Hegel e la rivalutazione moderna del lavoro: il lavoro come ‘formazione’, ‘liberazione’, ‘umanizzazione’
di Piergiorgio Sensi*
Arbeit macht frei («Il lavoro rende liberi»)
Il motto posto dai nazisti all’ingresso di Auschwitz suona tragico e sarcastico, ma compendia la moderna rivalutazione del lavoro manuale, in particolare quella operata da Hegel, che rovescia una plurisecolare svalutazione. I termini che sia le lingue classiche (greco, latino) sia le lingue moderne (come il francese o lo spagnolo) usano per indicare il lavoro (rispettivamente pónos, labor, travail e trabajo) enfatizzano la dimensione di pena, sofferenza imposta, peso, fatica, che comporta la necessità di strappare alla natura i mezzi per il sostentamento, a causa della struttura ontologicamente finita e mancante dell’uomo, quasi echeggiando la maledizione divina di cui in Genesi (3, 17-19). Libertà, liberalità, gentilezza venivano viste dal pensiero classico come connesse all’affrancamento dalla fatica del lavoro manuale, che andava appaltata agli schiavi, ai servi, come ancora ribadisce Aristotele.
Se la prima riflessione moderna comincia a rivalutare la prassi (esaltando lo homo faber fortunae suae), esita di fronte al lavoro manuale (Moro o Campanella vogliono che tutti lavorino per distribuire equamente quella che potremmo definire ‘sofferenza socialmente necessaria’). Solo con ‘l’etica protestante’ e ‘lo spirito del capitalismo’ si avvia la piena rivalutazione del lavoro e della sua organizzazione sociale, in particolare con la filosofia scozzese del Settecento (da cui prende le mosse la riflessione sull’economia politica di A. Smith, snodo decisivo sia per Hegel che per Marx); ma è Hegel il primo a considerarlo ‘momento’ essenziale di quel processo che porta alla costituzione di un mondo ‘per l’uomo’ e alla piena coscienza di sé.
Desiderio, appagamento e costituzione dell’autocoscienza: il lavoro nella Fenomenologia dello Spirito
Secondo Hegel, lo stesso processo di costituzione dello Spirito come Totalità è lavoro: ‘lo Spirito non esiste mai e in nessun luogo se non dopo il compimento del suo lavoro’. Lo Spirito non va inteso ‘solo come sostanza’, ‘ma anche come soggetto’, e il soggetto non è da pensare come dato, ma come attivo realizzatore di quel processo in cui perviene alla piena consapevolezza di sé mediante l’assimilazione di ciò che si presenta come altro e contrapposto (Ob-iectum, Gegen-stand). Lo Spirito prende progressivamente, dialetticamente, coscienza di sé nella coscienza dell’uomo, e questi lo fa nella prassi di trasformazione dell’altro da sé, della natura: prassi da intendersi sia come autoproduzione del soggetto stesso (nel senso classico) sia come produzione di cose (nel senso della poiesis).
Il ruolo del lavoro è essenziale nel momento sorgivo dell’affermarsi dell’autocoscienza come autonoma e signora (Hegel ne tratta all’interno della celeberrima figura ‘signoria-servitù’).
Dopo aver riconosciuto l’identità di struttura dialettica tra il proprio movimento e quello del vivente (vivere è assimilare l’altro da sé), l’autocoscienza finita (il soggetto singolo), nel primo momento del suo porsi, si presenta come Begierde, appetito (De Negri) o desiderio (Cicero); questo desiderare, inizialmente rivolto a oggetti naturali per ‘mantenersi in essere’ (conatus sese conservandi), è un appetire (nel senso hobbesiano), ma è un appetire ‘cosciente di sé’ (nel senso del conatus spinoziano), e cioè un tendere verso la totalità e il superamento-inglobamento dell’alterità, inappagabile dal singolo oggetto verso cui in apparenza si indirizza.
L’appagamento nella consumazione, nella sua immediatezza, si rivela insufficiente alla soggettivazione dell’oggetto (che viene semplicemente tolto) e all’umanizzazione della natura, in quanto: a) la semplice distruzione di un particolare oggetto non ne consente la trasvalutazione; non conosce pertanto sviluppo né storia; b) non soddisfa la tensione all’intero. Mediante il lavoro l’agire e la coscienza dell’uomo si indirizzano oltre il particolare e umanizzano la natura: l’uomo diventa uomo solo in quanto rompe con l’immediatezza naturale.
La lotta per il riconoscimento
Ma ciò ancora non basta: l’autocoscienza ha bisogno di essere riconosciuta come signora del processo di assimilazione, e ciò da parte di altri soggetti. Di qui lo scontro mortale con l’altra autocoscienza finita; mortale perché la signoria consiste nel ridurre ogni altra coscienza al rango di oggetto, nel negarla (necarla) come soggetto. Chi ha paura della morte, chi teme di perdere anche la nuda vita naturale, si sottomette (si fa servo) e così rinuncia al godimento (l’appagamento è del signore); ma, costretto a lavorare, cioè a continuare a dare forma all’immediata naturalità degli oggetti, trasformandoli in oggetti per l’uomo, senza poterli consumare immediatamente (il prodotto è per il signore), riprende coscienza di sé e del proprio ‘potere sugli oggetti’. Il lavoro è ‘desiderio tenuto a freno… è un dileguare trattenuto; ovvero il lavoro forma. Il rapporto negativo verso l’oggetto diventa forma dell’oggetto stesso, diventa qualcosa che permane, ‘formazione permanente’ della natura, ossia ‘cultura’ (Bildung). Il lavoro converte la paura della morte in ‘universale formare e coltivare’ e produce civiltà; perciò libera.
Centrale è il ruolo dello strumento: con esso, l’uomo articola l’unitàfra sé e il mondo; lo strumento incorpora razionalità e cultura; e marca la distinzione tra l’uomo e l’animale. La ‘razionalità dello strumento’, che ‘sta sotto la signoria del concetto’, da un lato va oltre la contingenza degli scopi immediati (produrre strumenti non è produrre oggetti di immediato consumo), dall’altro permette la costituzione della comunità, in quanto impone la divisione del lavoro. Ma su ciò Hegel è più esplicito nella Filosofia del diritto.
La dimensione sociale del lavoro nei Lineamenti di filosofia del diritto
‘La civiltà è la liberazione e il lavoro della liberazione superiore’ (§187). Nei §§ 190-200, esplicitamente dedicati al tema, Hegel evidenzia come l’appagamento dei bisogni e l’umanizzazione della natura operati dal lavoro permettano una vera ‘costruzione sociale’.
L’uomo manifesta la propria universalità nella ‘moltiplicazione dei bisogni e degli strumenti’ (§190) e nella scomposizione degli stessi. Moltiplicati e scomposti, i bisogni cessano di essere mero fatto naturale e possono essere concretamente soddisfatti soltanto in quanto divengono ‘sociali’, ‘culturali’ (§192), socialmente riconosciuti e perseguiti: l’uomo esce definitivamente dall’immediatezza naturale e si avvia alla piena spiritualizzazione. Sempre più legato allo strumento, il lavoro stesso è anch’esso culturalmente strutturato e strutturante, dunque ‘formazione’: l’uomo si appaga sempre più mediante prodotti (lavorati). Il lavoro produce così cultura (Bildung), sia teorica che pratica, formazione, educazione, universalizzazione delle attitudini (e dei gusti). L’incivilimento (contra Rousseau, §195) non è decadenza, bensì liberazione e umanizzazione. La moltiplicazione e la culturalizzazione dei bisogni implicano necessariamente la divisione del lavoro (§198), da cui derivano sia l’aumento della produzione sia l’articolazione sociale in ceti e classi. La divisione del lavoro semplifica il lavoro del singolo e lo meccanizza (con tutti i rischi di sussunzione dell’uomo alla macchina denunciati in seguito da Marx e dai francofortesi), ma evidenzia anche la strutturale interdipendenza tra gli uomini, proprio per l’appagamento dei bisogni individuali, in quanto consente all’egoismo soggettivo (il conatus nella sua forma immediata) di trasformarsi in ‘contributo per l’appagamento dei bisogni di tutti gli altri’; ‘guadagnando, producendo e godendo per sé, proprio per questo ciascuno guadagna e produce per il godimento degli altri’ (§199). La civilizzazione accresce sì la disuguaglianza naturale, ma volervi rimediare con l’imposizione di un’astratta uguaglianza (§200) ‘è tipico dell’intelletto vuoto’ e perciò errato. La composizione delle differenze e delle disuguaglianze individuali verrà ricomposta grazie alla tendenza all’universalizzazione propria dello Spirito, che supera la propria limitatezza trascendendosi concretamente in universali via via più ampi: famiglia, ceti sociali, Stato… sapere assoluto; ciò fa sì che la ‘razionalità immanente nel sistema dei bisogni umani… [riesca] ad articolare questo sistema in un ‘Tutto organico di differenze’.
*Insegna Filosofia e storia presso il Liceo Classico 'Mariotti' di Perugia. Ha pubblicato saggi sulla filosofia del Novecento e sulla didattica della filosofia, e curato una traduzione dell’Etica di Spinoza (Armando, 2008).