Per completare il quadro
si aggiunga che l’unico percorso di progressione professionale nella
scuola italiana è quello attraverso il quale un insegnante può
concorrere all’incarico di dirigente scolastico o di dirigente tecnico.
Come dire: chi qualifica le proprie competenze e ha migliori risultati
di apprendimento con i propri studenti, non ha alcuna possibilità di
sviluppo né alcun riconoscimento economico e di carriera. Veramente un
grande stimolo alla professionalità.
Pur sapendo che per collegare gli “investimenti” ai “risultati” (i
paesi che spendono di più, ottengono anche i migliori risultati?) si
dovrebbero considerare gli esiti di apprendimento e, nel lungo periodo,
i tassi di sviluppo, il quadro che esce dall’analisi dei dati Eurydice,
è tale da farci ritenere, parafrasando Calamandrei (1), che la
“circolazione” dell’“organismo” professionale docente in Italia, è
lenta, potremmo dire “arteriosclerotica”, capace di demotivare sul
piano economico e su quello dello sviluppo professionale, anche il più
tenace fra i giovani insegnanti.
Il burn out nella professione docente affonda le sue radici in gran
parte in queste cause ed è un fenomeno non ancora sufficientemente
studiato, compreso, politicamente
fronteggiato.
Da insegnante e formatore di insegnanti devo francamente dire che trovo
sorprendente che ci siano docenti capaci di motivarsi e di motivare i
propri studenti anche in queste condizioni, e trovo assai discutibile
l’atteggiamento di chi giudica la professione docente senza conoscerne
bene le caratteristiche.
Da genitore e da cittadino, sento la necessità, guardando al futuro dei
miei figli e del Paese, di chiedere con più forza e convinzione un
deciso cambiamento di rotta nelle politiche di governo della
professionalità docente. La classe dirigente non capisce
abbastanza, non riesce a capire, che investire in questo campo è una
necessità assoluta dalla quale dipende lo sviluppo del Paese.
Se si fa un giro nei corridoi delle scuole italiane in questi giorni,
ci si rende conto che la situazione è quella di una comunità scolastica
deprivata, con problemi enormi di risorse, costretta a chiedere alle
famiglie “tasse” d’iscrizione, sempre più consistenti per far fronte
alle necessità più elementari (anche carta igienica e fotocopie, per
intenderci) e dove il concetto di investimento in professionalità viene
lasciato alla lodevole, ma isolata, iniziativa del singolo docente.
Non basta, ahimé, il citato, e per ora estemporaneo, tentativo fatto
con il progetto Valorizza nel campo del merito degli insegnanti: è
necessaria una maggiore determinazione, un più ampio confronto e tempi
di attuazione certi. Mi auguro che il ministro dell’Istruzione non
sottovaluti l’urgenza del problema.
Se veramente ci crede, signora Ministro, spinga sull’acceleratore ed
eserciti tutta la forza e il peso del suo ruolo e delle sue
argomentazioni per un deciso investimento negli insegnanti: è
necessario e indifferibile.
Un appello che estendo a Parlamento e Commissioni parlamentari:
giacciono “nei cassetti” proposte di legge di cui non si parla più e
che è invece il caso di discutere. Noi insegnanti non ci sottrarremo al
confronto e alle responsabilità.
Non è possibile che nel terribile mix fra istanze di diritto del lavoro
e istanze del diritto alla qualità nell’educazione, si debba assistere
alla manichea contrapposizione fra lotta alla disoccupazione e qualità
del servizio scolastico. Nessuno si sognerebbe mai di mettere in dubbio
le gravi condizioni in cui si trovano gli insegnanti precari che a ogni
inizio anno scolastico non sanno se potranno assicurare a sé stessi e
alle proprie famiglie le risorse necessarie per una vita dignitosa: è
un problema di assoluta rilevanza. Ma non è più sostenibile che le
scelte politiche in campo educativo siano sotto il costante ricatto di
chi brandendo, da una parte e dall’altra, queste tragiche situazioni,
omette di praticare concretamente le strette vie d’uscita dalla crisi
in cui versa la scuola come istituzione formativa.
Quanto compete alla politica infatti, in questi casi, è di riuscire a
trovare delle alternative concretamente attuabili per la soluzione dei
problemi. I problemi relativi all’occupazione, alla deprecarizzazione
del lavoro si risolvono con politiche del lavoro, quelli della qualità
delle competenze professionali in campo educativo con politiche della
formazione, quelli relativi ai sistemi motivazionali con politiche di
gestione delle risorse umane. Più che puntare su improbabili “punti
d’incontro” è forse più opportuno pensare a compatibili “assi” di
sviluppo delle soluzioni.
(di Riccardo Scaglioni da Il Sussidiario)
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