Non esistono
fatti ma solo interpretazioni, così scriveva F. Nietzsche nel secolo
dei grandi filosofi, l’Ottocento,fra i quali fu sicuramente tra i più
grandi ed anche, purtroppo, fra i più bistrattati ed incompresi.
Appunto, la giustizia è un’interpretazione dei fatti, la legalità il
complesso di norme e di divieti che da essa ne deriva.
I più, scandalizzati, grideranno: “ cosa? Cosa? La somma giustizia
ridotta ad appendice dell’umana visione del mondo? “ Calma, a meno che
non s’intenda ancora l’uomo come il frutto atipico di quel progenitore
chiamato australopiteco, la società, il mondo è ciò che esso si è
costruito attorno a sé; ogni uomo può essere tutto o può scegliere di
essere il nulla più infimo che sia apparso sulla Terra. Questo è il libero arbitrio. Nessuna
cosa gli è estranea: nemmeno la stessa sua natura gli dovrebbe essere
estranea, il mondo e l’uomo, uniti come il viaggio ed il viaggiatore,
la pietra e l’architrave.
Anche quando i giusnaturalisti storici si appellavano all’esistenza di
un principio naturale della giustizia, del diritto, tale principio non
poteva essere considerato estraneo, avulso dalla natura umana, dalla
sua interpretazione, dalla sua visione del mondo.Senza di essa ,
infatti, senza la conoscenza del mondo,come i fatti potrebbero essere
presi in considerazione?
In buona sostanza, non si può vivere senza il senso della giustizia che
scaturisce sempre in modo naturale da ogni uomo che entri in contatto
con il mondo, con gli altri, ma si farebbe, se si potesse, a meno
di vivere con quel sistema di leggi, pesante fardello, male
necessario, che abbiamo in ogni società.
Sentiamo un vivo senso di malinconia e persino di pena ogniqualvolta
vediamo le foto di scolaresche intere che a testimonianza di aver
seguito il solito, ennesimo. “progetto sulla legalità” vengono ripresi
magari accanto a tanti uomini in uniforme a testimonianza , forse, di
questo magnifico sposalizio tra i giovani e la legalità rappresentata
dalle varie forze dell’ordine. Proviamo pena perché ci chiediamo: fino
a che punto si è fatto comprendere a quei ragazzi che la
vera legalità non è il mero adeguamento ad un ordine costituito che
spesso viene introiettato come garanzia di sicurezza, si, ma che rimane
estraneo al punto più intimo di ogni uomo da cui nasce la propria
visione del mondo, l’interpretazione, appunto.
Si, perché il senso della giustizia, come il senso del bello, come il
senso superiore della libertà, nasce sempre e solo dal’individuo; non è
parandogli davanti la sequela degli articoli costituzionali , degli
statuti, dei vari regolamenti che rappresentano la legalità, ovvero il
sistema costituito della legalità, quello per convenzione condiviso,
accettato ma… attenzione ,spesso, ed anche nei migliori dei casi,non
veramente vissuto, capito, intuito che si aiuta a formare un sentimento
interiore della giustizia. Lo sguardo, infatti, rimarrebbe al di qua
del muro: fisso ad osservare una definizione esterna che non ci
appartiene, che ci sfugge, che si reifica semmai in qualche
sobria uniforme… ma niente di più. Nessuna semantica, nessuna
simbologia ottusa ed opaca negazione dell’interpretazione personale può
sostituirsi al vero senso della giustizia, come del bello, come della
libertà; solo attraverso essa la pietra della legalità, la massa cubica
delle norme sociali si può unire all’architrave dirozzata, ben
congegnata, dell’individuo, solo così entrambe non cedono né si
frantumano.
Giustizia può essere e rimanere soltanto un imperfetto predicato
dell’insolutezza di un apparato sistemico ed omologato di leggi,
oppure, al contrario assumere le sembianze di qualcosa che vive e
cresce con ogni individuo del mondo; più i suoi orizzonti sono in grado
di estendersi, più i suoi occhi sono in grado di capire, di
comprendere, obliare, aver anche compassione, percepire, sentire… più
essa gli appartiene, non più estranea, non più solo sociale ma
sempre e soprattutto individuale prima di ogni altra cosa.
I Greci scrivevano sulle lapidi dei soldati valorosi morti nelle
battaglie :hèstos, cioè “ vivo, eretto, desto”, per indicare lo stato
di un’umanità che, a volte, supera anche la morte,secondo il grado di
consapevolezza, di intellizione ed interpretazione del mondo, del
tutto, raggiunto. Interpretare è capire e quindi esserne consapevoli;
per questo la giustizia come interpretazione dei fatti è l’unica
garanzia di qualcosa di vivo e profondo che non si risolve in una
passiva sudditanza al potere coattivo, ma estraneo, delle leggi.
Quest’acqua che chiediamo in ginocchio, questa sete di giustizia
che oggi abbiamo in tutto l’intero mondo,non verrà mai finchè non
avremo graffiato il baratro profondo di tutte le nostre
debolezze, di tutti i nostri dolori, consumato tutto il fuoco,
accettato e perdonato tutto il male che altri inevitabilmente ci
infliggono per necessaria convivenza. Non chiediamo la parola
“giustizia” come il senso labile usato per il perituro commercio
quotidiano di abitudini reiterate, né come ricompensa per la nostra
esclusiva edificazione personale. Chiediamo il senso di questa parola,
“giustizia”, come conquista personale prima di tutto, ciò che ci rende
vivi, desti, vigili, hèstos… appunto.
E tutto questo non può che partire che dall’interpretazione
dell’uomo, dei fatti e del mondo che lo circonda:dalla sua incessante
evoluzione, dallo slancio verso l’ubermensch, quell’oltreuomo che
Nietzsche aveva delineato come destino evolutivo, formativo,divino
perfino a nostro avviso… dell’uomo ma che un coacervo di scimmie
e babbuini ha ridotto a poche banali ed aberranti affermazioni “contro”
l’uomo, elevando muri di razzismi e cortine di particolarismi che
riducono piuttosto ogni uomo al burattino di se stesso.
E per concludere queste nostre poche riflessioni, dulcis in fundo…
possiamo anche affermare che questo saggio giudizio che discerne il
bene dal male, il giusto dall’ingiusto, e che massimamente si esprime
in coloro che vengono chiamati a cariche di maggiori responsabilità…
non può che rivelarsi nel suo immenso valore quando, giunti alle soglie
di un certo fisiologico decadimento, prende finalmente atto di come
quel meritato compimento di tutta una vita si realizzi in pieno
solo nell’agognato pensionamento.
Anche questa è giustizia, anche questa è legalità: per sé e per gli
altri.
Tecla Squillaci
stairwayto_heaven@libero.it