Non studiano e non
lavorano. Sono la generazione neet, brutale acronimo anglosassone per
«not in education, employment or training». E in Italia sono sempre di
più. Nel 2010 hanno superato quota
2,2 milioni. Ovvero il 23,4% degli under 30. Quasi un ragazzo su
quattro. Una percentuale che non migliora più di tanto neanche alzando
l’età a 35 anni e includendo i laureati: il 20% di loro, infatti, non
lavora.
La Banca d’Italia, nel suo rapporto sulle Economie regionali, fotografa
un fenomeno in rapida crescita: i neet infatti, solo a fine maggio, si
attestavano al 22,1%, secondo i dati Istat. Ma ancor più impressionante
è lo stacco rispetto al periodo precedente la crisi. Tra il 2005 e il
2008 la soglia dei «giovani che restano a casa» era pari al 20%, sotto
i 2 milioni. Il conto della crisi, insomma, lo stanno pagando anche e
soprattutto loro. Alla crescita della disoccupazione, testimoniata
dall’aumento di chi tra i neet è in cerca di un posto (dal 30,8% del
2008 al 33,8% del 2010) si uniscono anche fenomeni di scoraggiamento,
che portano i ragazzi fuori da ogni circuito occupazionale e
formativo.
Tanto per cambiare, il Meridione presenta i numeri più
allarmanti: dei 2,2 milioni di neet tra i 15 e i 29 anni ben 1,2,
ovvero oltre la metà (54,5%), si trova nelle regioni del Sud. E
tristemente consueta è anche la proporzione tra le donne e gli uomini:
le ragazze neet sono il 26,4%, mentre tra i maschi la percentuale
scende al 20,5%.La grande maggioranza dei neet vive a casa con i
genitori, specie al Sud, dove accade tre volte su quattro. Chiamarli
bamboccioni semplifica. Ma non risolverà mai il problema.
NEET. L’acronimo inglese neet indica i giovani tra i 15 e i 29 anni che
non sono iscritti a scuola né all’università, che non lavorano né
seguono corsi di formazione. Un esercito che scivola verso i confini
del mercato e rischia di non contribuire mai al sistema previdenziale.
(da Leggo.it)
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