Il
sistema incompiuto danneggia gli alunni disabili e le loro famiglie, ma
anche i docenti, perché tutto è ancora basato sulle supplenze
temporanee (su cui lo Stato risparmia). All’ultimo concorsone nella
maggior parte delle Regioni c’erano meno candidati che posti messi a
bando. Da qui il paradosso: al Nord i presidi disperati sono costretti
a mandare in cattedra insegnanti senza il titolo di specializzazione.
Al Sud docenti qualificati restano a casa e, a causa del blocco delle
graduatorie, non si possono nemmeno spostare. Ecco le loro storie
I ragazzi disabili aumentano, i docenti specializzati mancano e
l’assistenza non è mai abbastanza. Il sistema italiano di sostegno è
considerato uno dei migliori d’Europa per qualità e quantità. Ma
andatelo a dire alle famiglie che ogni anno si ritrovano con i propri
figli abbandonati. O a maestri e professori costretti a vivere
nell’incertezza. “Vorrei solo aiutare chi ne ha bisogno”, dicono loro.
In molti casi, però, non è possibile. Da un anno il Ministero
dell’Istruzione si arrovella su come cambiare la figura dell’insegnante
di sostegno, ma il vero problema è uno e uno soltanto: la precarietà.
Migliaia di posti scoperti perché non ci sono specializzati, decine di
migliaia coperti ma solo con delle supplenze. Con in più la beffa di
personale qualificato che resta a casa senza lavoro perché magari è in
graduatoria nella provincia sbagliata. Una situazione in cui perdono
tutti. Eccetto forse le casse dello Stato, che risparmia centinaia di
milioni grazie ai contratti a tempo determinato.
Non che negli ultimi anni il governo non abbia aumentato la spesa in
sostegno a disabili: negli ultimi 15 anni i docenti di sostegno sono
quasi raddoppiati, passando dai 65.615 del 2001 ai 124.572 del 2016.
Intanto, però, sono aumentati anche gli studenti (8mila in più solo
nell’ultimo anno). Da una parte c’è la carenza cronica di
specializzati: pochi, pochissimi per il fabbisogno delle scuole. Basti
pensare che all’ultimo concorsone in molte Regioni c’erano meno
candidati che posti messi a bando. Dall’altra c’è la percentuale di
supplenti, che si mantiene troppo alta: circa il 37% del totale, con
tutto ciò che questo comporta per i ragazzi (il trauma di dover
ricominciare ogni anno da zero). Con i mille provvedimenti della Buona
scuola, il governo non è riuscito ad incidere realmente né sull’uno, né
sull’altro problema. Proprio la delega in fase di sviluppo ha bloccato
l’attivazione di un nuovo corso di Tirocinio Formativo Attivo, l’unico
strumento che potrebbe specializzare nuovi docenti. Mentre le continue
deroghe (28mila anche quest’anno) alimentano il fenomeno delle
supplenze e l’assurda divisione tra organico di diritto e organico di
fatto. Che ora la legge di Stabilità dovrebbe risolvere per i posti
comuni, ma non per il sostegno (a cui sono riservati appena 5mila delle
28mila stabilizzazioni previste).
Così la frustrazione degli alunni disabili, raccontata da
ilfattoquotidiano.it, è vissuta in prima persona anche dai docenti di
sostegno. “La situazione è diventata insostenibile. Il governo dovrebbe
almeno stabilizzare subito tutti gli insegnanti specializzati presenti
in seconda fascia d’istituto e nelle Graduatorie ad Esaurimento”,
afferma il portavoce nazionale degli insegnanti di sostegno precari,
Ernesto Ciraci. Attualmente ce ne sono circa 15mila in tutto il Paese,
distribuiti soprattutto nelle Regioni meridionali (ad esempio 3.356 in
Sicilia, 1.552 in Campania, 1.423 in Puglia, 728 in Calabria secondo il
censimento del Coordinamento). Alcuni di loro lavorano, ma solo a tempo
determinato o su spezzoni di contratto. Altri addirittura restano a
casa: disoccupati, perché in lista in Regioni troppo affollate, senza
possibilità di trasferirsi altrove fino all’anno prossimo (quando il
Miur aggiornerà le graduatorie). Mentre al Nord i presidi disperati
sono costretti a mandare in cattedra docenti senza il titolo di
specializzazione sul sostegno, o in certi casi neppure abilitati. Con
buona pace di chi questo mestiere vorrebbe farlo davvero, per vocazione
e non per utilità.
Renato La Cara e
Lorenzo Vendemiale
Il Fatto Quotidiano