Tra gli istituti
tecnici in Sicilia solo uno su 10 ha svolto la prova. Il rischio di non
poter usare i dati per la valutazione. Ajello: non è stata solo
protesta politica - Sarà come una carta di identità senza la
fotografia. Chi la potrebbe considerare valida? Le scuole italiane del
Centrosud si sono rifiutate in grandissima parte di farsi fotografare
dall’Invalsi lo scorso maggio. E la prima carta di identità delle
scuole, quel rapporto di autovalutazione (Rav) che avrebbe dovuto
essere pronto a luglio ed è già slittato a settembre, in queste regioni
resterà fortemente incompleto, insomma per molte scuole
inattendibile.Che il «boicottaggio» delle prove Invalsi avesse
raggiunto e superato il 20 per cento su base nazionale si sa da maggio,
ma i dati pubblicati la scorsa settimana hanno scattato la fotografia
della débâcle delle prove in Sicilia, Campania, Calabria e Puglia.Sarà
come una carta di identità senza la fotografia. Chi la potrebbe
considerare valida? Le scuole italiane del Centrosud si sono rifiutate
in grandissima parte di farsi fotografare dall’Invalsi lo scorso
maggio. E la prima carta di identità delle scuole, quel rapporto di
autovalutazione (Rav) che avrebbe dovuto essere pronto a luglio ed è
già slittato a settembre, in queste regioni resterà fortemente
incompleto, insomma per molte scuole inattendibile.Che il
«boicottaggio» delle prove Invalsi avesse raggiunto e superato il 20
per cento su base nazionale si sa da maggio, ma i dati pubblicati la
scorsa settimana hanno scattato la fotografia della débâcle delle prove
in Sicilia, Campania, Calabria e Puglia.
Non ci sono dati per il 2015 su come vanno le scuole in 4 regioni
Il record negativo spetta alle scuole siciliane. Analizzando i numeri
delle prove che si
sono svolte nelle seconde superiori si legge: Sicilia, partecipazione
11,6 (licei) 10,0 Istituti tecnici, 6,5 istituti professionali. Poco
meglio la Puglia (2 licei su 5 e 1 istituto tecnico su 6) e la Campania
(1 liceo su tre e 1 istituto tecnico su 6) «È fallito il dato censuario
- spiega Annamaria Ajello, presidente dell’Invalsi che solo lo scorso
anno poteva celebrare un dato eccezionale, oltre il 98 per cento delle
scuole avevano sottoposto i ragazzi al test di valutazione
dell’apprendimento - avremo un buco in molte regioni per il 2015, ma
stiamo lavorando per avere statistiche attendibili». Come? I funzionari
del Miur che hanno compilato il rapporto spiegano che «mediante
opportune tecniche statistiche, che saranno oggetto di uno specifico
approfondimento metodologico che l’Invalsi pubblicherà entro dicembre,
sono stati ricalcolati i pesi delle scuole nelle regioni con alti tassi
di astensione in modo che la rappresentatività nazionale fosse
garantita», insomma si sono rivolti all’Istituto nazionale di
Statistica per cercare di mettere una pezza.
Ma che cosa è successo quest’anno? «Sicuramente la protesta per
l’approvazione della riforma che in quei giorni era molto forte -
spiega Ajello - ma non basta a spiegare tutto: anche nel Nord ci sono
state proteste ma gli insegnanti non hanno usato l’Invalsi». Resta
un’eccezione Roma, che con l’alta astensione - soprattutto degli
istituti professionali - abbassa fortemente anche la media del Lazio
(meno di un istituto su tre ha fatto i test).
E i presidi non sanno come distribuire i premi al merito
Secondo gli esperti del ministero che hanno studiato i dati uno per
uno, le scuole che non partecipano «sono quelle i cui allievi hanno
sistematicamente risultati più bassi, dove il contesto socioeconomico è
meno favorevole e nelle quali l’anno passato si sono registrati
comportamenti opportunistici», cioè si copiava di più. È probabile che
poiché quest’anno i risultati cominciano ad essere resi pubblici anche
scuola per scuola, i professori abbiano preso le loro contromisure. E
c’è da immaginare che l’introduzione della valutazione e dei criteri di
merito (duecento milioni), che la nuova legge sulla scuola affida ai
presidi per premiare gli insegnanti, non sarà una passeggiata: intanto
in tutte queste scuole non potrà essere usato come criterio la
valutazione delle competenze. Si aggiunga che la sperimentazione appena
conclusa dal Miur sulla Valutazione (riforma Gelmini) ha evidenziato
che l’idea di essere valutati per un premio non migliora di per sé
l’apprendimento anche se rende le scuole più organizzate e che solo un
preside su tre ha prontamente usato i soldi-premio per la sua scuola,
circa 100 mila euro. Come? Quasi la metà li ha distribuiti a pioggia,
gli altri li hanno usati per comprare computer. «Nella scuola non c’è
la cultura del premio individuale - spiega Andrea Gavosto della
Fondazione Agnelli che ha pubblicato un rapporto sulla sperimentazione
- che genera più competizione che collaborazione. Ma soprattutto, se il
sistema non sarà in grado di fornire dati affidabili, la valutazione e
i premi diventano velleitari».
Gianna Fregonara
Corriere.it