Friedrich Nietzsche è l’autore che più di ogni altro identifica il tema della crisi della modernità. Pensatore ‘inattuale’, il filosofo di Röcken nei suoi Frammenti postumi dichiara:”Ciò che io racconto è la storia dei prossimi due secoli” e questa storia è quella che si inscrive nell’orizzonte del nichilismo. Il termine in Nietzsche è ambivalente: rappresenta l’annientamento della vitalità dell’esistenza causato da secoli di pensiero metafisico, ma anche il disvelamento di questa illusione mistificante e l’avvio di una presa di coscienza che potrà condurre l’uomo a rigenerare la propria perduta integrità esistenziale.
Il nichilismo, concetto controverso
Sulla paternità del termine 'nichilismo' si sono sviluppate più scuole di pensiero. Qualcuno rintraccia perfino in Sant’Agostino la presenza di un concetto simile, ma in epoche più recenti la questione è se lo si debba attribuire a Jacobi in rapporto al pensiero critico di Kant, a Kierkegaard rispetto all’appiattimento dell’esistenza umana in epoca borghese oppure allo scrittore russo Turgenev che lo usa nel suo romanzo Padri e figli (1862), presentando la centrale figura di Bazarov, giovane materialista, antitradizionalista il quale si autodefinisce, appunto, 'nichilista'. Proprio nell’ambito russo il termine divenne di uso comune per definire una generazione di intellettuali contestatori e ribelli nei confronti dei valori tradizionali e dell’autorità: lo Stavrogin de I Demoni (1871) di Dostoevskij ne rappresenta il ritratto letterario più famoso. Nietzsche probabilmente pensò proprio ai nichilisti russi rovesciando tuttavia completamente il significato dell’espressione.
Gott ist Tot!
In Turgenev e Dostoevskij, infatti, traspare la condanna dell’approccio esistenziale, filosofico e politico di questi giovani materialisti negatori della tradizione - benché Dostoevskij fosse stato inizialmente sedotto da tali posizioni. Nietzsche, invece, ritiene che i veri nichilisti siano proprio i fautori e i difensori di una visione tradizionale, metafisica e religiosa dell’esistenza. Essi, infatti, si rendono responsabili di una situazione insopportabilmente schizofrenica: la difesa dei principi tradizionali del passato è per loro una pura dichiarazione esteriore di appartenenza, che entra in palese contraddizione con la totale immedesimazione nei valori davvero professati nei fatti del presente, vale a dire i principi 'filistei' - altro termine spesso ricorrente in Nietzsche - del mercato, dell’affermazione sociale, del benessere economico. Sono soprattutto costoro i responsabili del grande delitto che viene annunciato dal 'folle uomo' nell’aforisma 125 de La Gaia Scienza (1882): Gott ist Tot! "Anche gli dei si decompongono! Dio è morto! Dio resta morto! E noi lo abbiamo ucciso!".
L’annuncio è devastante e liberatorio al tempo stesso: rappresenta la presa di coscienza dell’esaurimento della portata storica di una sovrastruttura metafisica che ha influenzato la civiltà occidentale da Platone in avanti e il punto di partenza per un processo di liberazione delle potenzialità dell’uomo che, una volta resosi conto del deserto nel quale si trova (la figura del Cammello nel passo delle Tre metamorfosi in Così parlò Zarathustra, 1885) potrà spezzare le catene che lo legano a esangui tradizioni (il Leone) per costruire da sé il proprio orizzonte, riappropriandosi della propria originaria attività creativa (il Fanciullo, rappresentazione conclusiva dell’Übermensch, del Superuomo). Il deserto è il prodotto dell’attività annientante della metafisica, che ha gradualmente vampirizzato l’esistenza umana privandola della gioiosa vitalità dionisiaca – di cui Nietzsche parla ne La nascita della tragedia (1872) – per trasferire il senso dell’esistenza al di fuori di questa terra, in un mondo di ragione e di negazione degli istinti, nel 'mondo vero' che si è ormai trasformato in favola. Nietzsche ci indica anche il colpevole dell’inizio di questa 'decadenza' (altro termine spesso sinonimo di nichilismo): è Socrate, che ha obbligato col suo giudizio critico Euripide a soffocare l’elemento dionisiaco – la caotica sfera delle passioni, degli istinti, del corporeo – a favore del trionfo della sola rappresentazione apollinea dell’esistenza, costituita da necessità di senso e forme razionali. Nella cultura tragica convivevano dionisiaco e apollineo, in quella originata da Socrate, teorizzata da Platone e riadattata in seguito dal cristianesimo, il dionisiaco è stato rimosso come demoniaco e malvagio.
La risposta nietzscheana alla desertificazione dell’esistenza
L’uomo ha così perso la sua integrità, è diventato un essere dimezzato e la grande illusione in cambio della quale ha accettato la perdita – il Senso del Mondo, Dio – ora, nella ricostruzione di Nietzsche, non ispira più l'edificazione di cattedrali e i poemi di Dante, ma una quieta rinuncia e una serie di stanchi riti e il naufragio dell’esistenza umana nella dimensione della banalità. Contro tale nulla, emerge il nichilismo nietzscheano di segno positivo, che si propone di oltrepassare se stesso e procedere, negando la negazione, verso l’affermazione. Solo l’uomo che saprà accettare la sua finitezza senza più opporre a essa idoli, feticci, surrogati di un’illusione rivelatasi pura menzogna e saprà accettare la vita col suo carico di sofferenza e a essa ‘dire di sì’ potrà essere capace di quella ‘fedeltà alla terra’ che è la caratteristica fondamentale del nuovo soggetto, il Superuomo.
Ma perché ciò possa accadere, occorrerà che ciascuno sappia assumere la responsabilità della propria scelta, senza più accampare gli alibi metafisici o ideologici. È ciò che Nietzsche definisce la 'volontà di potenza', non da intendere, come farà il nazismo snaturando il suo pensiero, come volontà di dominio, ma, riprendendo la potenza aristotelica, come la volontà di assecondare il processo dell’assunzione di forma. Il sottotitolo di Ecce homo (1888) era, infatti, 'come si diventa ciò che si è'.
Per un percorso interdisciplinare
L’inquadramento del termine nichilismo consente di delineare un ampio panorama interdisciplinare, soprattutto se lo si relaziona al delicato passaggio tra il XIX e il XX secolo, caratterizzato da una generale percezione nelle arti e nelle scienze della presenza di una crisi dei tradizionali valori e paradigmi di riferimento. Di qui il tentativo di rifondare il discorso della cultura del ‘900 su un diverso piano, più consapevole della fallacia e della provvisorietà del vivere e del sapere. A questa presa di coscienza della fragilità dei fondamenti metafisici , da un lato, si contrapporranno posizioni catalogabili come conservatrici o tradizionaliste, contrassegnate dalla negazione della crisi, dall’altro, si inseriranno nuovi modelli assoluti che sul piano ideologico-politico tenderanno a sostituire col Dio-in-terra dello Stato totalitario il vuoto lasciato dal tramonto o indebolimento di quelli religiosi. L’analisi delle interpretazioni novecentesche (Löwith, Heidegger, Sartre, Arendt) potrà rappresentare la conclusione sul piano filosofico di tale percorso.
*Insegna Filosofia e storia presso il Liceo scientifico 'A. Roiti' di Ferrara. Ha curato con P. Salandini l'opera di storia della filosofia Filosofie nel Tempo, diretta da Giorgio Penzo, 4 voll., Roma, SpazioTre, 2000-2006.