La ministra
dell’istruzione Fedeli ha firmato il decreto che espande la
sperimentazione dei cosiddetti Licei Brevi (di quattro anni) dalle
attuali 11 scuole, di cui ben 6 in paritarie, a 60 o 100 istituti su
tutto il territorio nazionale. L’obiettivo di ridurre il percorso
scolastico di un anno in questo paese non è una novità. Negli anni si è
parlato di accorpare scuola primaria e medie inferiori, di accorpare
medie inferiori e superiori e da alcuni anni si insiste sul taglio di
un intero anno di scuola, negli istituti superiori. Il mantra è sempre
lo stesso: metterci al passo con l’Europa, dove i giovani finiscono la
scuola un anno prima rispetto agli studenti italiani. In realtà il
sistema europeo è tutt’altro che omogeneo, vi sono paesi in cui la
scuola termina a 18 anni, che però hanno un sistema in cui la scuola
“media” si prolunga fino a 15/16 anni (sul modello anglosassone), ma vi
sono paesi, tra cui quelli del Nord, in cui il percorso termina a 19
anni. In altri paesi dipende poi dal tipo di scuola scelto (in
Germania, ad esempio).
Allora, se il quadro europeo è così variegato, perché insistere tanto
sull’abbassamento dell’età in cui si consegue il diploma di scuola
superiore? Per di più di fronte a un tasso di disoccupazione giovanile
che davvero non sembra incoraggiare un ingresso anticipato nel mondo
del lavoro? A noi sembra evidente che lo scopo è sempre lo stesso e
accomuna tante cosiddette novità, dall’alternanza scuola lavoro, al
proliferare di progetti e “collaborazioni” coi privati e il mercato,
alla didattica per competenze: ridurre il tempo-scuola e abbassare il
livello di istruzione complessivo della popolazione scolastica.
Produrre cittadini sufficientemente istruiti e specializzati, ma non
educati a pensare. Ridurre i saperi e aumentare le “competenze”, creare
manodopera a diverso livello di specializzazione, disponibile a
lavorare alle condizioni dettate dal mercato, manodopera non in grado
di produrre pensiero critico sull’esistente, cittadini inermi di fronte
ad ogni cambiamento peggiorativo delle loro condizioni di vita e
lavoro. Ogni provvedimento degli ultimi 20 anni, dalla riforma Gelmini
alla L. 107, alle leggi delega di quest’anno, va in questa direzione.
È necessario anche sottolineare che ridurre di un anno il tempo della
scuola porterà ad accentuare ancora di più il gap tra gli studenti che
provengono da famiglie abbienti, in grado di garantire ai figli
esperienze, cultura, conoscenze e gli studenti che queste possibilità
non hanno, indebolendo ulteriormente il ruolo di ascensore sociale che
la scuola pubblica e statale ha avuto per molti anni
Inoltre da lavoratori della scuola, non possiamo non chiederci che
effetti un provvedimento del genere possa avere sull’organico docente.
Quanti posti di lavoro potrebbero perdersi?
Infine, troviamo davvero inquietante l’idea di aumentare il monte ore
annuale da 900 a 1050, dopo che per anni tutti i ministri succedutisi
al dicastero dell’istruzione hanno lavorato al taglio delle ore di
scuola giornaliere con la scusa dell’eccessiva fatica che quel numero
di ore avrebbe comportato per gli studenti. Improvvisamente il problema
non esiste più? Sorvoliamo sulla pretesa di concentrare l’ASL nei
periodi di vacanza, ovvero sull’ulteriore aggravio di lavoro per
studenti e docenti.
Alla luce di tutto questo invitiamo i collegi docenti a bocciare tali
sperimentazioni, prive di valore pedagogico, ma utili al progetto di
smantellamento del sistema
scolastico pubblico e statale in favore della scuola azienda funzionale
al mercato.
scuola@usb.it