Ernesto Assante, Gino Castaldo
Il tempo di Woodstock
Laterza, 2009, 182 pp., euro 15
40 anni da Woodstock, 40 anni dal rivoluzionario raduno che segnò una generazione, ne influenzò molte altre e cristallizzò nella memoria collettiva le icone di alcune band e di certi musicisti entrati di diritto nella storia della musica e della cultura pop.
Ernesto Assante e Gino Castaldo hanno colto la ricorrenza di questo anniversario per ripercorrere tanto un momento storico quanto il variegato universo simbolico che venne formandosi, prima e dopo la sua celebrazione, intorno ad esso.
Woodstock infatti non si manifestò semplicemente in quei fatidici tre giorni di agosto del 1969, dal 15 al 17, ma fu il prodotto di quello che gli autori definiscono “un grande laboratorio, o meglio le prove generali per un mondo libero”.
Fu infatti dalla baia di San Francisco che si liberò il vento del cambiamento, una ‘nuova ondata’ che ebbe come fulcro il variopinto quartiere collinare di Haight-Ashbury.
Musica, droghe, nuove filosofie, pacifismo guidarono “un’esplosione di vitalità e creatività liberata senza precedenti”.
Era l’America degli hippy, di guru come il poeta Allen Ginsberg e di Timothy Leary il quale teorizzava l’imminente approssimarsi di un mondo ‘davvero nuovo’.
Alimentatisi a questa ‘fonte meravigliosa’, gruppi come i Grateful Dead, i Charlatans, i Jefferson Airplane e i Mamas and Papas non facevano altro che rendere la loro musica un ulteriore e ancor più immediato veicolo di questa rivoluzione culturale in atto.
Nell’aria si avvertivano le ‘buone vibrazioni’, le good vibrations di Brian Wilson, dei suoi Beach Boys e di una generazione che non voleva il potere in quanto tale ma si auspicava di poter trovare delle ‘zone libere’ della società in cui praticare la ‘propria rivoluzione’.
Il motel del giovane Elliot Tiber e la proprietà dell’allevatore Max Yasgur riuscirono a fornire per pochi giorni un luogo fisico e allo stesso tempo simbolico per mettere in scena le aspettative di migliaia di giovani.
È proprio la cronaca di quei tre giorni di ‘pace, amore e musica’ che costituiscono il fulcro del racconto dei due autori, i quali si sono esaltati nel rievocare un momentum che da musicale diventò immediatamente il romanzo di formazione della cultura giovanile dell’epoca.
Un romanzo che ha come protagonisti milioni di giovani ma anche Joe Cocker, Pete Townshend, Janis Joplin, Robbie Robertson, Neil Young, Santana e quel ragazzo di Seattle che aveva il vizio di dare fuoco alle sue chitarre: Jimi Hendrix.
Un romanzo che si conclude con la vittoria dei suoi protagonisti musicali e delle loro performance, come l’immortale With a little help from my friends stravolta dal furore disperato e lisergico al tempo stesso di Cocker.
Un racconto avvincente che vede invece un’intera generazione doversi piegare al peso che l’evento stesso avrebbe assunto, trasformando i propri idoli da ‘fratelli’ a ‘divi rock’ e inducendo la piena mutazione della musica in ‘merce’.
Una parabola storica in cui il potere di fuoco della guerra del Vietnam avrebbe continuato a mietere vittime anche tra di loro e vicino a loro.
Il tempo di Woodstock è pertanto la cronaca minuta e appassionata di una rivoluzione mancata ma indimenticabile, ancora viva e pulsante nelle memorie e nelle orecchie dei partecipanti del raduno e soprattutto di coloro che sono stati raggiunti a ‘ondate’ nel corso degli anni dal grido liberatorio di una generazione mai così viva.
Francesco Zippel