Il ministro: «La
politica deve mostrarsi credibile e fare scelte lungimiranti. In
futuro? Sistemi per ridistribuire il carico fiscale, è un'idea anche di
Hollande» ROMA Esattamente un anno fa, il 5 agosto del 2011, la Banca
centrale europea recapitava al governo italiano la lettera che
contribuirà a cambiare il corso degli eventi. Quando chiediamo a Elsa
Fornero un bilancio di questo anno di governo interrompe stupita:
«Anno? Spesso si dimentica che abbiamo giurato il 16 novembre». Il
ministro del Lavoro si sta concedendo un week-end al mare prima di
rientrare a Roma per l’ultimo consiglio. Poi, mercati permettendo, una
breve pausa ferragostana. Fornero scherza: «Tutti dobbiamo sperare che
ci sia. Perché se fossimo costretti al lavoro anche in quei giorni non
sarebbe una buona notizia per nessuno».
Ministro, per quanto breve sia l’esperienza del governo Monti, sulle
sue spalle sono state riposte aspettative enormi, in Italia e nel
mondo. Lei è soddisfatta?
«Nessuno ha la bacchetta magica. Ma dico abbastanza soddisfatta».
Le cito il passaggio della lettera firmata da Mario Draghi dedicata
alla riforma del mercato del lavoro: «Dovrebbe essere adottata
un’accurata revisione delle norme che regolano l’assunzione e il
licenziamento dei dipendenti, stabilendo un sistema di assicurazione
dalla disoccupazione e di politiche attive che siano in grado di
facilitare la riallocazione delle risorse verso le aziende e i settori
più competitivi». La vostra riforma soddisfa questa richiesta?
«Questa riforma, che nessuno ha mai pensato potesse essere la migliore
possibile, è un buon equilibrio fra interessi sostanzialmente
contrapposti, soprattutto nel breve periodo: quelli delle imprese e dei
lavoratori. E non lo dico solo io, ma l’Europa e l’Ocse. Fino a poche
settimane fa, dopo la decisione del governo di presentarla in
Parlamento come disegno di legge, tutti mi dicevano: Elsa, vedrai,
faranno finta di discuterne ma non l’approveranno mai. Dal 18 luglio è
legge dello Stato. A questa riforma ora dobbiamo dare il tempo di
vivere».
La critica più ricorrente: troppo morbida la modifica dell’articolo 18
sul diritto al licenziamento. Di più: in nome della lotta alla
precarietà si è irrigidito l’ingresso al lavoro dei più giovani. Cosa
risponde?
«Ha ragione: mi criticano in molti. C’è chi auspica deregolamentazioni,
altri parlano di una riforma a metà. Nessuno però mi dice: questa
specifica norma non va bene, dovresti cambiarla così».
L’idea di affidare ad un giudice l’applicazione o meno dell’articolo 18
non equivale a non cambiare nulla?
«Su questo punto c’è un pregiudizio negativo, quello secondo il quale
il giudice del lavoro non è in grado di valutare correttamente e
rapidamente eventuali ricorsi. E poi: se avessimo fatto una scelta più
drastica, ammettendo il ricorso per meri motivi discriminatori, lei
crede che il numero delle istanze di fronte al giudice sarebbe stato
diverso?»
Insomma, lei chiede tempo per giudicare la qualità della riforma. E’
così?
«Proprio oggi, a venti giorni dalla sua entrata in vigore, mi hanno
informata di un accordo firmato alla Golden Lady. Le mille operaie
assunte come associate in partecipazione - uno dei tanti sistemi di
cattiva flessibilità usata dagli imprenditori per eludere gli
obblighidi legge - verranno assunte quasi tutte a tempo indeterminato.
A me questo sembra un bell’esempio di norma che migliora i
comportamenti. Ciò detto, nessuno considera la riforma intoccabile,
siamo pragmatici, e pronti a modificarla in qualunque momento. Ci sono
ancora diverse deleghe da attuare, e sto costruendo un sistema di
monitoraggio che resterà a disposizione del mio successore. Io credo
che questa sia una buona riforma, e sono convinta sia anche l’opinione
della gran parte degli italiani».
Lei si dice soddisfatta di quanto fatto in questi nove mesi. Se il
metro del giudizio è il livello di spread fra Btp e Bund, quello dei
mercati invece è negativo. Perché secondo lei?
«Il metro del giudizio degli investitori è la sostenibilità del debito
pubblico. Se lo ritengono sostenibile, anche se alto non costituisce un
problema. Per ottenere tutto questo la politica deve mostrarsi
credibile, fare scelte lungimiranti e non ripiegate sul presente».
In questa fase della crisi c’è una responsabilità delle scelte
politiche dell’Europa?
«La crisi finanziaria si è imposta come tema dominante e vincolo
stringente. Ma per quanto inevitabile, oggi non è facile spiegare alle
persone che si aiuta il sistema bancario spagnolo per salvare il sogno
europeo e l’euro. Nelle riunioni con i colleghi europei discuto spesso
della necessità di spostare maggiormente l’attenzione sulle politiche
sociali, il lavoro, le famiglie. Per quanto importante, imporre il
rigore per garantire la sopravvivenza di una moneta non è sufficiente».
Ministro, risorse da distribuire non ce ne sono. Dunque?
«Il sentiero è stretto, ma occorre guardare a una qualche forma di
redistribuzione del carico fiscale. Il primo passo per noi è una
maggiore lotta all’evasione. Bisogna pensare a una riduzione del carico
fiscale sui più deboli, o all’introduzione di un reddito di
cittadinanza, presente in molti Paesi europei. Oggi le condizioni non
ci sono, ma una volta superata l’emergenza la prospettiva deve essere
questa. Non è un mio pensiero estemporaneo, ma è anche una posizione
autorevolmente sostenuta dal presidente Monti e mi pare anche da
Francois Hollande».
Per via dell’alto spread l’Italia rischia di essere costretta a
chiedere l’attivazione di un meccanismo di aiuti e la sottoscrizione di
ulteriori impegni con l’Europa. Molti sostengono che questo equivale a
un «commissariamento della politica», che costringerà ad un nuovo
governo di larga coalizione dopo le elezioni. L’Europa a trazione
tedesca comprime la democrazia?
«No, non lo credo. Il problema è che abbiamo ancora molte cose da fare,
molte riforme da attuare. L’unico disegno pericoloso è quello di chi
pensa si possa uscire dall’euro. Allora sì che prevarrebbero idee poco
democratiche».
Alessandro Barbera
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