas
torna a raccogliere ogni disciplina, compresa la teologia, e si rivolge
all’agorà, alla comunità,
a chi cerca e si interroga». — per l’eminente uomo di Chiesa questo è
il primo
di due passi
da intraprendere: «Mi sono ora rivolto all’orizzonte alto della cultura
ed è
auspicabile che sia l’inizio
di un percorso di confronto nell’ambito accademico o, se si vuole, in
quello
del sapere più qualificato
e specialistico; il secondo, invece, è delicato, decisamente arduo:
sarà un
confronto serrato,
anche aspro, con la tipologia dominante della non credenza attuale che
è quella
nazional popolare
dell’indifferenza, dell’amoralità, dello sberleffo ateistico».
Inoltre
Ravasi chiarisce i termini del primo incontro: «Il rettore e io non
faremo,
ovvero non daremo il
là; vorrei ribadire che la tonalità del dibattito è lasciata
completamente
libera. Noi presenteremo soltanto
la ragione di indole culturale che esige un simile confronto, perciò
non sarà
mai la finalità dell’incontro
strettamente apologetica o volutamente laica, ma quello che si intende
avviare
è un dibattito
aperto, un dialogo sulle letture differenti delle questioni umane
fondamentali». Chiediamo
degli esempi. In tal caso il cardinale mette in campo parole pesanti,
che
stanno al centro dell’attenzione
di scienza e teologia, oltre che in secolari controversie filosofiche:
«Vita,
morte, oltrevita,
bene e male, amore e dolore, verità e relativismo, trascendenza e
immanenza».
Aggiunge: «Ovviamente
ci sarà un’attenzione per le questioni bioetiche, in modo da essere
sempre
attenti ai progressi
delle scienze ma al tempo stesso anche alla complessità del valore
della vita e
della persona,
che restano il punto di riferimento sia per la teologia che per la
filosofia». Il
«Cortile dei Gentili» combatte la sonnolenza dello spirito, quel genere
di
torpore — per fare un esempio—
alimentato da quell’editoria che fa notizia ma è inutile alla cultura,
cara a
coloro che confondono
il messaggio con il massaggio. È iniziativa che ribadisce il valore
della fede
e ricorda con
Dostoevskij l’impossibilità di vivere pienamente senza riflettere su
Dio. Ci
accomiatiamo da Ravasi
chiedendogli cosa si aspetta, come teologo, da questa iniziativa.
«Con
essa — risponde — attendo, oltre quel dialogo ricordato, un aiuto per
coloro
che desiderano uscire
da una concezione povera del credere. Vorrei invitare il laico a non
considerare la teologia un reperto
archeologico o mitologico, perché ha una sua dignità "scientifica";
mentre il credente comprenda
le ragioni profonde della teologia e non la veda come ostacolo: la
intenda come
un sussidio,
una componente fondamentale per percorrere le strade della fede».
di
Armando Torno - “Corriere della Sera” del 9 febbraio 2011