Galeotta fu la scelta
per il candidato a sindaco di Torino. Era il novembre 2010 quando Pier
Luigi Bersani e Francesco Profumo si incontrarono per la prima volta.
Il segretario del Pd era alla ricerca di un nome di prestigio da
spendere per la successione a Sergio Chiamparino, in grado di tenere
insieme un fronte ampio dalla sinistra all’Udc e di evitare il rischio
di uno scontro fratricida tra i dem locali sotto la copertura delle
primarie.
L’allora rettore del Politecnico si era messo a disposizione, salvo poi
tirarsi indietro con una lettera pubblica rivolta ai suoi concittadini,
dalla quale trasparivano tutte le difficoltà emerse nei partiti sul suo
nome. Nonostante l’esito infelice, che aprì comunque la strada verso
Palazzo Civico a Piero Fassino, la scintilla tra Bersani e Profumo era
comunque scoccata.
Sommando questo precedente con l’incarico a viale Trastevere, in un
ministero che si occupa di temi molto cari al leader dem, e alla scelta
di Marco Rossi Doria (il maestro di strada che è quasi un habitué degli
appuntamenti dem, ultimo Finalmente Sud, dedicato ai giovani
meridionali) come sottosegretario, ecco che si capisce perché Bersani
davanti alle telecamere di Piazza Pulita (La7) giovedì sera abbia
indicato proprio Profumo come possibile ministro tra gli attuali, da
confermare in un futuro governo di centrosinistra. «Ma mi rifaccia la
domanda tra un anno, perché nessuno nasce imparato e nessuno è un buon
ministro senza averlo fatto», mette comunque le mani avanti il
segretario del Pd.
Per il momento, a giustificare il feeling tra Profumo e i Democratici
c’è soprattutto l’approccio con il quale il ministro sta cominciando ad
affrontare il proprio lavoro, essendo troppo presto per parlare di
provvedimenti concreti. Certo, Profumo ha già assegnato più fondi per
il funzionamento ordinario delle scuole (da 130 a 200 milioni) e si è
impegnato a fare altrettanto per le università, ha promesso il recupero
degli scatti di anzianità ai docenti e, soprattutto, ha preannunciato
un piano di assunzioni da realizzare anche attraverso un nuovo
concorso, il primo dopo tredici anni. Ma ha anche confermato la piena
attuazione della tanto contestata riforma Gelmini, per poi
eventualmente migliorarla solo in un secondo tempo.
Come si diceva, però, a colpire favorevolmente il Nazareno in questa
fase è soprattutto il metodo, più che il merito del suo lavoro. Le
prime riunioni con i rettori, i sindacati degli insegnanti, i
rappresentanti dei dottorandi, gli studenti (ai quali ha promesso
incontri periodici, per coinvolgerli nelle future decisioni che li
riguardano) segnano uno scarto notevole rispetto alla gestione
verticistica della Gelmini. E la scelta di Rossi Doria simboleggia
un’attenzione per la funzione sociale della scuola, anche in questo
caso una differenza notevole rispetto all’approccio aziendalistico
berlusconiano.
Pazienza se l’altro sottosegretario, Elena Ugolini, ha creato invece
qualche malumore in ambienti di sinistra per la sua provenienza dai
vertici di un istituto privato. C’è, poi, qualcosa in più rispetto allo
stretto ambito di competenza del ministro, che lo avvicina al sentiment
democratico.
Profumo, infatti, si sta dimostrando uno dei componenti più “politici”
dell’esecutivo. E in questi giorni non ha fatto mancare proprie
dichiarazioni, sostanzialmente in linea con le richieste del Pd, seppur
in assoluta autonomia: dal richiamo alla «equità» necessaria per la
manovra alla prudenza sulla riforma del sistema pensionistico, dalla
spinta per l’asta delle frequenze tv al rinvio dell’analisi
sull’articolo 18 a dopo una riflessione «sul tema lavoro nel suo
complesso».
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