Cosimo
Ceccuti, benemerito promotore della Fondazione Spadolini, ha
fatto opera egregia e molto opportuna nel ricordare su La Nazione di venerdì 28 agosto a p.
30, con grande affetto, la figura di Manara
Valgimigli a cinquant'anni dalla
sua scomparsa a Vilminore di Scalve in provincia di Bergamo; ma
nel delinearne la biografia ha ignorato la sua permanenza fondamentale
a Massa come acuto studioso e pubblicista, brillante docente di latino
e greco al Liceo Classico "Pellegrino Rossi" e attivo assessore
alla Pubblica Istruzione nel Comune.
Il "passaggio" massese di Valgimigli nel periodo 1913-1916 risulta
purtroppo del tutto assente in Ceccuti e tuttavia è puntualmente
documentato nel prezioso Registro dei verbali del Collegio dei
Professori stilati dal 1911 al 1916, ininterrottamente, da Balbino
Giuliano, docente di filosofia e futuro ministro dell'Educazione
Nazionale dal 1929 al 1931. Tale registro è conservato nell'Archivio
Storico del Liceo-Ginnasio "Pellegrino Rossi" e annota fedelmente
nell'ottobre del 1913 l'arrivo di Manara Valgimigli, il grande
filologo, storico e traduttore elegante di moltissime pagine di
letteratura greca che adesso ha trentasette anni ed è nella pienezza
delle sue energie intellettuali, nonostante la fatica dei continui
trasferimenti per la Penisola ed il dolore per la morte della
giovane moglie Sandrina (Alessandra Cantoni) il 9 luglio 1904. Egli
partecipa alla prima adunanza collegiale del 7 novembre 1913 nella
quale vengono affrontati temi assai delicati di pedagogia e di
organizzazione scolastica e all'ultima adunanza del 4 luglio 1916.
Il periodo massese riveste un'importanza decisiva nella biografia
intellettuale di Valgimigli, che a Massa ritrova l'entusiasmo per la
ricerca e la serenità psicologica e può esprimere, ascoltato, il suo
interventismo democratico, il suo socialismo mazziniano ed il suo
idealismo pedagogico. Qui egli può lavorare sulla non facile
ricostruzione del testo aristotelico della Poetica, che viene tradotto,
interpretato e pubblicato nel 1916 (con "affettuosi consensi tra
cui mi piace rammentare uno scritto di Balbino Giuliano", dice l'Autore
nell'introduzione alla seconda edizione del 1934), collaborare
intensamente con articoli pregevoli di politica e di cultura al
giornale interventista locale E
Vincere Bisogna e alle prestigiose riviste promosse da Gaetano
Salvemini e Giuseppe Lombardo-Radice. Il libro La mia scuola pubblicato da
Vallecchi di Firenze nel 1924, che è un piccolo capolavoro
di stile e di profonde riflessioni pedagogiche (e che è
dedicato al pedagogista Ernesto Codignola: "Mio caro Ernesto,Tuo è
questo libro"), rivela il suo nostalgico ricordo di Massa, di
Carrara e della Lunigiana ed esprime tutta la sua simpatia nei
confronti di quei colleghi che come Giuseppe Procacci morto sul Carso
fanno quotidianamente il proprio dovere in silenzio, ma in modo
efficace, sia nella scuola, sia in guerra. Così Valgimigli compie il
suo dovere professionale sino alla fine dei suoi giorni e risponde
anche all'appello dell'antifascismo della prima ora sottoscrivendo il
famoso Manifesto degli intellettuali
antifascisti stilato da Benedetto Croce nel 1925.
Egli interiorizza la pedagogia idealistica e apprezza onestamente
l'impostazione rigorosa che agli studi ha voluto imprimere Giovanni
Gentile con la sua riforma scolastica del 1923: "Io non sono, tu lo
sai, fascista; e non certo, anche questo lo sai, per pregiudizi e
preoccupazioni di conservatorismo borghese, onde sono fascisti i più
[...] Fondamentalmente la riforma c'è; e questo importa [...] Non è
bene
invece questa identificazione assoluta che si vuol porre di una
dottrina filosofica con un movimento politico; il quale, nonostante
tutta la buona volontà e le più rosee speranze di certi profeti a lunga
scadenza, sarà sempre un movimento contingente e transitorio. La
riforma scolastica muove da esigenze e dottrine interne che sono
anteriori di parecchi anni al fascismo. Per non citare altro e non
andare più indietro, il Sommario di
pedagogia di Giovanni Gentile, che fu ed è per tutti questi
nostri problemi il libro capitale, è del 1913. Sono dottrine che hanno
una loro nobiltà più che decenne cui nessun'araldica fascista potrà mai
aumentare di certo" (Dalla Prefazione
di Manara Valgimigli a La mia
scuola, cit.). E la riforma gentiliana, aggiunge il
Valgimigli, va difesa "contro lo stesso fascismo" e quei professori che
a Pisa "coprirono di urla e di ingiurie Croce e Gentile e te [ Ernesto
Codignola] e gli amici tuoi e loro". Con intelligenza
critica e con una perfetta conoscenza della pedagogia idealistica,
elaborata in tempi non sospetti, egli si rende conto perciò che la
riforma scolastica del 1923 ha una sua nobile fonte teoretica diversa
dalla volgare ed eclettica dottrina praticata e diffusa dal fascismo.
A Lui ed al suo collega Balbino Giuliano, che ha intrapreso una strada
completamente diversa nel ventennio (e che ha pagato duramente la sua
scelta nel secondo dopoguerra) dopo l'adesione all'interventismo ed al
nazionalismo, il Liceo-Ginnasio "Pellegrino Rossi" ha dedicato diverse
iniziative e alcuni saggi pubblicati su varie riviste locali e
nazionali che non potevano sfuggire alla diligente attenzione dello
studioso Ceccuti. A costui però bisogna attribuire il grandissimo
merito di avere tentato una ricognizione storiografica, seppure
parziale, in un tempo difficile e privo di memoria storica e di avere
illustrato in modo sintetico ma incisivo l'enorme attività
bibliografica di un vero Maestro quale è stato e rimane il nostro
Manara Valgimigli, che arriva tardi alla cattedra universitaria e
che dà lustro agli Atenei di Messina, Pisa e Padova, dove rimane
più a lungo e diventa collega e amico di Concetto Marchesi.
prof. Salvatore Ragonesi