La data da
tenere a mente è quella del 1° novembre 2012. A quell'epoca, salvo
sorprese, saliranno in cattedra i primi "abilitati nazionali", cioè i
vincitori dei nuovi concorsi modello-Gelmini chiamati a sostituire le
vecchie prove locali crollate sotto il peso delle accuse di
"parentopoli" e favoritismi vari.
Ad attendere l'avvio del concorso nazionale c'è un limbo accademico
affollato, popolato da almeno 2mila persone che negli ultimi anni hanno
partecipato a un concorso per diventare ordinario o associato, si sono
sentite rivolgere i complimenti per la brillante vittoria ma non hanno
ottenuto il posto perché non c'era; ci sono poi i tremila posti da
associato finanziati con la tranche triennale del «piano straordinario»
pensato a fine 2010 per contribuire a svuotare il ruolo dei ricercatori
a tempo indeterminato cancellato dalla riforma Gelmini; e ci sono i
ricercatori, gli assegnisti, i dottorandi, che ambiscono a un futuro in
cattedra. Secondo i programmi ministeriali annunciati anche in
Parlamento, il nuovo reclutamento sarebbe dovuto partire in autunno, ma
nonostante il clima il calendario dice che l'autunno è iniziato e che
l'impresa si è rivelata più improba del
previsto.
A che punto siamo? Il piano di attuazione della riforma dei concorsi si
è ramificato in tre parti, chiamate rispettivamente a fissare la nuova
architettura dei settori concorsuali, le procedure per l'abilitazione e
i criteri di valutazione dei candidati e dei commissari. I primi due
provvedimenti hanno tagliato il traguardo (i settori sono in «Gazzetta
Ufficiale», le procedure attendono solo la pubblicazione), ma il
tassello dolente è l'ultimo. Il provvedimento che definisce i criteri
di valutazione sta per imboccare la strada verso il Consiglio di Stato,
e i tempi a questo punto dipendono dai giudici amministrativi.
La tensione è alta, soprattutto fra i docenti che rischiano di vedersi
esclusi dalle commissioni se non possono vantare i requisiti che
saranno chiesti dal provvedimento in arrivo. Tutto dipende dall'altezza
a cui sarà fissata l'asticella da superare prima di sedersi fra i
commissari, ma per capire perché la materia è incandescente basta
riandare con la memoria al primo decreto Gelmini, quello che nel
novembre 2008 provò a mettere un po' di meritocrazia nella macchina
universitaria: il decreto (è il 180/2010) prevedeva l'avvio di
un'anagrafe nazionale dei docenti, con l'elenco delle pubblicazioni
scientifiche "certificate", e negava gli scatti biennali a chi non
avesse pubblicato nulla negli ultimi due anni e la possibilità di
partecipare a commissioni a chi si rivelasse inattivo per un triennio.
La previsione, inedita, creò scalpore ma, a testimonianza delle
resistenze interne al sistema, rimase inattuata.
Il fatto che la costruzione dell'impalcatura per l'abilitazione
nazionale si sia rivelata più lunga del previsto, anche a causa degli
intoppi di uno dei decreti al Consiglio di Stato e dei tempi non
proprio fulminei dell'iter fra organi di concertazione e Corte dei
conti, rischia anche di cambiare la natura del «piano straordinario»
per gli associati, almeno nel primo anno. Il piano straordinario è
stato introdotto dalla riforma Gelmini insieme allo stop ai ricercatori
a tempo determinato, ed è stato pensato appunto per finanziare l'uscita
di una quota di ricercatori da un ruolo ormai in esaurimento. In questo
progetto, i beneficiari erano ovviamente i primi vincitori
dell'abilitazione nazionale per il ruolo da associato, ma
l'abilitazione nazionale ancora non c'è.
Che cosa succede, dunque? L'idea che si va facendo largo è quella di
finanziare con la prima fetta annuale del piano, confermata nel decreto
sul Fondo di finanziamento ordinario scritto nelle scorse settimane dal
ministero (si veda anche l'articolo a fianco), i vincitori dei vecchi
concorsi. La prima fetta di risorse, secondo stime non ufficiali di
area governativa, dovrebbe bastare addirittura ad assorbire tutti gli
associati in attesa di una cattedra. Sarebbe un problema risolto,
certo, ma non proprio in linea con le ragioni che a fine 2010 hanno
prodotto il piano straordinario; tanto più che in questo modo i fondi
stanziati per avviare il nuovo sistema finirebbero per premiare uno
degli aspetti più "controversi" del vecchio, vale a dire le doppie
idoneità che fino al 2009 hanno consentito agli atenei di bandire
concorsi per un posto creando però due "promozioni", in un vorticoso
gioco di triangolazioni che ha contribuito non poco a screditare il
sistema dei concorsi locali.
gianni.trovati@ilsole24ore.com
(di Gianni
Trovati da IlSole24Ore)
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