Come si ricorderà furono le Regioni Toscana, Emilia-Romagna, Liguria, Umbria, Puglia, Basilicata e Sicilia a porre, con separati ricorsi, questioni di legittimità costituzionale sull’articolo 19, comma 4, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111.
Il comma 4 prevede la soppressione delle istituzioni scolastiche autonome costituite separatamente da direzioni didattiche e scuole secondarie di I grado e l’aggregazione di tutta la scuola dell’infanzia, primaria e secondaria di I grado in istituti comprensivi, i quali per acquisire l’autonomia devono essere costituiti con almeno 1.000 alunni, ridotti a 500 per le istituzioni site nelle piccole isole, nei comuni montani, nelle aree geografiche caratterizzate da specificità linguistiche.
Le Regioni Toscana, Umbria, Puglia e Basilicata avevano ricorso anche contro il comma 5 del medesimo articolo, il quale stabilisce che non possono essere assegnati dirigenti scolastici con incarico a tempo indeterminato alle istituzioni scolastiche autonome costituite con un numero di alunni inferiore a 500 unità, ridotto fino a 300 per le istituzioni site nelle piccole isole, nei comuni montani, nelle aree geografiche caratterizzate da specificità linguistiche, che saranno conferite in reggenza a dirigenti scolastici con incarico su altre istituzioni scolastiche autonome.
La Corte ha dunque dato parere favorevole ai ricorsi sul comma 4, mentre ha respinto quelli sul comma 5.
L’ADi era a suo tempo intervenuta con una complessiva pubblicazione sul decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 a cura di Rosario Drago, dal titolo I CONTI DELLA SCUOLA. Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria, preannunciando con lungimiranza quanto poi è avvenuto.
Scriveva Drago:
È la terza volta che un provvedimento legislativo tenta di imporre uno standard unitario alla scuola di base: l’istituto comprensivo.
La prima volta (DPR 233/98), le regioni meridionali si ribellarono e disobbedirono. La cosa fu risolta con un commissariamento che provvide a sistemare le situazioni più scandalose. Ciò non impedì che negli anni successivi province e regioni si dessero da fare per sdoppiare istituti, istituire nuove scuole, consentire deroghe improbabili: era ancora l’epoca delle “ sperimentazioni” selvagge.
La seconda volta – con il D.L. 154 del 7 ottobre 2008 (ex art. 64, Legge 133/08) – il Ministro Gelmini tentò di accelerare i tempi del dimensionamento con un provvedimento d’urgenza. Anche in questo caso l’insorgere della Conferenza Stato Regioni, supportata da tutte le burocrazie nazionali e locali, dai sindacati e, localmente da Sindaci ed assessori, ne impedirono la completa attuazione.
La terza volta ora, con un atto d’imperio di Tremonti che ignora la competenza “ esclusiva” degli enti locali in materia e, di conseguenza, non prevede il parere della Conferenza Stato Regioni.
Un problema insolubile e che produrrà scarsissimi risultati, molta perdita di tempo e qualche ricorso di successo all’Alta Corte.
La causa di queste inefficienze parassitarie, anche di fronte ad un obiettivo auspicabile e generalmente condiviso da tutti (vedi Annali PI, Gli istituti Comprensivi, Firenze, 1999), sta nel fatto che gli Enti Locali sono formalmente coinvolti in una decisione strategica, ma non rispondono dei costi che è solo lo Stato a sostenere: un classico potere decisionale irresponsabile.
(……………………).
Inutile aggiungere che la disposizione di portare a 1.000 il tetto minimo per l’autonomia delle scuole troverà ancora più forti opposizioni locali, ma non è auspicabile nemmeno sul piano funzionale.
Le grandi scuole, con una organizzazione interna “ piatta” come la nostra senza gerarchie professionali, specializzazioni, servizi efficienti è destinata a trasformarsi in anarchia.
Ora c’è solo da augurarsi che gran parte del lavoro compiuto non venga buttato all’aria e che si trovi un responsabile accordo fra Stato e Conferenza Unificata delle Regioni.
Non è di buon auspicio il fatto che la Sicilia abbia già dichiarato di non voler più applicare la legge nazionale sul dimensionamento delle istituzioni scolastiche, bensì la propria legge regionale n. 6 del 2000.
Come noto, il dimensionamento delle scuole e l’unificazione della scuola di base in istituti comprensivi ha funzionato solo al Nord.
Fino all’anno scorso, nella sola Sicilia vi erano più direzioni didattiche che in tutto il Nord del Paese.
In un’intervista a La Stampa del 9 giugno u.s. il Ministro Profumo non ha dato nessun chiarimento sulle iniziative che il Governo assumerà dopo la sentenza della Consulta..
Queste le due risposte
D. La Corte Costituzionale ha bocciato gli accorpamenti decisi un anno fa dal governo Berlusconi. Francesco Profumo, ministro dell’Istruzione: che cosa accadrà ora nelle scuole che hanno perso presidi, professori – e a volte studenti – già emigrati altrove?
R. «Subito dopo la sentenza ho messo al lavoro le persone che lavorano con me al dipartimento della scuola. per capire come procedere. Nelle prossime settimane sapremo che cosa fare».
D. Ma se all’epoca fosse stato lei il ministro dell’Istruzione avrebbe dato via libera al dimensionamento?
«Naturalmente deve esserci compatibilità con le risorse, ma la priorità deve essere sempre il servizio reso agli studenti».