Pubblicato il 11
novembre 2013 di Avv. Renato D'Isa - Corte di Cassazione, sezione
lavoro, sentenza 6 novembre 2013, n. 24989. Legittimo il licenziamento
dell’insegnante per aver affermato, parlando con alcuni genitori, che
l’Istituto presso il quale lavorava era notevolmente inadeguato e che
le insegnanti erano didatticamente impreparate sotto ogni profilo,
suggerendo anche di iscrivere gli alunni altrove. Tali comportamenti
sono stati qualificati come integranti una violazione dei doveri
fondamentali ed elementari di fedeltà e correttezza che gravano su un
lavoratore in quanto in alcun modo possono essere ricondotti a una
legittima critica anche dell’operato del datore di lavoro per la loro
offensività e per i termini utilizzati.
Suprema Corte di Cassazione
sezione lavoro
sentenza 6 novembre 2013, n. 24989
Svolgimento del processo
OM., insegnante di scuola materna, veniva licenziata previa
contestazione di addebito del 6.3.2004, il 20.4.2004 dal Commissario
Straordinario dell’I.P.A.B. Istituto educativo “M. Trotta” di San
Severo (Foggia) per una serie di critiche mosse alla conduzione e
gestione del detto Istituto (anche in ordine alla preparazione degli
insegnanti), anche alla presenza di terzi e avere consigliato ad alcuni
genitori di iscrivere altrove i figli. La O. ricorreva al Tribunale del
lavoro chiedendo la dichiarazione di legittimità del recesso, di cui
assumeva la infondatezza; il Tribunale di Foggia accoglieva la domanda
e dichiarava l’illegittimità del recesso per mancata affissione del
codice disciplinare (con le conseguenze risarcitorie e ripristinatorie
indicate in sentenza). La Corte di appello di Bari con sentenza del
8.4.2010 rigettava l’appello della O.M. (sul punto delle conseguenze
della dichiarata legittimità del recesso) ed accoglieva l’appello
incidentale dell’I.P.A.B. e, in riforma della sentenza di primo grado,
rigettava la domanda. La Corte territoriale rilevava che appariva non
fondato il profilo di illegittimità del licenziamento accolto in prime
cure in quanto il recesso era stato intimato per violazione di doveri
elementari del lavoratore e quindi irrilevante appariva la circostanza
della mancata affissione del codice disciplinare. La contestazione
mossa alla lavoratrice doveva ritenersi specifica perché i fatti erano
stati chiaramente indicati e quindi la stessa messa in condizione di
discolparsi, non essendo necessario indicare la data e le specifiche
conversazioni in cui sarebbero state mosse le contestate critiche alla
gestione dell’IPAB ed alla preparazione professionale dei suoi
insegnanti. Solo per mero errore si era fatto richiamo all’art. 58 del
CCNL e quindi tale richiamo, frutto di una evidente vista, appariva non
rilevante. Numerosi testi, infine, avevano confermato la veridicità dei
fatti contestati; il fatto addebitato appariva di estrema gravità in
quanto la O. era una insegnante e le critiche mosse erano idonee a
provocare gravi danni al datore di lavoro. La contestazione era
tempestiva così come l’impugnazione della sanzione. Non rilevava il
profilo concernente il matrimonio della lavoratrice in quanto il
recesso era stato intimato per giusta causa effettivamente sussistente.
Per la cassazione di tale decisione propone ricorso la O. con sei
motivi; resiste la I.P.A.B. con controricorso che ha proposto ricorso
incidentale con un motivo, cui resiste la O. con controricorso.
L’I.P.A.B. ha depositato memoria difensiva ex art. 378 c.p.c.
Motivi della decisione
Con il primo motivo del ricorso principale si allega la violazione e
falsa applicazione di norme di diritto e del CCNL, nonché l’omessa,
insufficiente o contraddittoria motivazione della sentenza impugnata.
Le frasi attribuite alla O. non erano dirette a ledere, la reputazione
del datore di lavoro e non violavano l’obbligo di fedeltà verso
l’Istituto scolastico, ma rappresentavano solo uno sfogo di una
lavoratrice con un genitore circa l’inadeguatezza dell’istituto ed una
legittima critica alla gestione dell’I.P.A.B. Non si trattava di
mancanze così gravi da rendere superflua l’affissione del codice
disciplinare.
Il motivo appare infondato in quanto dalla contestazione (che è
risultata fondata sulla base della prova espletata) emerge che alla O.
(pag. 3 della sentenza impugnata) è stato addebitato di avare
affermando, parlando con alcuni genitori che l’Istituto presso il quale
lavorava era notevolmente inadeguato e che le insegnanti erano
didatticamente impreparate sotto ogni profilo, suggerendo anche di
iscrivere gli alunni altrove. Inoltre è stato addebitato alla O. di
avere dichiarato, al cospetto di terzi, che il Commissario
straordinario (dell’I.P.A.B.) non era in grado di gestire alcunché e
che, con una telefonata (a persone altolocate), lo si poteva mettere a
tacere. Ora tali comportamenti, in piena evidenza gravemente lesivi del
decoro e della reputazione di un Istituto scolastico nel suo complesso
e direttamente del suo Commissario straordinario che ne aveva la
gestione da parte di un insegnante, sono stati correttamente
qualificati come integranti una violazione dei doveri fondamentali ed
elementari) di fedeltà e correttezza che gravano su un lavoratore in
quanto in alcun modo possono essere ricondotti a una legittima critica
anche dell’operato del datore di lavoro per la loro offensività e per i
termini utilizzati, tanto da culminare nel suggerimento ad alcuni
genitori di iscrivere altrove i loro figli, con potenziale gravissimo
pregiudizio per l’istituto scolastico. Si tratta di inadempienze così
plateali, gravi e – come detto – radicalmente lesive di obblighi – alla
base del rapporto di lavoro e della correlata fiducia tra le parti – da
non necessitare di alcuna pubblicità disciplinare essendo intuitivo il
dovere di evitare simili comportamenti, derivante direttamente dalla
legge alla luce della consolidata giurisprudenza di legittimità già
menzionata a pag. 3 del provvedimento impugnato.
Con il secondo motivo si allega la violazione e falsa applicazione di
norme di diritto e del CCNL, nonché l’omessa, insufficiente o
contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per
il giudizio. La contestazione non era specifica.
Con il terzo motivo si allega la violazione e falsa applicazione di
norme di diritto e del CCNL, nonché l’omessa, insufficiente o
contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per
il giudizio. La lavoratrice non era stato sentita a discolpa come
richiesto.
Con il quarto motivo si allega la violazione e falsa applicazione di
norme di diritto e del CCNL, nonché l’omessa, insufficiente o
contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio.
Era stata richiamata una disposizione contrattuale in conferente per
giustificare il recesso.
Con il quinto motivo si allega la violazione e falsa applicazione di
norme di diritto e del CCNL, nonché l’omessa, insufficiente o
contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio. Le
dichiarazioni testimoniali erano state mal valutate dai Giudici di
appello.
Con il sesto motivo la violazione e falsa applicazione di norme di
diritto e del CCNL, nonché l’omessa, insufficiente o contraddittoria
motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio. L’IPAB intimato
non era una organizzazione di tendenza, come ritenuto da Giudice di
primo grado.
I motivi da due a cinque devono essere esaminati unitariamente
apparendo inammissibili per quanto segue. Questa Corte ha infatti
affermato il principio – che si condivide pienamente – per cui “la
parte pienamente vittoriosa nel merito in primo grado non ha l’onere di
proporre, in ipotesi di gravame formulato dal soccombente, appello
incidentale per richiamare in discussione le eccezioni e le questioni
che risultino superate o assorbite, difettando di interesse al
riguardo, ma è soltanto tenuta a riproporle espressamente nel nuovo
giudizio in modo chiaro e preciso, tale da manifestare in forma non
equivoca la sua volontà di chiederne il riesame, al fine di evitare la
presunzione di rinuncia derivante da un comportamento omissivo, ai
sensi dell’art. 345 c.p.c. (cass. n. 14086/2010 ed in termini identici
24021/2010). Ora la O. risultava vittoriosa in primo grado avendo il
Tribunale dichiarato l’illegittimità del recesso per mancata affissione
del codice disciplina; aveva quindi l’obbligo, in relazione all’appello
incidentale dell’INPAB, Istituto educativo ed infantile “M. Trotta”, di
riproporre espressamente ed in forma non equivoca l’esame degli altri
profili di illegittimità del recesso non esaminati dal giudice di primo
grado, il che non risulta aver fatto. Nel ricorso principale della O.
in appello, infatti, gli altri motivi di illegittimità del recesso sono
indicati solo nella parte narrativa e non viene indicato nel ricorso
altro atto in cui si sarebbero espressamente e in forma non equivoca
riproposte le altre doglianze circa la pretesa illegittimità del
recesso non accolte dal Giudice di prime cure. Pertanto di deve
dichiarare l’inammissibilità dei detti motivi.
Appare parimenti inammissibile il sesto motivo in quanto, essendo stato
il recesso dichiarato legittimo in appello, non si vede perché il
Giudice di appello avrebbe dovuto accertare se l’I.P.A.B. appellata era
autenticamente una “organizzazione di tendenza” e modificare le
conseguenze risarcitorie stabilite in primo grado.
Con il motivo del ricorso incidentale si allega la violazione e falsa
applicazione degli artt. 342 e 346 c.p.c., nonché l’omessa,
insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso
e decisivo per il giudizio. Gli ulteriori profili di illegittimità del
recesso non erano stati riproposti in appello e quindi non dovevano
essere esaminati dalla Corte territoriale.
Il motivo è assorbito non avendo parte ricorrente in via incidentale
interesse all’esame della doglianza in questa sede stante la già
avvenuta dichiarazione di inammissibilità dei motivi da 2 a 5 (cfr.
cass. n.7381/2013).
La Corte pertanto riunisce i ricorsi; rigetta il primo motivo del
ricorso principale e dichiara inammissibili gli altri motivi; dichiara
assorbito il ricorso incidentale. Le spese di lite del giudizio di
legittimità in favore dell’intimata I.P.A.B., liquidate come al
dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte: riunisce i ricorsi i ricorsi. Rigetta il primo motivo del
ricorso principale e dichiara inammissibili gli altri motivi; dichiara
assorbito il ricorso incidentale. Condanna parte ricorrente in via
principale al pagamento in favore di controparte delle spese del
giudizio di legittimità che si liquidano in euro 50,00 per spese,
nonché in euro 2.500,00 per compensi oltre accessori.
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