Dov'è il buco
nero del lavoro scolastico? Il vuoto che inghiotte e annienta
organizzazione didattica, prestazioni professionali, discipline
scolastiche, orari, attività? E' nell'insignificanza della presenza
dell'alunno. A scuola, spesso, nel migliore dei casi c'è una prevalente
attenzione alle discipline, che di fatto comandano e dirigono il
comportamento del docente: il programma da svolgere. Le prescrizioni
curriculari assorbono e condizionano la didattica, le modalità delle
relazioni umane. Nel migliore dei casi. Conosco la sofferenza di molti
insegnanti. Vorrebbero una scuola più vicina alla sensibilità e ai
problemi degli alunni e invece vedono immiserire la vita scolastica del
proprio istituto per l'infittirsi delle dispute, dei conflitti, dei
rancori creati dagli stipendi e dagli emolumenti aggiuntivi. Vorrebbero
una scuola aperta al mondo e invece devono confrontarsi con colleghi
irritati per il carico di riunioni senza costrutto, per il peso di
responsabilità crescenti, inclini a gesti di bassa furbizia, di
mediocre cinismo, con cui si tenta di giustificare e alimentare
pigrizia professionale e assenteismo.
Certe scuole sono un mondo di meschinità, privo di cultura, di
generosità, di entusiasmo. Sono luogo di mediocre professionismo
impiegatizio, che si misura con orrore e timore col mondo giovanile,
con i volti beffardi, mutevoli, distratti, ma umani dei giovani.
La scuola non riesce a trovare le parole giuste per indicare le cose,
gli esseri e le relazioni che popolano lo spazio di un istituto. Ha
quasi vergogna di usare quelle di una volta e con le parole di una
volta sono scomparsi mondi interi, atmosfere; una civiltà.
Avendo dichiarato la guerra a tutto il lessico etico-affettivo della
dedizione, della passione, della funzione sociale del lavoro del
docente per costruire l'immagine di un professionismo a 24 carati
(nelle regole, nelle procedure, nel rapporto di lavoro, nel linguaggio)
non si è compreso che è diventato inafferrabile il mondo su cui si
lavora e per cui si lavora.
Se anche la disciplina scolastica, il sapere è l'unica ragione che
spieghi e che fondi il rapporto docente/alunno, una volta che questo
viene stabilito, lo scopo di tutto non puo' non essere che
quell'alunno, che si ha davanti con tutti i suoi tratti umani e
caratteriali: non è il sapere a cui piegare la natura indocile
dell'alunno. A scuola gli insegnanti non sono officianti del rito delle
discipline scolastiche, ma guide dei propri alunni nel loro percorso di
crescita umana e professionale.
Non c' è buona didattica, non c'è buona scuola, non c'è formazione, se
non c'è rispetto per l'alunno, se non si ha fiducia nell'alunno, se
manca affettività nel rapporto educativo. Cose che si devono poter
sentire e che se non ci sono, rendono insignificante tutto il lavoro
che si svolge a scuola.
L'assenza dell'alunno vanifica tutto. Nel rapporto educativo non può
esserci prima il professionismo e poi l'affettività, nè rendere questa
strumentale all'altro. Il professionismo da solo non funziona: è
fondamentale e preliminare l'accettazione del giovane da formare e da
educare.
Il vuoto dell'azione formativa dei sistemi fondati sul professionismo è
evidente. Il professionismo, le teorie organizzativistiche sono stati i
presupposti teorici per giustificare i sistemi razionali e burocratici
di reclutamento dei docenti, del docente massa della scuola di massa e
la sua sopravvivenza in ambiente educativo.
Le appendici metodologiche, comunicazionali, sociologiche del corredo
professionale, approssimativamente collegate al sapere disciplinare di
un docente non son riuscite a modificare un'evidente situazione di
stagnazione dei rapporti umani dentro la scuola.
E' un mestiere quello di insegnante che si puo’ costruire, ma che si
può efficacemente esercitare solo se è vissuto come importante, come
parte centrale delle proprie preoccupazioni umane.
Il ciclo del professionismo della funzione docente non è chiuso, ma fa
fatica a restare vivo e a dare risposte positive alle difficoltà
attuali. Ha accompagnato il docente nel passaggio dalla scuola d'élite
a quella di massa. E' sembrato essere la sua emancipazione dalla
cultura della vocazione, della missione, da quell'aura di sacerdozio
laico che circondava la funzione docente.
Il problema è questo: la difficoltà di riassumere in termini
professionali la ricca e complessa rete di rapporti umani che
scaturiscono dentro l'aula scolastica. La contrattualizzazione di tutti
i tipi di rapporto umano dentro la scuola è andata oltre la legittima
esigenza di giustificazione di ogni scelta e di ogni fatto che si
registra nella sua vita quotidiana.
Ha irrigidito e impoverito la vita scolastica. Senza l'assunzione
collettiva da parte di tutto il personale della dimensione educativa
del lavoro a scuola si rischia il fallimento.
Bisogna riscoprire gli aspetti artigianali, sapienziali, genitoriali
della funzione docente e accompagnarli con gli strumenti delle scienze
umane (psicologia, sociologia, comunicazione tec.)
Il mondo dei fini non è un imbarazzante e inutile peso sul lavoro
dentro la scuola.
E' la premessa da cui iniziare, il termine verso cui arrivare.
prof. Raimondo Giunta