Siamo a Ferrara,
provincia della bassa pianura emiliana che nel corso dei secoli ha
ospitato personalità artistiche come Ariosto, Tasso, Mantegna,
Copernico, Tiziano. Non solo arte e letteratura ma anche artigianato,
la città vanta infatti una tradizione storica di caffè di qualità. A
partire dal signor Penazzi, che nel 1926 ha iniziato a tostare i
chicchi per ottenere un espresso ad hoc, fino a giungere ad Alberto
Trabatti, ex bancario che ha continuato questa tradizione sulla stessa
via, rendendola un “marciapiede profumato al caffè”. Questa è la sua
storia, un percorso professionale realizzato attraverso la passione, lo
studio, il destino e tante tazzine di caffè.
Come nasce l’attività?
Sono un ex bancario, vengo dal mondo dell’economia, fatto di numeri e
operazioni. Ma fin da piccolo sono sempre stato affascinato dal caffè:
ogni volta che andavo in drogheria con mia madre a comprare il caffè
per casa, quel profumo intenso e avvolgente, mi stregava. Tutto è
partito dal piacere. Poi ho iniziato a esplorare la mia passione
attraverso alcune conoscenze che mi hanno introdotto al mondo del
caffè. Nel 2004, trasferitomi da Bologna a Ferrara, ho aperto la mia
torrefazione in Piazza della Repubblica. Destino ha voluto che proprio
su quella via ci fosse stato dal 1926 il laboratorio di Arrigo Penazzi,
noto torrefattore di Ferrara. Quello su cui ha sede la mia attività è
un marciapiede che profuma di caffè. Destino, fato, chiamiamolo come
vogliamo, ma al caso non credo. Tutto avviene per una ragione. Ho
deciso dunque di riscoprire questo marchio antico: Penazzi, un nome che
giaceva nell’oblio, apparteneva all’omonimo signore, morto nei primi
anni ’50, che aveva ceduto il laboratorio a un ragazzo di bottega ma il
marchio, fino a che non sono arrivato io, era stato completamente
dimenticato. Io ho semplicemente ripreso il cammino intrapreso da
questo signore.
Ha riscoperto e rivalorizzato
un’attivitàantica. Come è stato accolto dalla clientela?
Bene, direi. Siamo riusciti a compiere una sorta di piccolo miracolo.
Non tanto per la quantità di clienti che abbiamo ma per la loro
varietà. Da noi vengono ferraresi di tutte le età e questo fa di noi un
luogo adatto a ogni tipo di pubblico. Non siamo un locale d’elite,
esclusivo ma ci teniamo ad avere clienti interessati, che hanno voglia
di informarsi e conoscere il caffè. Siamo stati comunque ben recepiti,
siamo “quelli che fanno il caffè buono a Ferrara”.
Parlando di informazione. Come cercate
di avvicinare i clienti a questo prodotto?
A volte organizzo delle degustazioni, degli incontri. In passato ho
anche collaborato con Slow Food. Ma principalmente cerco di raccontare
e spiegare l’espresso ai clienti. Basta qualche nozione, piccole
informazioni di base, consigli, una lezione spicciola mentre chiudo il
sacchetto del caffè. Basta veramente poco, una chiacchiera informale
con il cliente e il messaggio (quasi sempre) arriva.
A proposito di consigli. Una breve
guida per il cliente che vuole fare un buon caffè a casa?
Nelle mie confezioni inserisco sempre un bigliettino con qualche regola
da seguire a casa. Comunque in questi anni ho visto commettere
veramente tanti errori sia con la moka che con le capsule. Per non
parlare della conservazione del caffè!
L’errore più comune?
Quando si prepara la moka, il caffè va sempre livellato imprimendo una
pressione leggera, altrimenti la polvere va a finire a cavallo con la
guarnizione e si rovinano la moka e il gusto. Quella famosa
“montagnetta” che in molti a casa fanno con la polvere di caffè non ci
deve essere.
Altri fattori da tenere in
considerazione?
L’acqua deve avere un basso residuo di calcare, la fiamma deve essere
sempre mantenuta bassa, mai portata al massimo, e il coperchio sempre
aperto. Un tema importante che in pochi affrontano è quello della
conservazione del caffè. Io lo tengo in frigorifero, chiuso in un
barattolo ermetico. È importante non lasciarlo fuori perché il caffè in
grani dura 40/45 giorni. La polvere è una frazione di chicco e quindi
va mantenuta il più possibile al riparo. Troppo spesso le persone
acquistano una quantità eccessiva di caffè che col tempo si rovina.
Bisognerebbe acquistarne giusto il necessario, giusto quello che si
beve settimanalmente. La preparazione del caffè va curata dalla
tostatura del chicco fino alla tazzina. È un processo lungo che va
seguito con attenzione: macinare, dosare, pressare e poi viene la
scelta della tazzina! Spesso si trascura questo particolare che invece
è fondamentale. La tazzina non deve essere né troppo fredda né bollente
e soprattutto non deve avere il fondo piatto e largo come purtroppo
spesso accade nei bar. Il fondo largo rompe la crema e rovina
l’espresso.
Che tipologie di caffè proponete?
Abbiamo 12 monorigine, fra cui uno molto raro, il Jamaica Blue
Mountain, che devo tostare su ordinazione. Le miscele invece sono
sempre pronte. Ne ho tre e la più venduta è quella del mastro
torrefattore, che fornisco di default ai locali. Non produco
assolutamente capsule e non utilizzo robusta, ma solo arabica. La
robusta ha infatti un sapore sgradevole e astringente, che viene
equilibrato da una forte tostatura, la quale però fa diventare il caffè
più amaro. Allora tanto vale non utilizzare questa varietà. Varietà che
è stata legittimata per ottenere un prodotto a basso costo. In questo
settore si fa spesso un discorso di economia che, da una parte, è anche
giusto (io stesso vengo dal mondo dei calcoli) ma dall’altra, non
dimentichiamoci, che il caffè è un prodotto artigianale, degno di
attenzione. Poi si possono acquistare dei buoni caffè anche a un ottimo
rapporto qualità prezzo senza incorrere in robusta o in marchi
industriali che raccontano la presunta qualità del prodotto attraverso
azioni di marketing. Ma chi lo sa cosa c’è veramente dentro quelle
confezioni?
Niente robusta e niente capsule,
dunque. C’è un motivo particolare per cui non volete le capsule?
In molti mi hanno chiesto di produrre capsule, principalmente perché
sono più pratiche, o almeno così si pensa, ma non credo in questo
progetto. E poi, ragionando anche sul piano economico, non convengono.
Ad esempio, il caffè confezionato da noi costa quasi la metà di una
confezione di capsule media. È assurdo che un prodotto industriale
costi più di uno artigianale.
Passando al decaffeinato, lo avete?
Ne abbiamo un solo tipo: decaffeinato con l’acqua, dove i chicchi
vengono immersi in acqua calda per facilitare l'estrazione della
caffeina. In questo caso si utilizza l'acqua tout court, in
sostituzione del diclorometano, solvente chimico spesso usato per la
decaffeinizzazione.
Il processo di estrazione della
caffeina comporta una perdita dell’aroma?
Sì: questo processo allarga i pori del chicco, causando anche la
fuoriuscita di oli e la perdita dell’aroma. Ma durante le prime due
settimane, quando ancora gli aromi sono intensi, un buon decaffeinato
può essere facilmente scambiato per un caffè normale. Durante un corso
per professionisti, ho fatto assaggiare alla prima lezione un caffè
decaffeinato e nessuno lo ha riconosciuto, hanno dato tutti dato per
scontato che fosse un caffè normale. Rimane però il fatto che il
decaffeinato ha una vita aromatica più breve. Per questo, secondo me, è
comunque preferibile bere meno caffè ma normale, piuttosto che molti
decaffeinati al giorno. Come al solito, bisogna premiare la qualità e
non la quantità. Poi il caffè arabica, solo per fare un esempio, non
contiene neanche il 2% di caffeina.
Parlando invece di export. Dove
esportate i vostri prodotti? E da quali paesi selezionate le
piantagioni?
Ho una caffetteria a Manchester, una a Bruxelles e a breve ne aprirò
una anche in Olanda. Sono tutte caffetterie gestite da italiani e
controllate spesso. Voglio vedere personalmente come il mio caffè viene
lavorato e servito. Ci tengo che il mio prodotto venga valorizzato come
merita. Mi è successo un paio di volte di dover interrompere delle
collaborazioni perché ho visto che le materie prime venivano trattate
male. Per quanto riguarda le piantagioni, provengono dal Centro e Sud
America ma anche dall’India, dal Guatemala e dalle Isole Caraibiche.
Ovviamente non può mancare l’Etiopia, patria del caffè.
Come considera il lavoro del caffè
fatto all’estero?
Son in molti a pormi questa domanda. Semplicemente, per me, ognuno ha
le sue tradizioni e tutte vanno rispettate. Per quanto riguarda le
tendenze invece, le mode del momento? Mi siedo e aspetto che passino
mentre sorseggio il mio caffè. Amo l’espresso di qualità, amo la
tradizione. E alcuni principi vanno difesi con la spada e con il cuore.
Tasto dolente: il caffè nel mondo
della ristorazione?
Argomento pessimo. Non ci sono né le attrezzature adatte né
responsabili che si occupino di caffetteria. Il risultato? Il caffè
viene spesso preparato frettolosamente e in maniera approssimativa.
Anche il solo fatto che in unico vassoio vengano portati tanti caffè
implica che questi abbiano temperature differenti. Per il ristoratore
medio il caffè è un male necessario, senza pensare che la scelta di un
prodotto industriale piuttosto che di uno artigianale è una mancanza di
professionalità.
Mi rendo conto che un ristoratore ha dei costi veramente alti da
gestire, molto più elevati di quelli di una torrefazione, ma bisogna
anche capire quali sono i veri valori importanti. Mantenere una linea
professionale o cercare il guadagno?
Michela Becchi -
Gamberorosso.it
Caffè Penazzi | Ferrara | Piazza della Repubblica 27/29 | tel. 0532
248641 | www.caffepenazzi.it/