L'elaborazione di
Datagiovani dei numeri del Miur confronta il periodo pre-crisi con
l'anno accademico appena concluso: iscritti totali -12%, Agraria +44%.
Il Sud non studia più (-20%) - La crisi economica forse sta per
allentare la morsa sull'Italia, ma restano sul campo gli effetti
devastanti della più pesante recessione del dopoguerra per il nostro
Paese. Rovine che non risparmiano l'università e le prospettive dei
giovani e delle loro famiglie. Un percorso sempre più lungo e costoso,
tra corsi di perfezionamento e master, e sempre meno propedeutico ad un
posto di lavoro stabile. Datagiovani ha elaborato per Repubblica i
numeri del Miur, mettendo a confronto l'anno accademico appena
terminato con quello pre-crisi del 2007/2008 (per intenderci, i mesi
dello scandalo subprime e del crac Lehman Brothers. L'inizio della
fine). In cinque anni si sono registrate 38.340 immatricolazioni in
meno, pari a una flessione del 12,5%, più evidente nel Mezzogiorno dove
24mila ragazzi hanno rinunciato a rincorrere la laurea. Considerando
solo Sud e Isole le iscrizioni sono diminuite del 20%, mentre al Nord
si parla di cifre più contenute, nell'ordine del 5%. La maglia nera
spetta alla Sardegna (-23%) mentre limitano i danni Lombardia (-2,8%),
Veneto ed Emilia Romagna (entrambe a - 4% circa).
Ma se è vero che al Sud si va meno all'università è anche vero che
quando ci si va si punta al meglio, si investe sul futuro, pagando più
della retta: i genitori sono disposti a mantenere i figli che scelgono
di andare in un ateneo fuori regione, in genere al Centro-Nord. Così
emerge che mentre cinque anni fa il 76,5% degli immatricolati
meridionali rimaneva vicino casa per studiare, quest'anno sono stati
poco meno del 73%, con i siciliani che "emigrano" di più.
Al Nord, Piemonte e Lombardia in primis, la tendenza è inversa, con i
giovani che preferiscono rimanere nella propria terra - agevolati dalla
prossimità di un'offerta accademica di alto livello - anche se le
variazioni sono minime se paragonate a quelle del Sud, intorno al punto
percentuale.
Cambia pure la scelta della facoltà, orientata sempre di più verso
quelle che offrono, almeno sulla carta, maggiori sbocchi lavorativi.
Prova ne è la tenuta delle facoltà scientifiche, con appena 142
immatricolati in meno (-0,2%) per un totale di 94mila iscritti, e il
quasi sorpasso sull'area sociale che sebbene abbia richiamato 96mila
matricole ha subito una perdita del 20%, pari a 25mila studenti. Non va
molto meglio per le materie umanistiche (-11,9%) e sanitarie (-18,7%).
Nel dettaglio è cresciuto in modo esponenziale l'appeal della facoltà
di scienze agrarie, forestali e alimentari (+45%), seguita da scienze e
tecnologie fisiche (+25%) e da ingegneria industriale (+19%). Nella
classifica ai primi posti troviamo una facoltà umanistica, quella di
lingue e culture moderne che vede un picco di iscritti (+16%) ma è solo
un'eccezione, perché il segno positivo lo troviamo di nuovo in ambito
scientifico con tecnologie chimiche (+10%) e ingegneria
dell'informazione (+8%).
"È evidente che le facoltà che hanno visto crescere il numero di
immatricolati in questo periodo di crisi sono quelle più orientate al
mercato del lavoro e dell'impresa privata soprattutto - spiegano gli
esperti di Datagiovani - ancora meglio se di tipo industriale e con lo
sguardo verso l'estero, da cui la tenuta della facoltà di lingue. Non è
un caso che siano materie come architettura e ingegneria edile (-37%) e
farmacia (-34%) a riscuotere meno successo, competenze che troverebbero
applicazione in settori economici oggi in sofferenza o dove l'accesso
alla professione è particolarmente difficile".
Agnese Ananasso
Repubblica.it