Nel Prologo de I Pagliacci di Ruggero Leoncavallo, Tonio si presenta al pubblico da solo a sipario chiuso. E’ lo scemo della commedia. E’il buffone, che dà l’incipit all’0pera verista, con una magistrale lectio brevis: “Signore! Signori!... Scusatemi se da sol me presento. Io sono il prologo: poiché in iscena ancor le antiche maschere mette l’Autore, in parte ei vuol riprendere le vecchie usanze, e a voi di nuovo invìami. Ma non per dirvi come pria: «Le lagrime che noi versiam son false! Degli spasimi e de' nostri martir non allarmatevi!» No. L'autore ha cercato invece pingervi uno squarcio di vita. Egli ha per massima sol che l’Artista è un uomo e che per gli uomini scrivere ei deve. Ed al vero ispiravasi. (...) Andiam. Incominciate!”.
Ho frequentato la scuola elementare dei Salesiani de La Salette a Catania. Sul proscenio del meraviglioso teatro campeggia una scritta latina: Maxima debetur puero reverentia. Ho appreso dopo che è di Giovenale e che si può intendere: Al fanciullo si deve il massimo rispetto. (Satire, XIV, 47).
Sul frontone del Teatro Maugeri in Acireale fa bella mostra di sé la scritta “Scenica ex arte humanitatis comoedia”. Che io amo tradurre: Il cammino dell’umanità deriva dall’arte scenico-teatrale.
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Teatro sviluppano le quattro abilità della lingua italiana: parlare,
leggere, scrivere, ascoltare.
Per anni, l’educazione drammatica e gestuale è stata considerata da molti genitori, ma anche da molti insegnanti, una perdita di tempo. Questo perché nella nostra scuola, troppo spesso centralista e chiusa in rigidi schemi, si è dato sempre maggior rilievo ai contenuti, all’apprendimento e si sono tralasciati altri aspetti importanti per lo sviluppo integrale della personalità, come il raggiungimento di obiettivi comuni e l’acquisizione di un sistema e metodo di lavoro in équipe.
Il teatro è la forma espressiva che meglio rappresenta la realtà quotidiana in tutti i suoi molteplici aspetti ed è uno strumento formativo e mezzo di comunicazione multidisciplinare ed interattivo: non solo per l’educazione in generale, ma soprattutto fonte di istruzione e centro propulsore della razionalità.
L’educazione alla gestualità e alla drammatizzazione può servire a stare meglio, fare nascere nuovi interessi, nuove motivazioni negli alunni, attenzione e partecipazione maggiore, coinvolgimento e protagonismo... E l’insegnate accorto è pronto a sfruttare questi segnali positivi nella difficile arte dell’educazione scolastica.
I docenti trovano nel “fare teatro” una occasione irrinunciabile di sviluppo e approfondimento delle tematiche previste dal POF e dai programmi e dalla programmazione, uno strumento per il lavoro interdisciplinare e pluridisciplinare, per la conoscenza e l’uso dei linguaggi specifici, tra i quali quello musicale, artistico e motorio.
Nella realizzazione delle iniziative drammatiche-teatrali c’è un rapporto nuovo anche tra docenti e discenti e la famiglia, che insieme collaborano e provano nuove sensazioni ed emozioni.
Il fine di una scuola intesa come palcoscenico non è quello di produrre spettacoli o formare attori, ma di creare il piacere di stare bene con se stessi e con gli altri, di fornire precise esperienze di linguaggio, di comunicazione, di riflessione, che aiutino la conoscenza di sé, la socializzazione, l’apprendimento.
Con l’educazione alla gestualità, ad esempio, si impara che tutte le parti del corpo mandano messaggi.
La mano è quella che ne trasmette maggiormente, ma le altre non sono meno in azione. I muscoli facciali concorrono a precisare ed intensificare il messaggio degli occhi, immediatamente seguiti dalla bocca, che spesso diventa l’elemento fondamentale per comprendere lo sguardo.
L’approccio al metalinguaggio avviene sotto forma di gioco: la voce assume tonalità particolari; il volto partecipa con espressioni differenti; i gesti, i movimenti trasformano la realtà, gli oggetti: si sviluppano la fantasia e la creatività.
Punto di partenza è l’animazione: nella scuola è facile trovare spunti e temi, che si prestino ad essere animati su suggerimento però sempre degli alunni. Gli avvenimenti della giornata, un episodio particolare, una scenetta divertente… possono diventare oggetto di animazione e in seguito di drammatizzazione. Non va dimenticato l’extrascuola: l’importante è che ci sia una raccolta concorde di informazioni e che tutta la classe sia coinvolta. E’ in questa occasione che l’insegnante dimostra la sua abilità nel cogliere i messaggi degli alunni.
Da questo momento, se tutti gli alunni sono d’accordo, si può lavorare con loro: l’insegnante diventa solo il regista, non il protagonista tuttofare. Dà consigli, accetta suggerimenti, favorisce la libertà espressiva e la creatività, senza, però, mai sostituirsi ai ragazzi, che devono risultare i veri artefici del fare teatro.
Il passaggio dalla improvvisazione creativa, dall’animazione alla drammatizzazione avviene quando gli alunni dimostrano un’evoluzione nei loro atteggiamenti.
L’esperienza della drammatizzazione si presta, infatti, all’approfondimento dei contenuti e ad un discorso di tipo interdisciplinare. E’ per questo motivo e proprio perché questo tipo di educazione è “una cosa seria” e non un’occasione per perdere tempo che è necessaria la programmazione – sin dall’inizio dell’anno – da parte del Collegio dei Docenti e dei Consigli di Classe.
L’attività gestuale e teatrale deve essere mezzo per raggiungere degli obiettivi che andranno verificati e valutati. La realizzazione di uno spettacolo, infatti, è l’ultima tappa di un lungo cammino percorso insieme da docenti e studenti coi genitori. L’educazione mimica e drammatica tocca i campi di molteplici discipline, dalle lettere, alla lingua straniera, dall’educazione fisica all’artistica, dalla musica alle scienze.
L’organizzazione di uno spettacolo necessita di molto tempo e ci deve essere chiarezza e comunità d’intenti da parte di tutti. Occorre coniugare la qualità del prodotto finale con la priorità degli obiettivi morali, sociali e intellettuali, da raggiungere in un tempo lungo.
Attraverso l’educazione alla drammaticità si sviluppano le quattro abilità della lingua italiana: parlare, leggere, scrivere, ascoltare.
- Circa il parlare, al di là che spesso l’alunno più timido e taciturno dia il meglio di sé in quanto sa di non essere oggetto di valutazione scolastica, gli alunni si danno da fare nel trovare regole e tecniche precise che permettano di raggiungere i migliori risultati. Si realizzano così, dialoghi, interviste, radiocronache, esposizioni di fatti o scenette veramente interpretate e recitate.
- Il leggere brani di opere teatrali (che si trovano ormai anche in libri di testo) promuove miglioramenti nella dizione, nelle sfumature della tonalità della voce, negli accenti usati per colorare il racconto.
- Nell’ascoltare, i ragazzi sono anche più partecipi se, a turno, vengono distribuite le parti e se diventano interpreti della narrazione trasformata in “battute” successivi e concatenate.
- Circa lo scrivere, gli studenti possono essere sollecitati alla rielaborazione di parti di brani, alla stesura di dialoghi, scenette o di trame vere e proprie.
Oggi la moderna pedagogia e didattica ha compiuto uno sforzo in direzione di una rivalutazione dell’attività fantastica di chiunque voglia imparare (docenti e discenti: si impara insegnando e si insegna apprendendo).
Tale rivalutazione è coerente con la riaffermata centralità dell’allievo e il riconoscimento della sua costituzionale spontaneità creativa. Scriveva Luigi Pirandello: “E’ da tanti anni a servizio della mia arte una servetta sveltissima… si chiama Fantasia”.
In via Marchese di Sangiuliano ad Acireale c’è l’antica biblioteca Dafnica-Zelantea destinata da sempre Litteris et Artibus. La strada, troppo stretta però, non permette di leggere, con un colpo d’occhio la scritta che dà voce all’edificio: “Sic ingredere ut te ipso quotidie doctior. Sic egredere ut in dies patriae evadas utilior.” Mi è sempre piaciuto che questo motto fosse il progetto di ogni scuola italiana. Vieni dentro per essere ogni giorno più dotto per te stesso. Esci da qui per risultare di giorno in giorno più utile alla patria. Magari fosse così!... Mi piace pensarlo.
Giovanni Sicali
giovannisicali@gmail.com