Come scrive Talcott Parsons in Sociological theory in a
modern society, il solo mezzo di cui
dispone la scuola per l’integrazione sociale è il modello
dell’insegnante attraverso il quale si induce ad agire per gli
interessi comuni e reciproci della comunità sociale. Un docente
che non vede, o fa finta di non vedere un fatto così grave consumato in
sua presenza ( e perlomeno è questa la versione dei fatti fornita
dalla stampa ma da appurare del tutto in sede processuale) è una
negazione dell’esistenza dell’altro, di se stesso e della relazione che
dovrebbe incarnare.
Tecla Squillaci
Ho lasciato trascorrere qualche giorno dalla notizia di quanto accaduto
nella scuola di Salò prima d’intervenire, per lasciare che lo stupore
sedimentasse un po’. A volte, è necessario prendere le giuste distanze
che solo il tempo può darci prima di considerare i fatti nella loro
giusta dimensione.
Questa vicenda eclatante, che ha dell’incredibile , esiziale certamente
per il mondo della scuola, ci spinge a riflettere su quel delicato
rapporto che spesso anche gli stessi docenti danno per scontato che è
la relazione educativa.
In ogni relazione educativa si instaura un necessario transfert
alunno-insegnante. Dico necessario, perché, almeno per chi ha una certa
dimestichezza con la psicoanalisi, sa che il transfert è il punto
cruciale attraverso cui uno dei due soggetti, in questo caso l’alunno,
trasferisce tutta la propria carica emotiva ed anche i conflitti
irrisolti sulla figura dell’insegnante come figura di riferimento, per
prenderne consapevolezza, rielaborarli e superarli.
Non è soltanto una identificazione con il modello rappresentato
dall’adulto ma una strategia, un meccanismo proprio della psiche umana
,inconscio, per cui si creano i presupposti della crescita e lo
scioglimento dei blocchi emotivi ( come avviene del resto nel transfert
classico tra paziente e terapeuta).
Nella fase della pre adolescenza avviene una crisi, un’impasse,
chiamata dagli psicologi col termine tecnico di breakdown dell’età
evolutiva. Una fase in cui riemergono tutti i conflitti latenti, in cui
devono avvenire, fondamentali per la strutturazione della personalità,
il superamento del complesso edipico e l’intera rielaborazione del
proprio status, della funzione normativa del Super Ego e del suo
adattamento con la realtà sia per mezzo dell’integrazione che per mezzo
della sublimazione positiva degli impulsi.
Riemerge anche l’angoscia; la paura dell’annientamento post simbiotico
( che segue la fase simbiotica nella psicologia dell’età evolutiva),
come ben si evince dagli studi di Anna Freud e di Melanie Klein.
Angoscia che se non trova la giusta canalizzazione nel transfert
educativo con l’adulto può sfociare in episodi di aggressività o di
autolesionismo ( vedi anoressia).
Nel momento in cui l’oggetto di tale transfert, per diversi motivi , si
sottrae inconsapevolmente al proprio ruolo di modello educativo, ne
viene meno per stabilità, coerenza, coesione del comportamento e della
parola, il messaggio subliminare che viene dato all’alunno è questo:
non sono in grado di offrirti il modello di adulto che tu cerchi.
Bisogna stare attenti ai messaggi subliminari che si lanciano ai
ragazzi. E non solo a quello che viene detto. E questo equivale ad
un’attenzione negata per l’alunno.
Inutile ribadire che tutto questo avviene a livello incoscio, a livello
dell’ Es e non dell’ Ego. Durante il breakdown dell’età evolutiva gli
adolescenti cercano un modello di stabilità, punti di riferimento
puntuali e coerenti.
Come scrive Talcott Parsons in Sociological theory in a modern society,
il solo mezzo di cui dispone la scuola per l’integrazione sociale è il
modello dell’insegnante attraverso il quale si induce ad agire per gli
interessi comuni e reciproci della comunità sociale.
Un docente che non vede, o fa finta di non vedere un fatto così grave
consumato in sua presenza ( e perlomeno è questa la versione dei
fatti fornita dalla stampa ma da appurare del tutto in sede
processuale) è una negazione dell’esistenza dell’altro, di se stesso e
della relazione che dovrebbe incarnare.
Al di là di queste considerazioni, in quello che è successo esiste una
complementarietà di colpe.
La colpa dei ragazzi che a quell’età, 14-15 anni, viene loro
riconosciuta una certa capacità d’intendere e di volere, la colpa del
docente che non vede o fa finta di non vedere, la culpa in educando dei
genitori ( come più volte sancito da costante giurisprudenza in diverse
sentenze di cassazione) e un’altra colpa, non attribuibile
giuridicamente ma non meno grave delle altre: la colpa sociale.
Su quest’ultima non farò alcuna analisi ma mi limito a riportare un
brano tratto da un famoso romanzo di Thomas Mann, La montagna
incantata, affinchè ognuno leggendolo ne tragga le proprie personali
conclusioni. La necessaria premessa riguardo il brano è che vede
protagonisti due giovani: uno, italiano, Settembrini, e l’altro un
giovane ingegnere tedesco di nome Castorp. Quest’ultimo ama la cultura
e l’eloquenza italiane ma considera disdicevole l’estrema
importanza data dagli italiani alla ricchezza come unico metro di
valutazione di una persona. La prevalenza dell’homo oeconomicus
sull’homo humanus. Ed ecco cosa risponde in tal senso Settembrini: “…
io sono d’opinione che a lei, come homo humanus, non piacerebbe
stare troppo dalle nostre parti. Anche a me che ci sono di casa quel
modo di valutare le persone sembra a volte una cosa ripugnante… da noi
nessuno frequenterebbe la casa di chi non facesse servire a tavola i
vini più costosi… vede, bisogna avere una pelle abbastanza dura per
vivere ogni giorno con la gente che vive laggiù, in Italia, per poter
rimanere insensibili a domande come questa: quanto guadagna
costui? E sopportare il viso che fanno ponendola…” ( Der
Zauberberg – T. Mann- romanzo scritto nel 1924 ma, come i veri grandi
romanzi, sempre attuale).
Tecla Squillaci
stairwayto_heaven@libero.it