La Commedia è
anzitutto un'opera di grande poesia e di forte impegno esistenziale; e
per questo si pone come invito alla riflessione per l'uomo di tutti i
tempi; si pone come un'opera, che, a noi lettori "extralocali" del
secolo XXI, al nostro mondo globalizzato, alla nostra società
post-moderna, e "fluida", caratterizzata dalla frammentarietà, dalla
precarietà, dal "pensiero debole", disorientata dalla eteronomia dei
riferimenti etici, appiattita tutta sul presente, e non sempre
facilmente pronta a distinguere il bene dal male, la libertà
dall'asservimento occulto ai media, il libero arbitrio dall'anarchia
sterile e distruttiva, il contingente dal necessario, il finito
dall'Infinito; inaridita e schiavizzata dalla civiltà dei consumi, può
fornire ancora risposte valide e seri spunti di riflessione.
Il perché può esserci ancora utile, e interessante, la Commedia, è
presto detto:
Perché l'etica su cui si incardina tanta parte di questo Poema sacro
"al quale il Nostro ha posto mano e cielo e terra, sì che l'ha fatto
per molti anni macro..." (Paradiso, Canto XXV) è quella neotestamentaria,
etica che - fra tutte le altre cose - ci richiama alla responsabilità
personale delle nostre azioni, a resistere alle tentazioni del potere,
a rafforzare la volontà sull'istinto, a condannare ogni forma di
corruzione, di fariseismo; a lottare per il giusto, la rettitudine,
l'ordine e la pace sociale, la giustizia e la verità.
E' un'etica polarizzata, in buona sostanza, intorno al binomio della
vigilanza e della sobrietà, di cui la nostra attuale società ha un
impellente bisogno.
Vigilanza, vigilare, essere vigilanti, nel linguaggio rigoroso dell'
intellettuale cristiano Dante, impegnato in un viaggio di salvezza per
sé e per l'umanità intera, significa stare attenti, non lasciarsi
sopraffare dagli impulsi, dalla emotività del momento, dalla "matta
bestialitate": essere responsabilmente consapevoli sempre degli effetti
di ogni nostro atto; saper discernere, non "seguire l'error dei ciechi
che si fanno duci", sospettare dei cattivi maestri che danno cattivi
esempi; insomma: stare con gli occhi bene aperti per non trovarci
impreparati quando è il momento ( monito evangelico, Marco).
Il suo contrario è negligenza, disattenzione, trascuratezza,
leggerezza, indolenza, ecc. ecc.
Sobrietà, sempre nel linguaggio laico religioso dell'intellettuale
Dante, è da intendere come capacità di controllo, moderazione, serietà,
severità, costumatezza, morigeratezza, continenza, temperanza: senso
della mèsos, dell'essere misurati, che è l'esatto contrario della
"dismisura", sinonimo, in Dante, sempre e comunque, di peccato.
Nuccio Palumbo