Il concetto di lavoro in Marx
di Augusto Illuminati*
Se Hegel aveva assegnato al lavoro un ruolo centrale nel processo di riconoscimento, Karl Marx ne fa insieme un canone antropologico (l’essere dell’uomo è determinato dalla maniera in cui egli si procura i mezzi di sostentamento) e un criterio per definire l’organizzazione sociale (modi di produzione) e il conflitto di classe come motore della storia. La tradizione marxista si è però divisa sull’interpretazione dei modi di produzione e della loro successione e sulla prospettiva se il comunismo sia emancipazione del o dal lavoro.
Marx, Hegel, Feuerbach
"Si possono distinguere gli uomini dagli animali per la coscienza, per la religione, per tutto quello che si vuole; ma essi cominciarono a distinguersi dagli animali allorché cominciarono a produrre i loro mezzi di sussistenza... Producendo questi gli uomini producono indirettamente la loro stessa vita materiale" (Ideologia tedesca, del 1845). L’uomo crea dunque la propria seconda natura attraverso il lavoro, cioè un rapporto attivo con la natura. La sua essenza non risiede nell’interiorità o nella coscienza, ma nell’esteriorità di lavoro e produzione come mediazione con la natura e costruzione di società. Il materialismo storico supera il progresso allegorico dell’Uomo nello Spirito oggettivo hegeliano e nella critica feuerbachiana dell’ideologia e della religione. Nel lavoro si realizza o la libertà dell’Uomo (dell’essenza umana di genere) o la sua alienazione sociale e politica.
La lotta delle classi
Ben presto Marx si volge però a considerare gli uomini, non l’Uomo, e constata che essi si differenziano in classi, secondo il loro rapporto con i mezzi di produzione che fanno da tramite fra lavoro e natura. Lo schiavismo antico, la servitù della gleba medievale e il moderno sistema di fabbrica fondato sul lavoro formalmente libero (contrattuale) e sull’opposizione di capitalisti e operai definiscono i grandi stadi dell’evoluzione storica, segnati da una profonda conflittualità. Il proletariato, l’ultima classe che non ha da perdere che le proprie catene, è – nel Manifesto dei comunisti del 1847 – il grande antagonista finale della borghesia, che pure aveva rivoluzionato da cima a fondo società, cultura ed economia. L’emancipazione del lavoro sfruttato e l’abolizione della proprietà privata dei mezzi di produzione sono la condizione per una democrazia reale, di cui le rivoluzioni del 1848 sono il preannuncio.
Lavoro e forza-lavoro
Nelle conferenze del 1847 all'Associazione degli operai tedeschi di Bruxelles, pubblicate in seguito con il titolo Lavoro salariato e capitale, Marx definisce il salario come prezzo di un determinato tempo o di una determinata prestazione di lavoro, una merce dunque come le altre, che si scambia con il denaro del capitalista, necessario per sopravvivere, una 'merce speciale, che è contenuta soltanto nella carne e nel sangue dell’uomo'. Ogni operaio è libero di venderla a questo o quello (a differenza dello schiavo o del servo della gleba), ma non è libero di non venderla 'all’intera classe dei compratori, cioè la classe dei capitalisti, se non vuole rinunciare alla propria esistenza'. Il prezzo del lavoro equivale al prezzo dei mezzi di sostentamento, tutto quanto produce oltre questo prezzo (oltre il salario) diventa profitto capitalizzabile, che accresce il potere del capitale.
In Salario, prezzo, profitto del 1865 e nelle varie stesure del Capitale Marx perviene a una definizione più rigorosa, distinguendo forza-lavoro o capacità di lavoro ("l'insieme delle attitudini fisiche e intellettuali che esistono nella corporeità, ossia nella personalità vivente d'un uomo, e che egli mette in movimento ogni volta che produce valori d'uso di qualsiasi genere") e lavoro erogato, come processo di ricambio organico con la natura nelle varie forme storiche (manifattura, grande fabbrica ecc.). Tale distinzione prevede la separazione iniziale e sempre rinnovata (accumulazione originaria) fra lavoratore e mezzi di produzione, cioè il 'libero' rapporto salariale. Il salario è il prezzo della riproduzione della forza-lavoro. Questa è la differenza radicale con l’economia politica classica.
Liberazione del/dal lavoro
Il lavoro salariato è concepito in Marx come l’ultima e più produttiva forma di organizzazione del lavoro, al di là della quale si prospetta il libero sviluppo delle forze produttive umane e il comunismo, in cui cessa ogni sfruttamento dell’uomo sull’uomo, il lavoro diventa libera attività e scompaiono anche le strutture di dominio esterno dello Stato. Tuttavia nella tradizione marxista si sono scontrate tendenze all’esaltazione del lavoro come creatore di civiltà, una volta eliminate le forme di appropriazione privata (il socialismo di Stato lassalliano, contro cui Marx polemizza nella Critica al Programma di Gotha, 1875), critiche radicali alla centralità del lavoro nella vita umana associata (cominciando dal Diritto all’ozio del genero di Marx, Paul Lafargue), diverse valutazioni sulla natura del lavoro produttivo ecc. Secondo l’indirizzo operaista, il maggior contributo italiano contemporaneo al marxismo, già nei Grundrisse Marx aveva ipotizzato il superamento del capitalismo e del lavoro salariato attraverso lo sviluppo del ruolo del sapere e della scienza (il general intellect), ancora identificato con il sistema della macchine semi-automatizzate, oggi riferibile principalmente alla cooperazione intellettuale e linguistica del lavoro vivo. Si rifiutavano sia l’esperienza del socialismo 'reale' sia la variante riformista socialdemocratica di una società dei produttori, delineando – contro il neoliberismo che vuole precarizzare integralmente il lavoro e in una prospettiva postsocialista – un piano di liberazione dal lavoro salariato, che emancipi l’individuo socializzato dal parassitismo del capitale e dalle logiche produttivistiche. La forza-lavoro è pura potenza di produrre, cioè oggi essenzialmente di comunicare in termini scientifici e relazionali. Lavoro e vita si intrecciano nella società postfordista in modo inestricabile e questo è il nuovo terreno sia dello sfruttamento che della lotta di liberazione.
*Docente ordinario di Storia della filosofia presso l’Università di Urbino, è autore di testi su Rousseau, Marx e Spinoza.