L' autonomia
scolastica, che ha già 20 anni di vita, deve fare i conti con gli
enti locali e per sventura di tanti anche con le Regioni che vogliono
la gestione del servizio scolastico dopo essersi assicurato quello
dell'istruzione e formazione professionale. Purtroppo un'autonomia che
prescindesse da questo rapporto, diventerebbe la soluzione di un mero
problema di gestione amministrativa di una unità scolastica. Non
avrebbe alcun respiro culturale e politico. E' anche vero, però, che
non è accettabile da molti punti di vista che la
scuola diventi una semplice emanazione degli enti
locali, perchè ai difetti del localismo dell'istituto si
aggiungerebbero quelli nefasti e provati del localismo politico
(lentezza, clientelismo, distorsione delle risorse, invadenza etc).
La formazione e l'istruzione delle nuove generazioni sono la
ragione d'essere del sistema scolastico quale che sia la sua struttura
organizzativa; una ragione che va attentamente ripensata alla luce
dell'autonomia e delle possibili modificazioni costituzionali, perchè
potrebbero svanire le certezze e le garanzie che precedentemente
l'assicuravano. L'istruzione e la formazione delle nuove generazioni
dovrebbero essere considerate un bene di prima e
indiscutibile grandezza, intangibile come l'integrità nazionale.
Devono essere garantite e realizzate nel modo che le rende
accessibili a tutti, di qualità, spendibili, unificanti e senza
negare spazio alle culture locali. Bisognerebbe avere, per
questo scopo, un repertorio definito, qualificato e
imprescindibile di finalità formative e di standard di risultato validi
in ogni angolo della nazione per ogni grado e ordine distruzione.
L'autonomia scolastica con la legge delega n.107/2015è
stata ampiamente rimaneggiata, accentuando i poteri del dirigente
scolastico e straziandone i caratteri che sempre ha avuto di comunità
educativa. Con le nuove disposizioni, seppure ammaccate da qualche
modifica, brillano i poteri di ogni genere assegnati al dirigente, di
volta in volta evocato ora come sindaco dell'istituto, ora come
sceriffo e qualche volta anche come leader educativo, nonostante
siano stati accentuati i tratti amministrativi e gestionali del suo
ruolo. Emerge volutamente la precarizzazione del personale. Si è avuta
una torsione autoritaria dell'autonomia, di cui lo stesso
dirigente potrebbe essere vittima, orchestrata per minacciare
l'indipendenza intellettuale e professionale dei docenti. Dalla scuola
comunità educativa, ancora possibile in regime di autonomia, si è
voluto passare alla scuola dell'intimidazione, del ricatto
e forse del silenzio; dalla scuola dei pari e del dialogo si è passati
alla scuola della lotta di tutti contro tutti, senza alcuna plausibile
logica e motivazione.
Gli studi più seri e documentati sul regime dell'autonomia scolastica,
fin dagli anni '90, hanno concordemente dimostrato come per essere
efficace non debba essere legata all'accrescimento del potere dei
dirigenti scolastici, ma al coinvolgimento e alla
corresponsabilizzazione dei docenti nella elaborazione e nella gestione
del curriculum. L'autonomia dappertutto è stata pensata per dare
diritto di parola, consentire la partecipazione a tutte le scelte; per
valorizzare tutte le professionalità esistenti in ogni singolo
istituto. Questi studi dicono che l'autonomia scolastica funziona
efficacemente e dà buoni frutti solo se c'è cooperazione,
dialogo tra le componenti professionali e se ad esse viene garantita,
come vogliono la ragione e il buon senso, la stabilità. E nella
cooperazione i rapporti si caratterizzano per l'aiuto e il sostegno
reciproco, non per la competitività. Nella scuola dove il dirigente
puo' modificare il piano dell'offerta sindacale, senza tanti ostacoli
seri, sono manomesse le condizioni che ne fanno un'istituzione pubblica
e si rende incerto il significato pubblico che deve avere un curriculum.
Senza un reale potere sul proprio lavoro,senza autonomia
intellettuale non c'è professionalità e senza professionalità dei
docenti non c'è autonomia. La scuola mandata in pensione era la scuola
istituzione, fondata sull'alleanza Stato/insegnanti. Il primo impegnato
a rispettare la libertà di insegnamento, gli altri tenuti alla fedeltà
e al rispetto delle finalità della pubblica istruzione. La
scuola di domani potrà essere uno dei servizi sociali erogati e
in capo alle responsabilità delle regioni, alimentato dal rapporto
dirigente /enti locali, forte spesso della loro comune avversione ai
docenti. Ma amati o no, senza di loro in nessuna parte del mondo si può
fare istruzione e formazione.
Con l'autonomia scolastica è iniziato un processo che ha
portato a sottovalutare tutto quanto sa di formativo, di
culturale, di pedagogico per sopravvalutare tutto quanto è
organizzativo, gestionale, contabile, economico.Ma i cambiamenti a
scuola, quelli veri e duraturi, li fanno la didattica e la pedagogia;
non li fanno l'organizzazione e tanto meno la precarizzazione del
personale.
L'autonomia che serve, non quella rifatta e strafatta, è quella che fa
di ogni singolo istituto un sistema che apprende e che è capace di
integrare le somiglianze e le differenze; inidoneo, quindi, a produrre
scarti ed espulsioni. Capace di mettere in sinergia le competenze
professionali per cambiare modello di pensare e per giungere ad una
visione comune all'interno della scuola. Visione comune, non
uniformità. La scuola apprende quando ogni attore ha lo spazio-potere
per sentirsi responsabile di ogni scelta che viene fatta, a partire da
quelle relative al proprio sapere professionale.
L'aziendalizzazione della scuola è stata la risposta ai problemi emersi
in un ventennio di autonomia; scelta che denota uno scarso amore per la
democrazia e che finisce per confliggere con la democrazia, quella
degli organi collegiali, del collegio dei docenti, e con la centralità
della funzione docente.
Raimondo Giunta