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Voce alla Scuola: La fatica di educare

Redazione
E' diventato sempre più difficile e a volte doloroso esercitare la responsabilità di far crescere e di educare i giovani, a casa come a scuola. E vi rinunciano o si arrendono le stesse famiglie e le istituzioni che ne dovrebbero avere la cura.
In molte scuole inavvertitamente si è scivolati anno dopo anno e per diversi motivi verso una situazione in cui sono diventati insignificanti principi e regole; sono stati con diversi espedienti e con bizzarre giustificazioni parificati impegno e disimpegno; frequenza e assenteismo; rispetto e trasgressione; lealtà e slealtà; studio e vagabondaggio.
Non sono pronunciabili concetti come limitazione, sacrificio, rinuncia, semplicità, gradualità, responsabilità, altruismo sia a scuola, sia in famiglia. Il conflitto con i giovani non viene previsto e affrontato, ma avendone timore viene spesso evitato. Non è considerato un fatto abituale del rapporto tra adulti e giovani e che bisogna sapere gestire,ma una difficoltà, un ostacolo che bisogna eliminare. Nemmeno in condizioni disperate, quando serve al loro benessere e alla loro incolumità, si riesce a dire no e a formulare un divieto.

Non è possibile e ragionevole pensare che le funzioni genitoriali di padre e madre possano essere svolte dalle istituzioni e dalla scuola,quando risulta evidente che sono trascurate da chi ne ha la principale responsabilità. C'è una parte nell'educazione dei giovani che non puo' essere assunta da persone altre rispetto ai genitori o da chi ne fa le veci. La collaborazione è necessaria tra tutte le parti coinvolte in questo processo ,ma non la sostituzione di chi ha la titolarità del compito; impossibile tra l'altro anche quando la si volesse attuare.
A scuola c'è vicinanza, attenzione e dedizione nei confronti dei giovani da parte di molti docenti, ma sono condizionate dal luogo, dai tempi e dalla struttura del lavoro di insegnamento e non hanno la costanza e l'obbligatorietà che dovrebbero caratterizzare i rapporti familiari. A scuola tra alunni e docenti c'è di mezzo il sapere, l'insegnamento. E' un rapporto mediato e così generalmente resta, anche se pieno di passione e di affetto verso i giovani. Nel triangolo educativo non si può scegliere tra amore al sapere e l'amore per l'alunno. Dovrebbero esserci tutti e due.

E' grave la situazione dei giovani che non hanno niente alle spalle; ma non è migliore la situazione di quelli che sono spalleggiati da genitori sindacalisti contro le regole e la scelte della scuola. Non c'è scuola senza regole e forse nemmeno famiglia,ma molti genitori pretendono che la scuola non ne abbia o che siano molto simili a quelle che eventualmente si danno nel proprio domicilio.
Viene lo sconforto di fronte al continuo e irresponsabile lavorio contro l'impegno quotidiano di far vivere e crescere centinaia di ragazzi nello stretto spazio di un edificio scolastico.
La scuola nell'esercizio delle sue funzioni è separata rispetto alla società; ha un suo spazio che deve avere le proprie regole e se non puo' andare contro il mondo, non è nemmeno al semplice servizio delle famiglie; avendo compiti pubblici inevitabilmente è diversa dalle singole convenienze e se puo' mediare, non puo' accondiscendere.
Questi tratti costitutivi di diversità vengono sempre più spesso contrastati con proterva, incomprensibile irresponsabilità. Genitori, che non danno regole o che non affrontano le fatiche di fare rispettare quelle che eventualmente stabiliscono in famiglia, sono spesso in lotta contro le scuole, che sono tenute ad averle e a farle rispettare; non vogliono nemmeno fare un gesto appropriato di delega e tantomeno di fiducia nei confronti di quanti si prendono per intero carichi, che nella migliore delle ipotesi andrebbero condivisi.

Il compito di dare e fare rispettare le regole a scuola è diventato incomprensibile non solo alle famiglie senza regole, ma anche a tanti giovani, che vedono una società in cui sono molte e anche importanti le persone che non rispettano le regole che sono state date e che si sono date.
Da tempo sono in palio il principio di autorità e il significato che può e dovrebbe avere nelle relazioni educative, nelle relazioni familiari e nelle relazioni sociali. Ogni tempo ne ha dato una particolare interpretazione e a noi compete, ogni giorno, tentarne una nuova senza illudersi che quanto sia stato cancellato sul piano intellettuale e sul piano del costume nelle lotte contro molte espressioni del principio di autorità, possa essere nostalgicamente richiamato in vita. C' è stato un cammino secolare verso l'autonomia di giudizio e di azione che non puo' essere interrotto, nè messo in discussione. L'autorità nei nuclei familiari e nelle istituzioni, oggi, deve essere ragionevole, consensuale, accettabile, ma anche confutabile, reversibile. Anche se a volte sembra che oggi il problema non siano gli abusi nell'esercizio del principio di autorità, ma l'autorità in quanto tale.
Autorità e obbedienza; gerarchia e subordinazione indicano rapporti sociali, ma anche rapporti morali, obbligazioni morali come responsabilità, rispetto, deferenza. L'irriverenza, infatti, rende impossibile sia la condizione di alunno, sia la condizione di maestro; rende sgradevole la condizione di genitore e la condizione di figlio. L'autorità genera nel campo in cui si esprime una relazione asimmetrica, che solo se è legittimata, puo' essere coronata dal riconoscimento e dal rispetto.

Per parlare con autorità ai giovani, oggi, bisogna sapere esercitare attrazione; bisogna avere prestigio; bisogna possedere sapere.
Le fondamenta dell'autorità sono l'esperienza, la competenza, l'apprezzamento dell'impegno per il bene comune, la sollecitudine, l'attenzione, la cura, la disponibilità, la persuasione, l'ascolto. Queste sono le uniche sue possibili armi.
Non c'è più spazio per le minacce, per la l'uso coercitivo della forza e delle posizioni di potere. Servono molto poco le sanzioni, le punizioni. L'autorità che funziona ha alle sue spalle esperienza e tradizioni, ma deve essere in grado di prospettare e garantire orizzonti ragionevoli per il futuro.
Nei rapporti familiari e nel rapporto educativo il rapporto d'autorità resta sempre un rapporto tra persone e tra ruoli, che per essere positivo non può essere sviluppato arbitrariamente, ma deve essere mediato da regole alle quali deve restare vincolato chi esercita l'autorità e chi la deve accettare o subire. In un sano rapporto d'autorità ci deve essere il reciproco riconoscimento e il reciproco rispetto dei diritti connaturati alla propria posizione. Il concetto di autorità non si può isolare da quello di comunità, di istituzione e di regole. Alla gerarchia vincolante e coercitiva deve subentrare la divisione razionale delle funzioni:tutto si tiene se c'è organizzazione, coesione, spirito comunitario e ad ognuno è data la responsabilità di mettersi in discussione e di dare conto del proprio operato.

L'uomo è l'unico essere vivente che ha bisogno di essere educato e l'educazione si svolge all'interno di un rapporto in cui coesistono la "precedenza"di chi ha sapere ed esperienza e deve trasmetterli e la posizione di "subalternità" di chi, non avendoli, è tenuto/interessato a seguire.
La trasmissione di saperi, valori e costumi tra le generazioni è l'atto fondatore con cui l'educazione e quindi gli adulti garantiscono "la continuità del mondo"(Arendt). Le nuove generazioni non devono inventarsi il mondo, se non altro perchè non lo possono fare; perchè già c'è a loro disposizione; bisogna, però, dare loro gli strumenti, il linguaggio, le conoscenze, la cultura perchè lo possano abitare in modo appropriato. E questo non avviene casualmente, ma in un rapporto regolare e ordinato di istruzione/formazione/educazione.

E' nel rapporto di trasmissione che si instaura e si legittima il principio di autorità. La trasmissione dei saperi, delle conoscenze e delle tradizioni è un'avventura in cui si incontrano chi crede nell'educabilità del giovane e la volontà del giovane che si mette in giuoco per il piacere di apprendere e di comprendere (Meirieu).
Educare, essere ragionevole, accorta, saggia autorità per gli adulti è un obbligo; non farlo un'abdicazione, un tradimento. A casa, a scuola, nella società.

prof. Raimondo Giunta








Postato il Mercoledì, 11 febbraio 2015 ore 08:15:00 CET di Nuccio Palumbo
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