Il mito del labirinto
si fonda sull'opposizione dialettica tra ordine e caos. In realtà,
esso, solo in età moderna acquista una categorizzazione psicologica
inquietante. Il labirinto, infatti, come emblema di mistero, è un'idea
che nasce nel secolo XVII, col barocco; appartiene a quest'epoca
storica la fioritura iconografica del labirinto come luogo di
disorientamento e di disordine, espressione della condizione tragica
dell'esistenza umana smarrita di fronte all'inestricabile, e insieme
attratta dalla sfida di venire a capo dell'intrigo,
dell'ingarbugliamento. Nell'immaginario della letteratura del
Novecento, codesta attrazione, mediata anche dalla eredità ottocentesca
del romanzo gotico, e dalle filosofie in vario modo irrazionalistiche,
ha assunto le caratteristiche della ricerca spasmodica delle ragioni
dell'essere; ragioni che sfuggono, irrelate come sono con la
complessità labirintica, nascoste nelle strutture stesse del disordine,
ma alle quali, tuttavia, non possiamo rinunciare, pena un andare
disorientante e disordinato, che sarebbe come un riconoscimento di
sconfitta, un perdersi e uno smarrirsi nel "non senso" angosciante
dell'esistenza.
La sfida al labirinto, sì! Ma vogliamo vincerla. Scrive H.M.
Enzensberger:
"Il labirinto è fatto perché chi vi entra si perda ed erri. Ma il
labirinto costituisce pure una sfida al visitatore perché ne
ricostruisca il piano e ne dissolva il potere. Se egli vi riesce avrà
distrutto il labirinto; non esiste labirinto per chi lo ha
attraversato".
Orbene, è proprio sulla struttura del labirinto con la sua
polidimensionalità, e con sue opposizioni binarie, che si modella la
sfida scrittoria contrastiva della poetica di Italo Calvino. Dalla
complessità del reale lo scrittore non esce sfuggendola, o ignorandola
( cosa che non si può), ma affrontandola e formalizzandola nella
scrittura del romanzo, o meglio, dell'iper-romanzo, che è il luogo, -
come scrive Calvino- (richiamandosi alla lezione della scrittura
gaddiana del "pasticciaccio", e non solo), in cui : "[...] ogni minimo
oggetto è visto come il centro d'una rete di relazioni che lo scrittore
non sa trattenersi dal seguire, moltiplicando i dettagli in modo che le
sue descrizioni e divagazioni diventano infinite. Da qualsiasi punto di
partenza il discorso si allarga a comprendere orizzonti sempre più
vasti, e se potesse continuare a svilupparsi in ogni direzione
arriverebbe ad abbracciare l'intero universo".
E ancora : " [...] la grande sfida per la letteratura è il sapere tessere
insieme i diversi saperi e i diversi codici in una visione plurima,
sfaccettata del mondo". A differenza della letteratura medievale che
tendeva a opere ordinate, prodotte da un pensiero sistematico e
unitario ( si pensi alla Divina Commedia), " i libri moderni che più
amiamo nascono dal confluire e scontrarsi d'una molteplicità di metodi
interpretativi, modi di pensare, stili di espressione. Anche se il
disegno generale è stato minuziosamente progettato, ciò che conta non è
il suo chiudersi in una figura armoniosa, ma è la forza centrifuga che
da esso si sprigiona, la pluralità dei linguaggi come garanzia d'una
verità non parziale". (Calvino)
Sulla scorta di queste affermazioni s'intuisce come Calvino non ami
tutta quella letteratura che tende a narcotizzare, per così dire, la
totalità esistenziale dell'io per annegarla nell'indifferenziato magma
dell'oggettività, abolendo il punto di vista coscienziale, la
dialettica tra soggetto e oggetto. Non l'ama, codesta letteratura,
perché essa sì, sarebbe una caotica, disordinata e disorientante
elencazione di oggetti giustapposti (si pensi alla tipologia di
labirinto che trionfa nella linea di Robbe-Grillet), incapace di
qualsiasi atto liberatorio; una scrittura bloccata nelle spire della
sua mimesi del reale, impotente ad offrire la chiave per uscire dal
labirinto e dominarlo.
La scrittura a struttura labirintica, propostaci da Italo Calvino,
soprattutto in alcuni dei suoi romanzi e racconti più significativi,
procede come una lunga catena, come un puzzle infinito, che si snoda e
si costruisce continuamente con una libertà e una ricchezza inventiva
inesauribili. Un labirinto che non esiste più per chi ha il coraggio e
la forza, l'intelligenza e la curiosità di attraversarlo, e di sapere
riportare ad " un livello di vitalità positiva il caos labirintico che,
scisso dal suo logos, non sarebbe se non inutile groviglio"( Monica
Filograno).
Nuccio Palumbo
Fonte bibliografica:
Monica Filograno: I.Calvino e i percorsi labirintici ( sta in La
scrittura, rivista letteraria trimestrale, anno 1,n.21996. Stango
editore.
Lezioni americane. Sei proposte per il prossimo millennio, Milano,
Garzanti, 1988.
(Le lezioni furono concepite da Italo Calvino nel 1985 per un ciclo di
sei conferenze all'Università di Harvard, Cambridge, nel Massachusetts.
La morte lo colse mentre vi stava
lavorando)