«Finché la scuola in
Italia non sarà libera, neppure gli italiani saranno liberi». Questo
affermava Luigi Sturzo nel 1947. E il suo monito vale ancor oggi più di
ieri. Non è giusto e soprattutto non è libero un Paese dove una
famiglia che iscrive un figlio a una scuola non statale deve pagare per
la sua scelta di libertà. E desta sconcerto sapere che negli ultimi
anni è morta una scuola libera ogni tre giorni - ogni tre giorni è
morto un pezzo di libertà.
La scuola statale è un patrimonio grande e prezioso che va protetto,
che va salvato dallo statalismo, vale a dire dal monopolio o
quasi-monopolio statale nella gestione dell'istruzione. Se è vero che è
la competizione - quale processo di scoperta del meglio - a costituire
la più alta forma di collaborazione, perché, allora, seguitare a
ostinarsi nella demonizzazione del buono-scuola? Non potrebbe essere,
dottor Fabi, proprio il buono scuola la migliore terapia per i mali che
affliggono la scuola a gestione pubblica e a gestione non statale?
Dario Antiseri, Flavio Felice, Bruno Bordignon
Cari professori, come non ricordare come Luigi Sturzo considerasse un
grave pericolo l'avanzare di quelle che chiamava le "male bestie": in
primo luogo proprio lo statalismo e poi la partitocrazia e lo sperpero
di denaro pubblico. Uno statalismo ancora più pericoloso perché «è una
bestia che si traveste e trasmuta in modo da non farsi riconoscere».
Ma dopo più di 60 anni si può affermare che quei richiami sono stati
chiaramente profetici. Lo dimostra, tra l'altro, il fatto che sia solo
parziale e limitato l'aiuto alle famiglie che scelgono la scuola
paritaria mentre la proposta del buono scuola ha avuto solo piccole e
ristrette attuazioni in ambito regionale, per esempio in Sicilia e in
Lombardia.
Ma a livello nazionale una possibilità di sostegno alle scelte di
libertà delle famiglie è sempre stata vista per quello che non era,
cioè un attacco alla scuola pubblica. Sventolando in modo improprio la
bandiera costituzionale del "senza oneri per lo Stato", in modo
improprio perché il favorire l'accesso alle scuole paritarie
costituisce un risparmio e non certo un costo aggiuntivo per le finanze
pubbliche.
Va invece sottolineato come proprio una libertà di scelta e una sana
competizione non potrebbe che giovare a un sistema scolastico che, così
com'è, appare sempre meno in grado di rispondere alle esigenze di una
società non solo moderna, ma anche libera.
La politica tuttavia non ha tutte le colpe. Il problema non è solo
nello Stato, ma sempre più spesso anche nelle famiglie che firmano una
delega in bianco perché lo Stato si curi dell'educazione dei propri
figli. C'è una crisi della famiglia che rischia di perdere
progressivamente la propria identità travolta dalla fragilità dei
legami e dalle tentazioni di un individualismo libertario. E il sistema
educativo non può che risentirne perché se la famiglia non riesce a
essere un anello di collegamento tra la scuola e la società si crea un
distacco sempre più forte anche tra la stessa scuola e il mondo del
lavoro. Come dimostra, drammaticamente, la realtà dell'Italia di oggi.
gianfranco.fabi@ilsole24ore.com
La lezione di Montanelli
«La crisi è generale. Ne soffrono la Germania, l'Inghilterra, la
Francia. Ne soffrono gli Stati Uniti che per la loro enorme forza
produttiva dalle crisi sembravano al riparo e ora invece contano
milioni di disoccupati. Ma mentre in questi Paesi, da quando la crisi è
cominciata, tutti ne hanno preso coscienza e vi si sono sentiti
coinvolti, noi italiani abbiamo considerato la crisi come un problema
altrui e abbiamo seguitato a vivere e a consumare come se la crisi non
ci fosse. Sono convinto che, a dispetto di qualsiasi predica,
continueremmo a farlo anche nel futuro, se potessimo. Ma il guaio è che
stavolta non possiamo perché la crisi comincia a diffondersi fra la
gente e a toccarla direttamente. Diceva il grande Einaudi che la
"scienza" economica non esiste: esiste solo il buon senso applicato
all'economia. E il buon senso ci dice in questo caso due cose. Primo:
che nel tunnel della crisi ci siamo cacciati perché da almeno un paio
di decenni viviamo tutti al di sopra dei nostri mezzi, cioè consumando
più di quanto produciamo. Secondo: che per venirne fuori bisogna fare
esattamente il contrario, cioè lavorare di più e guadagnare e spendere
di meno. Se ci rendiamo conto che questa è l'unica ricetta per uscire
dai guai, il futuro potrà essere anche roseo». Queste parole sono di
Indro Montanelli e risalgono ad una trentina di anni fa: oltre a
riconfermare la teoria dei ricorsi storici di Vico, dimostrano saggezza
e preveggenza del grande giornalista toscano.
Mauro Luglio
Monfalcone (GO)
Domenico Rosa
Ilsole24ore.com