Tutto iniziò, se la
memoria non ci inganna, con il "Qui manebimus
optime" di Berlusconi. Cicerone, aveva detto "hic", che è
avverbio di luogo, mentre "qui", in latino, è pronome relativo. Ma per
un uomo d'azione, come l'ex Cavaliere, quello che conta è
il messaggio. E il messaggio era chiaro e forte. Qui o hic, non
si sarebbe smosso da lì. Per schiodarlo dalla poltrona hanno impiegato
altri vent'anni. E la citazione sbagliata? Bazzecole. Il latino è
come il sapone sul lastricato, viscido e insidioso. E un
"classico" scivolone sull'onda dell'enfasi oratoria può capitare
a tutti. La cosa peggiore però non è stato lo schiaffo a
Cicerone, quanto l'aver "legittimato" - tanti altri (e peggiori)
scivoloni ...
La più rapida a raccogliere il testimone è stata la Gelmini, per lunghi
anni ministro dell'Istruzione e della Ricerca nei governi Berlusconi,
quando la compagine di maggioranza si faceva chiamare Polo del
Buon Governo.
Oggi di "buona" c'è rimasta solo la scuola. In nomen omen? Ma
lasciamo perdere le polemiche. Gelmini è la donna che armata di
tanto coraggio e di pochi slogan (ricordate le famose tre "i"?)
ha affrontato il filosofo Gentile sul terreno insidioso della pedagogia
e ha ridotto in ceneri la scuola (quella gentiliana, cosa credevate?)
tirando la volata ai nuovi riformatori.
Altri ci avevano provato prima, ma a lei è riuscito. Sarebbe potuta
essere ricordata per questo, e invece no. Il destino cinico e baro l'ha
fatta inciampare in una trappola che anche la più smandrappata delle
maestrine avrebbe evitato: il pastrocchio del tunnel
partorito dalla fantasia dei suoi collaboratori al Ministero e lanciato
in tv con grande enfasi.
Poi è arrivato l'uno - due che avrebbe steso al tappeto qualsiasi altro
ministro dell'Istruzione (l'accento malandrino finito sulla "i"
di egida"), mentre lei è rimasta al suo posto. Optime.
Neanche i suoi colleghi di governo, però scherzavano. Bossi ha avuto
anche lui i suoi momenti di gloria. Ne ricordiamo la limpidità
dell'eloquio quando riecheggiando l'incipit di una poesia di Monti,
proclamò che il tiranno (Berlusconi) era caduto.
Poi il leader della Lega, tornò sui suoi passi e dismessi i panni di
Massimiliano Robespierre (mantenendo però quelli del poeta di
riferimento), diede prove di capacità trasformistiche, da fare invidia
a Fregoli. Da vero e proprio luminare, prese di punta la Medicina
e addentrandosi con sicurezza nei meandri più oscuri della
gastroenterologia e della tricologia, proferì le seguenti parole alate:
"a quello lì (Oscar Luigi Scalfaro) con una scureggia gli sbianco i
capelli".
Oltraggio al Capo dello Stato? Macché, semplici esternazioni.
Neanche oggi, però, si scherza. Se i congiuntivi degli uomini di
punta del Movimento 5 Stelle sono da matita blu, la replica di Alfano
non è da meno. Ammaestramenti di vita e di sintassi graziosamente
elargiti, sono esposti in un italiano che chiamare maccheronico è puro
eufemismo. Sulla stessa frequenza d'onda il Premier, che dopo le note
uscite pubbliche in inglese e in francese, deve essere stato
sconsigliato di avventurarsi in evoluzioni linguistiche di stampo
manzoniano. Una scelta conservativa di cui sembra avere fatto tesoro.
Peccato che nessuno gli abbia detto un'altra cosa di grande importanza,
e cioè che fare l'insegnante (anche solo in tv) senza averne la
preparazione può essere insidioso tanto quanto pensare di potere
parlare in latino al Papa, contando su pochi e vaghi ricordi
liceali.
Sarà stato per questo che con un piglio degno del migliore maestro
Manzi, il nostro premier si è cacciato in situazioni ai limiti
del surreale, come quando si è deciso a spiegare (in maniche di
camicia), agli italiani (ridotti in mutande) le bellezze e le
magnifiche sorti della Buona Scuola. L'occasione non sembra
essere stata molto propizia, e con il confondere nomi e
aggettivi, il Premier ha messo irrimediabilmente in crisi la propria
credibilità come futuro professore.
Gli è restata però una consolazione, quella che la causa per la quale
si sta battendo è valida.
L'Italia ha davvero bisogno di una buona scuola.
Alfio Chiarello