Elio
Vittorini (Siracusa, 23 luglio 1908 - Milano, 12 febbraio 1966) è
uno degli intellettuali italiani più vivaci e uno degli scrittori più
impegnati nella revisione e ridefinizione del realismo nell'arte
ed in letteratura. Egli ridefinisce inoltre l'idea di letterarietà e
giunge fino al limite estremo delle possibilità "nuove" contenute nel
termine, che, dopo di lui non potrà assumere il tradizionale
significato di stilisticamente e formalmente adeguato. La sua critica
al concetto ormai logorato dall'abuso scolaticistico è generata da una
nuova visione acquisita durante la vastissima ricognizione non solo
della vita letteraria, ma anche di quella sociale e politica. E' con la
stessa esperienza di traduttore dei maggiori romanzieri americani, che
introduce in Italia un clima culturale e letterario meno
municipale. L'esperienza antifascista e l'adesione al partito comunista
gli offrono poi gli strumenti conoscitivi di prima mano per ottenere
una capacità di linguaggio e di scrittura a tutto campo, come è appunto
il terreno della "nuova" letterarietà che insegue e propone. Non è un
caso perciò il duro scontro con Palmiro Togliatti, il capo
intellettuale e politico dei comunisti italiani ed il più raffinato
dirigente della Terza Internazionale comunista, nell'immediato
dopoguerra, quando lo scrittore siciliano affronta sulla sua rivista il
"Politecnico" una serie di questioni che sottopone al Grande Capo
che non si lascia scappare l'occasione per intervenire in maniera molto
autoritaria sulla sua rivista "Rinascita" e dimostrare davanti a tutti
la sua egemonia intellettuale e politica. Poco dopo lo scrittore
sceglie un altro campo di esercitazione politica, dopo essersi
esercitato seriamente e rischiosamente con il nazifascismo .
Quelli che Elio Vittorini pone sono quesiti apparentemente semplici, ma
in realtà invadono il campo della terribile storia contemporanea, sulla
quale egli ha molto da dire e da raccontare. Lo farà con "Uomini e no",
che è il primo romanzo italiano sulla Resistenza vista in termini non
tanto militari, ma etici e politici. E la domanda se la guerra
nazifascista fosse una barbara esecuzione di bambini più che di soldati
non è poi tanto ingenua, come non lo è almeno per l'Italia il fatto
assai ben documentato dall'ultima più imparziale
storiografia che accanto alla Resistenza militare vi è una Resistenza
Civile che diventa molto più importante e significativa dell'altra, la
quale però è difesa ad oltranza dai comunisti, un tempo molto
suscettibili rispetto a questi rapporti per loro tacite motivazioni
politiche. Ma Vittorini se lo pone questo problema, perché va alla
ricerca della verità ed è dell'avviso che l'intellettuale debba cercare
sempre la verità e non accontentarsi di comunicarla. Anche su questo
punto cruciale la distanza tra i due interlocutori è notevole e non può
non segnalare una diversa appartenenza culturale e ideologica. Come del
resto sulla questione non meno grave del realismo, nel momento in cui
molti artisti e scrittori l'accolgono in blocco, senza colpo ferire.
Sul realismo lo scontro si fa subito maligno tra Vittorini e Togliatti
e ciascuno di loro esprime con la massima chiarezza e coerenza il
proprio punto di vista sull'argomento. Togliatti, che ha di mira la
crescita del partito nel dopoguerra e della sua iniziativa
politica per ottenere l'egemonia, culturale nei termini, teorizzata da
Antonio Gramsci nei suoi "Quaderni del carcere" che egli ha avuto con
molta probabilità la possibilità di leggere quando sono approdati in
Unione Sovietica con Tania, ritiene che realista in letteratura sia
quella posizione dell'intellettuale "organico" capace di divulgare e
diffonderne la verità del partito rintracciata necessariamente negli
oggetti e nelle situazioni che costituiscono un dato di realtà e
la cui conoscenza dev'essere utile all'azione del partito. Il reale non
avrebbe bisogno di essere ulteriormente ricercato dall'intellettuale,
giacché esso viene offerto dal partito e va solo divulgato. Elio
Vittorini non accetta una tale astronomica velleità e la combatte
sostenendo invece che il realismo è la ricerca della verità attraverso
tutti i canali conoscitivi senza tener conto del vantaggio che ne
può derivare al partito. Il realismo è critico e metafisico e si pone
molto al di sopra di ogni verità partitica. L'intellettuale,
organico o disorganico che sia, non può trasformarsi in "suonatore di
piffero per la rivoluzione". Oggi sarebbe piuttosto facile dare ragione
alla posizione vittoriniana e torto a quella togliattiana, ma allora,
negli anni dell'immediato dopoguerra, quando il mondo sta per dividersi
tra Oriente e Occidente, la concezione dello scrittore non siciliano
non trova facile consenso nel partito ed egli toglie il disturbo
continuando la sua battaglia culturale e politica altrove, soprattutto
presso le Case Editrici Einaudi e Mondadori con operazioni di
grande spessore gnoseologico. D'altra parte a queste operazioni egli è
abituato sin dai tempi di "Solaria" nell'ambiente antifascista
fiorentino, e non può non ritenere inutile quell'esperienza fiorentina
che precede l'inizio della seconda guerra mondiale e della lotta
partigiana.
Il realismo metafisico di "Conversazione in Sicilia", l'opera che
trasuda liricità, originalità di racconto e personalità di stile, ma
soprattutto capacità di trascendimento dal realismo empirico al
realismo critico, da una realtà geografica e antropologica
concretamente e puntualmente rappresentata ad una realtà ontologica, è
il risultato di una sintesi perfetta e presenta una sua densità
creativa ed artistica, lirica ed estetica, che difficilmente si
riscontra nella storia della letteratura italiana. Il romanzo era stato
pubblicato a puntate sulla rivista "Letteratura" e poi viene raccolto
in volume per la pubblicazione del 1941. La sua trama si sviluppa
attorno ad alcune figure principali, che danno vita alla loro visione
del mondo: Silvestro Ferrauto, il tipografo e intellettuale milanese,
protagonista del viaggio in Sicilia a seguito della lettera allarmata
del padre che è in procinto di separarsi dalla madre Concetta. E poi
esistono ed entrano in azione altre figure non meno importanti ai fini
della determinazione del significato dell'itinerario di Silvestro e
della sostanza metafisica e metaforica della Sicilia: il sellaio
Ezechiele, l'arrotino Calogero e via via altri personaggi
costitutivi della struttura speculativa e discorsiva del racconto. Al
di sopra del quale aleggiano il Gran Lombardo e l'eroico Furore di
marca bruniana, e quindi il dolore e la morte di genere
esistenzialista, quattro figure concretamente metafisiche che
attraversano tutta la narrazione organizzata attorno alle quattro
figure metaforiche ma di effettuale realtà e verità. Esse legano e
completano le cinque parti in cui si articola la narrazione con i suoi
dialoghi reiterativi ed espansivi o approfonditivi per dare
respiro, solennità e ordine ai concetti espressi. E questa è la
scoperta della grande narrativa americana di cui Vittorini è uno dei
più attenti indagatori e traduttori.
prof. Salvatore Ragonesi